Complemento di termine

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

In questo sarei d’accordo con D’Achille (e sarebbe la prima volta!): me non mi convince per me non è italiano…
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
PersOnLine
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Intervento di PersOnLine »

Marco1971 ha scritto:me non mi convince per me non è italiano…
Eppure, con una marcatissima enfasi sul me, è una frase che ho già sentito diverse volte, ma andrebbe forse resa con una virgola, "...me, non mi convince", per rendere meglio la forte pausa dopo il me.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Quando dico non è italiano non intendo che non si possa sentire in giro, intendo che è scorretto.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:In questo sarei d’accordo con D’Achille (e sarebbe la prima volta!): me non mi convince per me non è italiano…
Me non mi convince non mi convince nemmeno a me. :D

Vede, caro Ferdinand: credo che molto dipenda dal verbo impiegato («psicologico» o no) e dal pronome deittico/personale in questione (ad esempio, come ci ricorda la GGIC, coi pronomi di III pers. sing. e pl. l’anteposizione di a è estranea all’italiano settentrionale e toscano).

Sempre con riferimento ai succitati esempi della GGIC, in toscano trovo piú naturali (19a) e (19c) senza anteposizione di a, mentre propenderei [leggermente] per l’anteposizione nella (19b) (…non so se gli altri toscani siano d’accordo).

Bisognerebbe forse rivisitare i saggi della Berretta [o la stessa GGIC] per vedere se vi si trovino maggiori ragguagli in proposito…
pocoyo
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Intervento di pocoyo »

Ho richiesto a sette degli otto parlanti interpellati due giorni fa. La costruzione col mi è stata effettivamente ritenuta «piú scorretta» di quella senza, ciò che corrobora l’ipotesi d’ipercorrettismo avanzata da Infarinato. Forse sono l’unico a percepire una leggera sfumatura fra le due.

Tuttavia non mi è chiaro perché la sola presenza del mi trarrebbe in salvo il parlante dal solecismo. Se il mi è ridondante, la sua esclusione non dovrebbe compromettere la grammaticalità della costruzione, o sbaglio?
Vi sono cose che all’uomo perduto / la morte non perdona.
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Intervento di Infarinato »

pocoyo ha scritto:…non mi è chiaro perché la sola presenza del mi trarrebbe in salvo il parlante dal solecismo.
Il perché mi sembra abbastanza ovvio: lo spiega chiaramente il D’Achille qui. Diverso il caso dei verbi che si costruiscono di per sé stessi con la preposizione a, per i quali si può omettere tranquillamente il mi (come nel caso di piacere in a me [mi] piace), mantenendo allo stesso tempo grammaticalità della frase (anzi, rimovendo la ridondanza, e quindi cambiando lievemente il registro) e focalizzazione (dislocazione a sinistra).
pocoyo
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Intervento di pocoyo »

A me continua a parere una licenza contestuale quella concessa al mi da D’Achille, né affatto automatica, considerata la presenza dell’a me iniziale.

Volevo sapere se questa fosse l’unica ragione. Grazie.
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Intervento di Infarinato »

pocoyo ha scritto:A me continua a parere una licenza contestuale quella concessa al mi da D’Achille, né affatto automatica, considerata la presenza dell’a me iniziale.
Le assicuro che «licenza contestuale» non è, a meno che per «contesto» non s’intenda l’intera tipologia di costrutti. ;)

La frase di base (la «struttura profonda») è non mi convince, con l’oggetto diretto focalizzato mediante dislocazione a sinistra [e anteposizione di a] (a me), non certo a me non convince con interposizione di mi!
Ladim
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Intervento di Ladim »

Mi pare di dover dire qualcosa.

Tematizzazione, ovvero funzione etica del solito dativo, nonché altre loro declinazioni variamente urgenti riassumono un comportamento linguistico tipico che abbraccia il registro, lo stile, la strategia discorsiva; ma non quel che si dice «regionalismo» (se non per larga ed equipollente inclusione). Le distinzioni dovrebbero dividere le ‘contingenze’, e Marco le ha già fatte. Infarinato ha poi spiegato, e bene. Io ripeto e rielaboro, a piacimento, per chi voglia seguire un discorso, una riflessione di carattere metodologico.

L’«accusativo preposizionale» è una cosa. La tematizzazione, un’altra. Il dativo etico, ad esempio, può essere rubricato sotto la tematizzazione. Vedo – se vedo bene – uno sguardo non esattamente perspicuo nelle trattazioni citate [cfr. D’Achille], sempreché non si voglia generalizzare un fenomeno attraverso prerequisiti puramente esteriori, oppure un accostamento ispettivo di due fenomeni sincronicamente indipendenti (manca il tempo per leggere accuratamente le fonti, che non avrei qui, e più).

Insomma, sfugga a un occhio attento come si possano avvicinare due esiti quali «canzonare a te» e «a me nessuno mi protegge»: se il primo esemplifica una caratteristica reggenza preposizionale, il secondo va rubricato sotto le strategie discorsive di evidente ascendenza «pragmatica»; se per la prima valgono considerazioni morfosintattiche, funzionali nelle accezioni generative, secondo cui l’argomentare di alcuni verbi, qui in diatopia, segnalano determinate informazioni ormai grammaticalizzate, e cioè, per dir così, sovraindividuali e necessarie, per la seconda guardiamo al «testo», alle implicature dialogiche, alle pure intenzioni dell’individuo così come si manifestano nel fare linguistico e nella libera estrinsecazione dell’emotività e della volizione verbale (spesso, ma non necessariamente per forme [già] ammesse dalla lingua).

Un’indagine testuale, pragmatica, vede nella successione delle parole un processo comunicativo implicato in determinati co[n]testi (situazione, emotività, intenzione, cooperazione etc.): l’uso vivo [non di una «frase» ma] di un «detto» pone l’analisi di fronte a istanze non schiettamente grammaticali – fino a quando una forma non diviene appunto grammaticale (come il dativo etico; più recentemente la dislocazione, la sospensione – e parliamo ad ogni modo di registri).

Ovvio che l’accusativo preposizionale muove da esigenze comunicative specifiche, e individua un comportamento ad ogni modo legittimo: ma è un habitus ormai grammaticalizzato (in diatopia), per cui lo sguardo pragmatico potrebbe dire qualcosa retrospettivamente, ma poco e niente per quel che appartiene alla correttezza (se il modello è la lingua normalizzata: il costrutto è scorretto).

Sotto il profilo «comunicativo», valgono criteri non ancora grammaticali. «Mi, no, non, a me, e cioè, me, sì, convince poco, per nulla!» è un «testo» corretto e accettabile: discutere sulle pause discorsive è perfettamente pertinente [ma fuorviante, se lo sguardo è pianamente prescrittivo]. In un esempio del genere le unità si muovono paratatticamente, violando la sintassi, esemplificando correttamente un insieme d’informazioni connesse con l’uso incipiente.

La grammatica è [vorrebbe essere] altra cosa. Come l’ipotassi si spiega con un’originaria e pragmatica paratassi, così la tematizzazione vede nell’esuberanza sintattica (ridondanza, duplicazione lessicale, non-linearità etc.) una nuova legittimazione grammaticale, restituita sotto la forma di ‘un’ registro.

Detto questo: me non mi convince è un esito evidentemente sclerotizzato, ipercorretto, se non espressivo (e cioè volutamente ameno). Non mi convince è forma non «laureata», quanto premiata dall'Uso tutto (forma abbracciata dalla grammatica).

In ultimo, un’ovvietà: porre sotto esame chi sa d’essere esaminato comporta sempre il rischio non dico dell’affettazione, quanto di ottenere un’analisi 'forzata', diversamente persuasa, molto spesso silenziosamente lambiccata (ciò non equivale a dire che non sia utile: anche il più sorvegliato di ‘noi’ può incorrere nel dubbio, spesso – e non parlo di <qui> – pigliando abbagli madornali).
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Caro Ladim, il suo intervento è stato per me illuminante. Vorrei, però, con ben minore spessore e acume, porle una domanda. Lei ha dimostrato molto bene che è impreciso (o, addirittura, errato) parlare di oggetto preposizionale per enunciati quali «a me non mi convince».

Il costrutto, come detto, da un lato è panitaliano, e dall’altro non introduce un elemento morfologico tipico d’una variante diatopica: nello stesso registro, rimarrebbe comunque agrammaticale un esito come «* [ciò] non convince a nessuno». Possiamo dire dunque che quell’a non adempie nessuna funzione grammaticale, ma è soltanto un espletivo?
pocoyo
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Intervento di pocoyo »

Ringrazio per gli interventi. La questione mi è ora piú chiara, anche se, come è ovvio, alcuni dei fondamenti teorici delle vostre argomentazioni sono da me del tutto ignorati. Avrò modo, spero, di approfondirli.

Se posso dire, però, non è questione d’esser sotto esame. I miei interventi sono mossi da semplice desiderio di conoscenza. Voglio scusarmi se i modi hanno invece dato diversa impressione.

Non mi dispiace affatto passare per ignorante di cose che non conosco. Ma mi dispiace dover rinunciare a una spiegazione esauriente solo perché un’argomentazione di poche righe (i.e. quella di D’Achille) è ritenuta ovvia. Mi dà sollievo che anche lei, Ladim, non la trovi esattamente perspicua (sebbene lei, è ovvio, da una posizione di competenza).

Cordialmente. :)
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Avatara utente
Infarinato
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Intervento di Infarinato »

pocoyo ha scritto:…mi dispiace dover rinunciare a una spiegazione esauriente solo perché un’argomentazione di poche righe (i.e. quella di D’Achille) è ritenuta ovvia.
Mi dispiace a mia volta se le ho dato l’impressione di voler liquidare i suoi quesiti in poche righe quasi fossero sciocchezze cui non vale la pena rispondere: me ne scuso. A volte la stringatezza è semplicemente dettata da banalissime ragioni di tempo. :)

Ringrazio anch’io Ladim (cui lascio volentieri l’onore di rispondere a Ferdinand :mrgreen:) per il suo [come sempre] preziosissimo contributo e per l’aver sottolineato l’importante distinzione fra tematizzazione [pragmatica] e [«vero»] accusativo preposizionale [grammaticalizzato] (*). Per quest’ultimo mi permetto di rimandare a questo mio intervento e [soprattutto] alle fonti ivi citate.

_______________
(*) La «confusione» tra i due, che, come si vede dalla scheda dell’Accademia della Crusca menzionata nel mio sopraccitato intervento, non è solo del D’Achille, si deve probabilmente alla spiegazione tradizionalmente data per la genesi del secondo (necessità di differenziare l’oggetto dal soggetto), che, nelle sue linee essenziali, può esser fatta risalire addirittura al Diez e che invece, come mostrano eloquentemente gli studi della Sornicola, appare oggi tutt’altro che scontata.
Ladim
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Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 14:36

Intervento di Ladim »

Ho letto (il tempo [non] me lo permette) solo [per il momento] l’articoletto sul sito dell’Accademia; gli altri rimandi, solo visti.

Fermo alcune considerazioni, non condivise (ma siamo qui anche per questo).

In non guardare in faccia a nessuno non vedrei alcun accusativo, né un’esatta sovrapposizione con non guardare in faccia nessuno. Sebbene il senso sia comune, nel secondo esempio l’accusativo indicherebbe l’oggetto su cui il processo verbale si proietta senz’altro, e il significato è da prendersi letteralmente (gli occhi di chi guarda evitano i volti...: di qui il senso metaforico si offre in una successiva implicazione etc.). Nel primo esempio il verbo guardare avrebbe un’accezione non indipendente dal sintagma in faccia, e in questo caso a nessuno è un dativo d’interesse, o di relazione (il ‘non guardare’ è immediatamente metaforico, e indica uno stato d’animo in particolare, e particolare è il suo significato: ‘non aver riguardo per nessuno’ [Marco potrebbe descriverlo con molta più eleganza, immagino]).

A te preoccupa mi pare una tematizzazione; se ellittica, anche una scissione ([è] a te [che] preoccupa).

In realtà la pragmatica, orientamento ancora poco visitato all’altezza cronologica dei lavori che sono qui ricordati, aiuterebbe a fare maggiore chiarezza, fermando lo sguardo a un momento prima della fissazione grammaticale di un fenomeno sintattico e comunicativo in senso evidentemente concreto ed espressivo.

Insomma, per l’oggetto preposizionale, l’idea mi pare quella di un dativo d’interesse, che nelle varietà romanza si morfologizza con l’ausilio di una preposizione etc.

Tra le motivazioni più banali, vi sarebbe l’espressività dell’uso vivo, enfatico in quelle parlate in cui l’approccio pragmatico potrebbe presupporre un coinvolgimento immediato e irrequieto, emotivo di un ‘secondo soggetto’ (e il valore di comodo o d’interesse del dativo concorre[va] orientativamente appunto coi verbi che indicano un sentimento o un atteggiamento preso nei riguardi di qualcuno, accogliendo, conservando così, nella sua grammaticalizzata realizzazione accusativale, la marca +UMANO etc.).

No. In questo caso la preposizione sarebbe «espletiva» per chi guarda un costrutto [l’oggetto preposizionale] attraverso un altro [l’oggetto senz’altro]. Se si guarda schiettamente, nelle varietà che accolgono questa struttura, varrebbe quel che s’è detto qui (per cominciare). Ancora no se si pensa alla tematizzazione: la preposizione ha il suo bel valore, anche solo per marcare la ‘direzione’ del nostro interesse emotivo (e si pensi pure al primordiale e pragmatico dantesco «A Filippo Argenti!»).
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