«Credevo fossi un re»

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

Moderatore: Cruscanti

Arnoldas
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«Credevo fossi un re»

Intervento di Arnoldas »

Buona sera, cari amici, dopo aver ascoltato una famosa canzone di Massimo Ranieri "Perdere l'amore" ho pensato che l'espressione "...credevo fossi un re" non sia corretta. Mi pare che debba essere "credevo di essere un re" e non "credevo (che) fossi un re". Che ne dite? Grazie.
valerio_vanni
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di valerio_vanni »

L'espressione è corretta, in entrambe le versioni. È altrettanto corretta "credevo di essere un re", che però non entra nella metrica neanche di striscio.

"Credevo che fossi un re" ci rientrerebbe in maniera forzata, lasciando il "fossi" al suo posto e aggiungendo un "che" a tradimento. "Credevo fossi un re" ci entra perfettamente.

Il "che" si può togliere, ma solo se è accanto al verbo. Quindi "Credevo fosse la tua macchina" ma non *"credevo la tua macchina fosse un 1900".
In particolare, può essere utile / consigliabile toglierlo se ce n'è un altro poco lontano.
"Credevo che fosse quello che aveva chiamato" -> "Credevo fosse quello che aveva chiamato". Corrette entrambe, sia chiaro.
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Marco1971
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di Marco1971 »

Per completare e precisare quanto scritto da valerio_vanni, riporto un passo della GGIC (vol. II, XIII.1.1.3.2.4., pp. 644-645 nella mia edizione):

Una particolarità della costruzione di modo finito in questa classe è la possibile omissione del complementatore che. L’omissione è strettamente condizionata dal verbo della reggente; non solo il che omissibile deve dipendere da un verbo appartenente a un certo gruppo, ma è anche necessario che si tratti di una oggettiva in senso stretto, dipendente da un verbo e non, per esempio, da un nome:

(66 a) Non credo si possa far molto per salvare la situazione.
(66 b) Immagino Gianni sia già al corrente delle novità.
(66 c) Spero sia tutto un frutto della tua immaginazione.

(67 a) *Non ho l’impressione si possa far molto per salvare la situazione.
(67 b) *C’è la possibilità Gianni sia già al corrente delle novità.
(67 c) *La mia speranza è sia tutto un frutto della tua immaginazione.

I principali verbi che possono reggere una oggettiva temporalizzata senza che sono: capire, credere, dire, pensare, temere, sperare, escludere, immaginare, dubitare, ipotizzare, arguire, dedurre, concludere, supporre, pretendere, trovare, ecc.


È possibile con un nome nella frase completiva: Mi fa piacere sia un giovane che occupa il nuovo posto. È stata una fortuna non fossero armati. (vol. II, VIII.4.1.4., p. 480)

Sempre nella frase completiva, anche con altri verbi, e con aggettivi (riporto solo gli esempi dati): Telefonò al suo capo pregandolo gli confermasse l’incarico. Saremo in tanti perché non vogliamo ci sfugga niente. Basta legga le istruzioni per l’uso. Affinché un uragano possa formarsi occorre ci sia una sorgente di energia. Non era necessario lo facesse. Non c’era bisogno tu spendessi tanti soldi. (vol. II, VIII.2.1.5., p. 426)

Altri esempi: Pare sia ammalato di scarlattina. La nuova «bretella» autostradale sembra stia facendo il suo dovere. Possibile tua madre non t’abbia messo al corrente? Nel caso avessi fame serviti del frigorifero. (vol. II, VIII.3.1.4., p. 454)

E, per finire, a p. 453 (sempre VIII.3.1.4.), viene precisato:

Mentre l’indicativo in questo contesto è escluso, si possono trovare il condizionale o il futuro:

(175 a) Simone capiva gli avrebbe fatto un piacere enorme, e lo invitò a pranzo.
(175 b) Credi ci riuscirò?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Arnoldas
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Re: Credevo fossi un re

Intervento di Arnoldas »

Cari Valerio e Marco, chiedo scusa però "Una grammatica italiana per tutti" (anche le altre grammatiche d'italiano) spiega: quando il soggetto del verbo che precede il congiuntivo è uguale a quello del congiuntivo è necessario usare "di + infinito". P. es.: Spero (io) che Alberto (lui) torni presto; Spero (io) di tornare (io) presto. Quindi le frasi "Credevo (io) fossi (io) un re" e "Credevo (io) che fossi (io) un re" secondo le grammatiche d'italiano non dovrebbero essere corrette. Non ho capito...
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Ferdinand Bardamu
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Re: Credevo fossi un re

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Agli interventi di Valerio e Marco, aggiungo un’osservazione sul testo della canzone; il passo di cui discutiamo in effetti potrebbe aver tratto in inganno il nostro Arnoldas:
  • E adesso andate via
    Voglio restare solo
    Con la malinconia
    Volare nel suo cielo
    Non chiesi mai chi eri
    Perché scegliesti me
    Me che fino a ieri
    Credevo fossi un re
Sarà un mio limite, ma, personalmente, non ho mai capito nemmeno io chi sia l’interlocutore qui, cioè quel «tu» a cui il cantante si rivolge; certo non può essere la «donna» cui fa riferimento nella strofa successiva, altrimenti non avrebbe senso definirla «un re». O forse sí, si riferisce alla donna, ed è una licenza poetica a cui si è fatto ricorso per completare la rima? :?
Ste. Gi.
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di Ste. Gi. »

Omissione del "che" a parte, presumo che Arnoldas abbia posto il focus sull'opportunità di scegliere una costruzione implicita. E ritengo che l'obiezione mossa nel suo intervento sia lecita: la costruzione implicita è preferibile quando vi sia identità di soggetto tra principale e subordinata. La presenza del congiuntivo potrebbe inoltre innescare dubbi sull'attribuzione del predicato alla persona, che potrebbe essere o prima o seconda singolare.
Quel "fossi un re", prescindendo dall'intento del paroliere, potrebbe essere tanto "che io fossi un re" quanto "che tu fossi un re": motivo in più per prediligere l'implicita. A color che sanno passo la parola... :mrgreen:
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Marco1971
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di Marco1971 »

Le grammatiche – specie per l’italiano L2 – giustamente semplificano le cose a fini pedagogici, restringendo il campo alle strutture piú usuali. Ma fuori della lingua da laboratorio di molte grammatiche, nell’italiano reale, di oggi come di ieri, nel caso di identità di soggetto «il costrutto esplicito è meno comune dell’implicito» (Serianni, XIV.36, da leggere tutto fino in fondo). «Meno comune» è un criterio statistico di frequenza d’uso; non implica un giudizio. Può essere preferibile il costrutto implicito in casi di ambiguità, come rileva Ste. Gi., ma ciò non toglie che la formulazione esplicita sia del tutto corretta (e magari preferibile per mille motivi personali a chi la sceglie).

Nella grammatica di Dardano e Trifone viene dato l’esempio Penso che gli dirò tutto = Penso di dirgli tutto. L’unica restrizione è che il costrutto implicito è limitato all’identità di soggetto fra reggente e subordinata, e da nessuna parte c’è scritto che bisogna preferire l’uno o l’altro. Concludo con un’altra ottima grammatica a uso scolastico (una delle poche a non cadere nella trappola delle «regole fantasma»*): La norma e l’uso, di Gisella Ravera Aira e Francesco Piazzi, Bologna, Paccagnella Editore, 1986.

Possiamo trasformare ogni proposizione implicita in esplicita, rendendo il verbo di modo finito: lo pregai di dire la verità (impl.) = lo pregai che dicesse la verità (espl.); ultimati gli studi (impl.) fu assunto in banca = dopo che ebbe ultimato gli studi (espl.) fu assunto in banca; essendo ammalato (impl.) non si presentò = poiché era ammalato (espl.) non si presentò. (p. 541)
____________________
*Per esempio, a proposito di «sé stesso» scrive: È diffusa l’abitudine di non accentare davanti a stesso e medesimo e scrivere se stesso, se medesimo. Sono da preferire le grafie con l’accento (sé stesso, sé medesimo), perché è una inutile complicazione quella dei grammatici che vogliono distinguere se congiunzione e pronome atono da pronome tonico, ma poi rinunziano a questa distinzione davanti a stesso e medesimo, perché in quel caso non ci sarebbe pericolo di confusione.
È piú semplice e piú sicuro avere per ciascuna parola in ogni posizione un’ortografia unica: se no dovremmo anche tornare a scrivere, come nel Medioevo, nom posso, im barca.
(p. 292)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Grazie all’intervento di Ste. Gi. mi sono accorto d’aver fatto una figuraccia. È chiaro che «credevo fossi un re» è da intendersi come «credevo di essere un re»; insomma c’è identità di soggetto tra reggente e subordinata. (Sono stato ingannato dalla maggior frequenza del costrutto implicito quando c’è coincidenza di soggetti tra principale e oggettiva, sicché ho interpretato quel fossi come una seconda persona singolare).

Ciò è, peraltro, del tutto in accordo con il contesto: la perdita della donna amata fa crollare tutte le convinzioni dell’io lirico, tra cui quella di «essere un re».

Con questo rispondo anche al quesito di Arnoldas: anche con identità di soggetto, è possibile avere sia il costrutto esplicito sia l’implicito. Basti l’esempio di Dante (Paradiso, canto XXXIII, vv. 91-93):
  • La forma universal di questo nodo
    credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
    dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
(Marco mi ha preceduto con un intervento, come sempre, impeccabile; non elimino il mio solo perché credo possa contribuire a rendere piú chiaro il testo della canzone a chi, come me, abbia qualche dubbio sulla sua interpretazione).
Arnoldas
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di Arnoldas »

Cari amici, grazie mille per le vostre cortesi risposte. Ho capito una cosa importante: se vuoi studiare una lingua straniera sul serio è meglio non usare la poesia in cui a volte non si osservano le regole grammaticali. Buona giornata a voi tutti. 🤗
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Ferdinand Bardamu
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Al contrario, caro Arnoldas: come le abbiamo dimostrato, sia l’omissione del che sia l’oggettiva esplicita con identità di soggetti tra principale e subordinata sono del tutto grammaticali. :)
valerio_vanni
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Re: Credevo fossi un re

Intervento di valerio_vanni »

Arnoldas ha scritto: sab, 01 giu 2019 22:42 Cari Valerio e Marco, chiedo scusa però "Una grammatica italiana per tutti" (anche le altre grammatiche d'italiano) spiega: quando il soggetto del verbo che precede il congiuntivo è uguale a quello del congiuntivo è necessario usare "di + infinito".
È spiegato a rovescio: in realtà, solo quando il soggetto è uguale è possibile usare "di + infinito".
valerio_vanni
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Re: Credevo fossi un re

Intervento di valerio_vanni »

Ferdinand Bardamu ha scritto: sab, 01 giu 2019 22:44 Agli interventi di Valerio e Marco, aggiungo un’osservazione sul testo della canzone; il passo di cui discutiamo in effetti potrebbe aver tratto in inganno il nostro Arnoldas:
  • E adesso andate via
    Voglio restare solo
    Con la malinconia
    Volare nel suo cielo
    Non chiesi mai chi eri
    Perché scegliesti me
    Me che fino a ieri
    Credevo fossi un re
Sarà un mio limite, ma, personalmente, non ho mai capito nemmeno io chi sia l’interlocutore qui, cioè quel «tu» a cui il cantante si rivolge; certo non può essere la «donna» cui fa riferimento nella strofa successiva, altrimenti non avrebbe senso definirla «un re». O forse sí, si riferisce alla donna, ed è una licenza poetica a cui si è fatto ricorso per completare la rima? :?
Ricordo che, quando è uscita la canzone, anch'io sono stato colto da quel dubbio. Chi è il re?
Il contesto generale riesce poi a chiarire le cose, ma non è semplicemente la «donna» citata.
Se anche fosse stata una storia tra uomini, avrebbe avuto più senso quell'interpretazione.

Il protagonista narrante si trova improvvisamente spodestato da quel trono.
L'ipotesi opposta (sempre nel caso dei due uomini) avrebbe poco senso. Per tutta la canzone è chiaro il senso di perdita, non di essere stati truffati (l'altra persona si finge ricca, e invece poi è povera ;-) ).

Ah, per la metrica ci sarebbe stata una soluzione anche con la costruzione implicita: "Credevo d'esser re" (o "di esser", pronunciato /djEs-/).
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sí, considerando attentamente il contesto, e tenendo presente che il costrutto esplicito è altrettanto possibile, è chiaro il senso della frase.

Forse il paroliere ha scelto la forma esplicita perché quella implicita, pur metricamente corretta, avrebbe implicato l’uso di troncamento ed elisione e l’omissione dell’articolo, tutte soluzioni sentite come «troppo letterarie» (è una mia congettura). La scelta del costrutto implicito avrebbe però fugato ogni dubbio sull’interpretazione del passo…
Arnoldas
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di Arnoldas »

Carissimo Valerio, chiedo scusa ancora però in Una grammatica italiana per tutti, volume secondo, p. 93 c'è scritto: "... è n e c e s s a r i o usare di+infinito". Anche in Grammatica e pratica della lingua italiana per studenti stranieri, p. 169 c'è scritto: "Quando il soggetto della frase secondaria è lo stesso della frase principale s i u s a una frase secondaria implicita, cioè con l'infinito. Es.: "Penso di venire" (io penso + io vengo). A chi dovrei credere? 🤔
Arnoldas
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Re: «Credevo fossi un re»

Intervento di Arnoldas »

P.S. Deve essere "è necessario" e "si usa".
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