Indicativo o congiuntivo?

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

Moderatore: Cruscanti

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Condivido l'opinione di Ladim: per questo l'uso dell'indicativo sulla penna dei giornalisti (ma non solo loro) è "sospetto" d'orecchiabilità diffusa.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Comunque, anche nella peggiore (e più probabile) delle ipotesi, l'uso dell'indicativo al posto del congiuntivo non rappresenta certo qualcosa di cui preoccuparsi.
Se l'italiano decide, a un certo punto, di fare a meno del congiuntivo e di ridistribuire le valenze di questo modo tra le altre sue possibilità: mi dite dov'è il problema?
Questo è il tipo di conservazione che non mi piace.
Sappiamo benissimo che le lingue si riorganizzano continuamente su tempi lunghi (e queste riorganizzazioni sono frutto, in massima parte, della corrività dei parlanti): alcuni modi verbali non c'erano nel latino e ci sono in italiano; abbiamo perso i casi e acquistato una sintassi più analitica e così via...
La lingua vive anche della ricchezza dei suoi registri e della variabilità delle competenze dei parlanti. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Ma quello che dice, caro Bubu, non è in contrasto con quanto sostenuto da Ladim, e da me condiviso.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Certo, infatti la mia era una risposta un po' trasversale. :)
Rispondendo più direttamente direi che invece di raccomandare agl'inconsapevoli l'uso automatico del congiuntivo (rimanendo così inconsapevoli ma con la conoscenza di una regoletta in più) raccomanderei lo studio dell'attuale variabilità dell'uso dei modi per essere in grado d'optare per le diverse soluzioni a seconda dei casi.
Oggi vi è la tendenza a usare l'indicativo in molti casi in cui la norma tradizionale prevederebbe il congiuntivo. Questa riorganizzazione porterebbe a una semplificazione della coniugazione verbale senza detrimento, mi pare, delle possibilità espressive.
Non vedo perché dovremmo raccomandare agl'inconsapevoli l'uso di un modo che sta con tutta evidenza perdendo terreno.
Se proprio non si è in grado di approfittare dell'attuale fluidità della situazione, che permette di usare i due modi associandovi diverse sfumature di significato, raccomandiamo piuttosto l'uso dell'indicativo che, con tutta probabilità, continuerà a espandere le proprie funzioni. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Vorrei proporvi la lettura (parziale, perché è lunga) d’una risposta di Maria Luisa Altieri Biagi (in La Crusca per voi, Firenze, Le Lettere, 1995, pp. 9-12 [sott. mie]):
Non mi porrei invece il problema della difesa della “stabilità dell’italiano come lingua nazionale” né della tutela della “norma codificata nei testi di grammatica”, perché le lingue non sono stabili e perché le norme cambiano nel tempo. Conoscere e rispettare una lingua non vuol dire imbalsamarla; la scuola, a mio parere, dovrebbe registrare le novità e tenere conto del cambiamento, senza peraltro atteggiarsi a mosca cocchiera e capitanare i processi evolutivi. Invece mi preoccuperei molto di assicurare ai ragazzi la conoscenza il piú possibile ampia e profonda di quello che è l’istituto linguistico e la norma volta per volta in vigore, in modo che essi ne possano sfruttare consapevolmente tutte le possibilità e potenzialità.
Farò un esempio che, oltre a tutto, mi consente di rispondere alla domanda degli insegnanti di Mantova sul congiuntivo.
Per quanto riguarda questo “modo” verbale, credo che sia giusto spiegare ai ragazzi le ragioni storiche della sua attuale crisi (se possiamo chiamare cosí l’allentamento delle norme che, in certi registri linguistici, regolano la sua alternanza con l’indicativo); ma poiché il congiuntivo è ben vivo nell’uso scritto e caratterizza il parlato di livello medio-alto nei confronti del parlato informale, è pure doveroso mettere i ragazzi in grado di usarlo in tutte quelle situazioni comunicative che richiedono il suo impiego o che lo consigliano come pragmatismo efficace. Se poi il ragazzo, diventato adulto, vorrà “scegliere” (ma la “scelta” implica la conoscenza delle alternative disponibili) l’indicativo sul congiuntivo, sarà libero di farlo, pagando quel che c’è da pagare nel rapporto con i vari interlocutori. Se per esempio vorrà continuare a dire “Speriamo che me la cavo”, invece di “Speriamo che me la cavi” (o, piú correttamente, speriamo di cavarcela), la decisione e le conseguenze della decisione saranno tutte sue. La scuola avrà fatto il suo dovere abilitandolo all’uso del congiuntivo, visto che – oggi – il sistema dell’italiano contemporaneo e la norma sociale lo prevedono.
La mia opinione, dunque, è che una istruzione linguistica sia necessaria, non a tutelare la “stabilità” della lingua, ma a garantire l’abilità e l’efficacia di un suo uso che tenga conto delle norme vigenti e dei mutamenti in atto; dove “tenere conto delle norme vigenti” può anche significare scartare consapevolmente da esse (quando ci sia una motivazione stilistica o pragmatica per farlo), e “tenere conto dei mutamenti in corso” non significa automaticamente aderire ad essi per velleità anarchica o avanguardista. Personalmente accetto, soprattutto nel parlato, certo snellimento della morfologia pronominale, perché non mi sembra male – in una lingua ridondante in “marche” di genere e di numero come è la nostra – economizzare in questo settore; mentre non collaboro alla liquidazione del congiuntivo perché lo considero un utile filtro del pensiero ipotetico. Ovviamente, il giorno in cui il congiuntivo fosse definitivamente “morto” nella nostra lingua, non mi ostinerei a tenerlo artificialmente in vita. Ma siamo molto lontani da quel giorno.
Non v’è nulla di male nel raccomandare l’uso vigente; mentre male mi sembra il voler accelerare i mutamenti della norma con raccomandazioni che potrebbero porre chi le seguisse in situazioni socialmente imbarazzanti.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Incarcato »

Quanto riportato da Marco presenta ulteriori spunti, in particolare riguardo al concetto di scelta consapevole e al ruolo della scuola in àmbito linguistico, teso a non influenzare le tendenze evolutive.

La scelta consapevole è una testa alata d'angelo, nel senso che se ne parla e la si caldeggia e la s'incoraggia, ma sono pochissimi tra i locutori a esercitarla: la gran parte segue l'uso a testa bassa.

Sul secondo versante, anche la scuola, a mio avviso, dovrebbe, esattamente come tutte le altre parti della società, dare il suo contributo all'evoluzione della lingua, che sarà un contributo sostanzialmente, e, qui sí, consapevolmente, normativo.

(Tutto questo semplificando alquanto.)
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arianna
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Intervento di arianna »

...non collaboro alla liquidazione del congiuntivo perché lo considero un utile filtro del pensiero ipotetico. Ovviamente, il giorno in cui il congiuntivo fosse definitivamente “morto” nella nostra lingua, non mi ostinerei a tenerlo artificialmente in vita. Ma siamo molto lontani da quel giorno.
Faccio mie le considerazioni dell'Altieri :wink:
Felice chi con ali vigorose
le spalle alla noia e ai vasti affanni
che opprimono col peso la nebbiosa vita
si eleva verso campi sereni e luminosi!
___________

Arianna
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: Non v’è nulla di male nel raccomandare l’uso vigente; mentre male mi sembra il voler accelerare i mutamenti della norma con raccomandazioni che potrebbero porre chi le seguisse in situazioni socialmente imbarazzanti.
Sono d'accordo con le riflessioni dell'Altieri Biagi e con le sue considerazioni finali.
È importante imparare la lingua in tutte le sue sfumature d'uso.
Per quanto riguarda il caso specifico di cui stiamo parlando, relativo all'uso dell'indicativo al posto del congiuntivo con determinati verbi, condivido la posizione delle grammatiche citate da lei e da Incarcato.
Ovviamente le mie ultime considerazioni erano provocatorie. :wink:
Sottolineo e condivido le sue considerazioni sociolinguistiche sul fatto di non fornire indicazioni che potrebbero porre, chi le seguisse, in situazioni socialmente imbarazzanti (mi attengo a queste considerazioni anche in campi, come quello dei traducenti dei forestierismi, in cui lei sembra, a volte, discostarsi alquanto da questa strada :mrgreen: ).
Quindi: in un contesto formale è consigliabile usare più congiuntivi; in un contesto più informale è consigliabile usare più indicativi.
La scuola dovrebbe insegnare (o meglio ribadire) l'esistenza di diversi registri espressivi tutti forniti della medesima patente di legittimità nel contesto appropriato.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

bubu7 ha scritto:...(mi attengo a queste considerazioni anche in campi, come quello dei traducenti dei forestierismi, in cui lei sembra, a volte, discostarsi alquanto da questa strada :mrgreen: ).
Il caso dei sostituti dei forestierismi è totalmente diverso poiché lí non raccomando ma propongo. E qui faccio punto, memore della mia promessa, a cui ligio devo rimanere.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Ah scusi, avevo frainteso. :(
Pensavo che avesse cominciato a riflettere sulla situazione imbarazzante in cui si potrebbe trovare qualcuno che pensasse di adottare molte delle sue proposte di traducenti...
Ovviamente solo nei primi tempi, per via della novità... :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Intervento di Marco1971 »

Segnalo di passata che un rimando alla nostra lista si trova in questo articolo su Wikipedia.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Marco1971 ha scritto:Segnalo di passata che un rimando alla nostra lista si trova in questo articolo su Wikipedia.
L'ho messo io, se non ricordo male.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non ci crederà, ma veramente lo sospettavo, sapendo che lei collabora a Wikipedia. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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