Comparativo di bene

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Comparativo di bene

Intervento di Freelancer »

Nella frase "Il vino fa più bene alla salute di quello che pensate" una mia collega sostiene che si debba scrivere "...fa meglio...".

Nella sua grammatica il Serianni dice che gli aggettivi buono, cattivo, grande, piccolo conoscono sia la forma organica (migliore ecc.) sia quella regolare (più buono ecc.) del comparativo; parlando però degli avverbi corrispondenti (bene, male, molto, poco), scrive "come gli aggettivi a loro corrispondenti, alcuni avverbi hanno forme organiche di comparativo e superlativo" - non scrive "alcuni avverbi hanno anche forme organiche..." "alcuni avverbi hanno solo forme organiche...".

Per analogia con gli aggettivi corrispondenti, si può considerare "più bene" una forma corretta, naturalmente secondo il contesto (vedi frase iniziale)?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ma certo che la frase è corretta: non si può dire *Il vino fa meglio alla salute di quello che pensate, perché in piú bene s’intende bene come sostantivo, non come aggettivo. Come diremmo Fa piú male alla salute e non *Fa peggio alla salute.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Ma certo che la frase è corretta: non si può dire *Il vino fa meglio alla salute di quello che pensate, perché in piú bene s’intende bene come sostantivo, non come aggettivo. Come diremmo Fa piú male alla salute e non *Fa peggio alla salute.
Grazie della risposta Marco. Intendeva scrivere, penso, "s’intende bene come sostantivo, non come avverbio", giusto?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Giusto. La tarda ora la mente onnubilommi (o era il vino? :D).

Comunque, meglio e peggio possono anche essere aggettivi, persino nel senso di ‘migliore’ e ‘peggiore’ (il meglio ramicello del tuo orto, Montale), nella lingua popolare o letteraria.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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