Come (stra)parla l’Italia

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Come (stra)parla l’Italia

Intervento di Infarinato »

Bue
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Intervento di Bue »

Mah, non sono del tutto d'accordo sull'analisi del Severgnini
che accomuna il politichese al registro pseudoformale che si usa spesso con esiti comici nelle lettere etc.
Soprattutto non sono d'accordo che questa sia una caratteristica precipuamente italiana. Basta guardare i fronzoli che mettono i francesi nelle chiusure di lettera....
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Intervento di Infarinato »

Bue ha scritto:Mah, non sono del tutto d'accordo sull'analisi del Severgnini che accomuna il politichese al registro pseudoformale che si usa spesso con esiti comici nelle lettere etc.
L’analisi del Severgnini è –per forza di cose (soprattutto, credo, per ragioni di spazio)- stringata e, quindi, inevitabilmente un po’ sommaria.

Tuttavia, non trovo peregrino accomunare il politichese ai fronzoli di certo stile epistolare: sono entrambi sintomi –almeno a mio avviso- di quel «mascheramento» (meccanismo d’autodifesa?) denunciato da Prezzolini.
Soprattutto non sono d'accordo che questa sia una caratteristica precipuamente italiana.


Per quanto detto sopra, io invece sí –al massimo, «ispano-italiana»… A parte pochi –notevolissimi- esempi, solo nel secolo scorso (il XX, per intenderci), abbiamo cominciato a sganciarci, nella narrativa, dallo stile ampolloso d’una volta… Nella saggistica, non ancora –almeno, non abbastanza. I francesi –per non parlare degli anglosassoni- l’hanno fatto ormai da tempo.
Basta guardare i fronzoli che mettono i francesi nelle chiusure di lettera....


Questo è vero, ma un mio amico parigino mi assicura che si tratta d’una sorta di divertissement: in particolare, lui si diverte a coniare (si noti: a «coniare», non a «replicare») di volta in volta nuove chiuse, la cui ricercatezza è direttamente proporzionale alla stima che egli ha per il destinatario. :wink:

Anche gl’inglesi, che hanno praticamente abolito lo «yours faithfully», continuano a usare comunemente lo «yours sincerely» (…o «sincerely yours» in americano), e hanno tutta una serie di formule di saluto speciali per i diversi titoli nobiliari.

Ma, a parte esordi e chiusure, cortesia (e, in alcune lingue, uso delle maiuscole, che può esser considerato anch’esso una forma cortesia, oltre ad avere, per esempio in italiano, un valore [marginalmente] disambiguante), la lingua della corrispondenza epistolare è quella, asciutta, dei giornali e della saggistica… Non altrettanto si può dire dello stile epistolare italiano, anzi sí, visto quello della rispettiva saggistica.
acàdemo
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Intervento di acàdemo »

Sono d'accordo un po' con entrambi gli Scriventi, ma soprattutto con il Prezzolini citato nell'articolo: l'inestirpabile cancro della retorica si lega, fa tutt'uno, con il principio della "dissimulazione onesta", che di onesto, in politica, ha ben poco. Nessuna lingua ne è immune, credo, ma l'italiano ne soffre particolarmente: dal "latinorum" denunciato dal Manzoni ben poco si è veramente fatto in Italia per rendere il linguaggio dei potenti accessibile al "volgo".
Basti guardare le Leggi: per quanto si possa giustificare il tecnicismo, non si può sfuggire all'impressione che il linguaggio utilizzato sia volutamente involuto, e ciò per consentire che una sola casta, quella degli avvocati-deputati, ci possa sguazzare a piacimento.
Solo una maggiore istruzione - lo dico purtroppo da insegnante - potrà far sì che dal basso (ma un "basso" consapevole e non frescone) venga ai politici la richiesta sempre più generalizzata di chiarezza. Malauguratamente, però, gl'indici di alfabetizzazione (reale, non cartacea) del Bel Paese sono sempre più sconfortanti. Mi fermo qui, ma potrei avventurarmi tra le sciagure antiche e recenti della scuola.
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