Dei neologismi

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atticus
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Dei neologismi

Intervento di atticus »

I buoni paladini della lingua sono pronti a colpire ogni neologismo che risulti inutile, sgradevole; un «camorro» (a dirla con Leo Pestelli). Al punto che mi pare sia da tempo attecchita una vera e propria fobia per le parole nuove (alcune in particolare, i già detti camorri).
Sarò tardo di mente, ma non ho ancora capito chi decide se un neologismo è bello o brutto, gradevole o sgradevole.
Sono del parere che il neologismo, nessun neologismo, vada avversato; e ciò non solo perché, cosí facendo, si rifiuta la novità ecc. ecc.; ma soprattutto per il fatto, semplice e incontestabile, che il neologismo si fa da sé il proprio destino («Ci sono creature immortali e creature effimere», scriveva in proposito tempo fa Tristano Bolelli).
"Ma noi respingiamo i nelogismi inutili, brutti ecc.", potrebbe opporre un paladino della lingua.
Ebbene, quante parole comode garbate armoniche, belle insomma, sono state seppellite nonostante le suddette qualità?
"Alcune parole nuove concorrono solo a far calca", oppongono i soliti guardiani della lingua, "dato che l'italiano ha vagonate di termini corrispondenti".
E' vero; ma se lo scrittore, il parlante ritengono opportuno ricorrere alla parola nuova in quel dato momento, per quel particolare contesto, si rispetti la scelta. Anche in fatto di conio la tolleranza è gran virtú. O no? Poi, come dicevo, il futuro della parola nuova è nelle sue stesse mani.
Chi rammenta piú termini quali Zanarchia, Garibaldaglia, Panciafichista, pirobazia, accarrarsi, mafiaio, fusare, argentata, ottimana, scoprività; o vere e proprie parole d'autore come ekatorio, nomiere, ciccario, cormentale, pepiniera, felibri?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Io son d’accordo con lei: avversare i neologismi è un atteggiamento stolto. Tuttavia, siamo sicuri che pigliarli crudi crudi dalla lingua d’origine sia prova d’intelligenza? Chi li introduce e li diffonde è chi è nell’urgenza e non ha tempo — o competenza? — di riflettere a come designare il concetto nuovo.

Quanto al bello e al brutto, ho detto varie volte che sono concetti estranei alla lingua; consideriamo spesso bello il noto e brutto l’ignoto: è l’assuefazione a dettare simili infondati giudizi. Nel caso dei forestierismi (tipo particolare di neologismo), accogliamoli pure quando non c’è altro modo d’esprimere l’idea; ma perché accogliere tutti i forestierismi indiscriminatamente?

Ferma restando la libertà del parlante e dello scrivente, a me sembra importante stabilire una norma, o punto di riferimento, per chi non sa destreggiarsi fra le mille intricatezze della lingua. Per questo esistono i dizionari. Quel che non m’è chiarissimo è perché i lessicografi registrano certi neologismi/forestierismi affermatisi nell’uso e non altri: perché dare cosí tanto peso alla lingua dei media? Perché accettare l’uso d’una manciata (rispetto alla popolazione) d’individui neanche sempre competenti? E soprattutto perché, visto che ha tale un potere, non avviare la lingua dei giornali su migliori rotaie?

Concludo con una citazione di Leopardi, sperando che la discussione sia fitta e feconda.

«A quello che ho detto nel 3. pensiero avanti al presente si aggiunga che le parole nuove si devono anche cavare dalle radici che sono nella propria lingua, e questa è una fonte principalissima e dalla quale Dante che passa pel creatore della lingua derivò una grandissima, e forse la massima parte delle voci ch’egli introdusse. E i derivati da questa fonte serbando com’è naturale il colore nativo della lingua più che qualunque altro, se son fatti con giudizio, vengono a formare il miglior genere di voci nuove che si possano creare ec. ec.» (Zibaldone di pensieri, Dic. 1818-8 Gen. 1820)
atticus
Moderatore «Dialetti»
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Intervento di atticus »

Mi trova d'accordo.
Io mi permettevo di "criticare" coloro che "criticano" il neologismo "cavato" dalle radici della propria lingua. L'ho sottinteso, purtroppo.
Quanto alle parole nuove prese da una lingua straniera, è un altro paio di maniche. L'accoglienza indiscriminata testimonia, a mio parere, una qual certa incompetenza; e una massiccia dose di provincialismo.
Ad osservar le cose come vanno, ogni tanto mi domando: forse ci vergogniamo della nostra tradizione? Poi aggiusto il tiro: chi sa, non si vergogna; chi non la conosce, come fa a vergognarsi, se la ignora? E qui m'impantano.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non riesco a concepire come un italiano possa vergognarsi della propria cultura: il Rinascimento, donde ha preso le mosse? E il Vocabolario della Crusca non è il primo grande dizionario d’una lingua europea? Certo, oggi il prestigio culturale dell’Italia non è piú com’era anche solo due secoli fa; ma la storia conta, eccome!

È possibile che dopo tanta gloria artistica, oggi siamo ridotti a prender per buono ciò che dettano la televisione e i giornali? Lí prevale l’italiano sciatto, che va di pari passo con le vallette seminude. Nella televisione consiste la vergogna nostra.
Ladim
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Intervento di Ladim »

La televisione e i giornali non farebbero altro che seguire un orientamento ben più vasto - per altro misconosciuto da chi trascorrerebbe il più del proprio tempo isolato in una sorta di "claustrazione filologica", magari sedendo di fronte a un testo di otto secoli fa; oppure da chi ad ogni modo riscoprirebbe un maggior piacere nell'otium della lettura, nello studio di argomenti quali la filosofia, la grammatica, la letteratura, l'arte, la musica, la storia (insomma, i soliti studia humanitatis - che, chiarirei immediatamente, non sono appannaggio dei soli studenti-studiosi di "lettere e filosofia" [anzi!], cfr. il nostro Gadda!); isolando sé stessi, così facendo (in qualche modo tutelandosi!), appunto da quell'orientamento culturale che trova la propria espressione nella televisione, nei quotidiani (nei neologismi ingiustificati...) etc.

Se tutti gli italiani avessero il modo di comprendere da sé la grandezza di un gesto apparentemente semplice come quello di trascrivere sulla carta un verso quale «è funesto a chi nasce il dì natale», oppure di tradurre in segni leggibili l'adagio del K622, o, ancora, il gesto del Cristo raffigurato sulla parete di fondo della Cappella Sistina, nessuno più si dannerebbe l'anima per ottenere un più alto «indice d'ascolto» "assoldando" questa o quella "ballerina" etc., per il semplice motivo che nessuno più, potendo scegliere, ora guarderebbe la nostra televisione (e qui ricorderei [Marco1971!] che la Rai, anche recentemente, aveva tentato di riproporre una trasmissione che combinasse l'intrattenimento con la cultura, specie legata alle questioni di «lingua», riservando a Gian Luigi Beccaria cinque minuti circa di intervento al giorno - una trasmissione criticabile sì, ma decisamente non priva di qualche merito; decisamente respinta, però, da quel che so io, dagl'«indici d'ascolto»!). Oggi la televisione (come qualsiasi altro media) non ha da rispondere ad altro se non a una generale tutela rivolta a veder assicurati solo alcuni «profitti» (che investirebbero il dominio economico e quello, ahimè, anche politico - che sia, beninteso, di governo o di opposizione), profitti comunque lontani dalle buone premure culturali, a guardar bene anche da quelle etiche...

In una prospettiva come questa, dovremmo immaginarci un onesto "interlocutore culturale", entro il palinsesto televisivo di oggi, molto simile al Virgilio dantesco gabbato dai Malebranche della quinta bolgia - ovviamente, quando non sia semplicemente ignorato od oscurato!

E quel che dice Atticus è sacrosanto: ho visto arrossire più "giovani colti" pronunciando «salùbre» che altri giovani a pronunciare non dico un forestierismo, ma una bestemmia!

La vergogna, purtroppo, è sempre dalla parte di chi si sente isolato ed esposto...
Avatara utente
Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Purtoppo a pensarla cosí siamo in quattro gatti, cari Ladim Marco ed Atticus.
Anche se non de iure, de facto, oggi, siamo minoranza.

P.S.
Quando Atticus s'impantana in quel diallelo, mi ricorda i grandiosi ragionamenti – ed i grandiosi dubbî – agostiniani sulla grandezza di Dio: permettemi di trascriverne una parte, anche se so che non ce ne sarebbe bisogno: «Sed quis Te invocat nescens Te? [...] Quomodo autem invocabunt, in quem non crediderunt? Aut quomodo credunt sine prædicante?»
atticus
Moderatore «Dialetti»
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Intervento di atticus »

Ma è possibile -mi domando- che solo il sottoscritto, e quattro gatti spelacchiati (scusatemi, Vi prego!) come lui, si emozionino ancora a legger Dante o a "sentir le note" di un Petrarca?
Vero è che manca l'educazione a quella "curiosità inutile" che ti fa conoscere le cose.
Parlo con gente che non capisce, non vuole e spesso non può capire, l'incommensurabile piacere che promana dalla lettura di quattro righe scritte con finezza (penso a Leopardi).
Confesso il mio peccato: ce l'ho con la scuola (dalle elementari all'Università), e con chi l'ha demolita (politici, presidi, docenti).
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