«Parolacciamo»?

Spazio di discussione su questioni di lessico e semantica

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atticus
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«Parolacciamo»?

Intervento di atticus »

Noi italiani, si sa, abbiamo la penna (oggi si direbbe il tasto) effusiva; e spendiamo e spandiamo chiacchiere scritte a carrate. Non meno effusivi siamo nel parlare. Si pensi al numero di parole ruscellate giornalmente dagli schermi televisivi: dibattiti, piazze urlanti, consigli per tutti e su tutto, monologhi concitati... Un'inarrestabile dissenteria.
Il rimedio astringente ci sarebbe: non il silenzio, ché l'uomo si differenzia dall'animale (dicono) giusto per l'uso della parola; ma una salutifera lettura accompagnata da un sano pensare. Anche perché la buona lettura imposta per legge, mettiamo, fino ai trent'anni, insegnerebbe a pensare appunto (che è un dialogare col silenzio), a scrivere e, soprattutto, a parlare solo al momento opportuno.
Oggi molti parlano prima di aver pensato; e unicamente per ascoltarsi. È nato "il regno della chiacchiera", scriveva Piero Citati.
Orbene, se questi molti si vedono contraddetti, smaniano e si spazientano, s'imbestialiscono e, a corto ovviamente di vocaboli, sparano con furia saracina una bella serie di parolacce.
La parolaccia è diventato l'inseparabile "passe-partout" .
Ora, quello che mi secca è sentirla in bocca ai giovani, ai giovanissimi e (sono antico, lo so) alle donne.
Una volta, dire parolacce veniva giustificato come atto liberatorio; ma adesso che nessuno piú si scandalizza?
E vengo, dopo lungo brodo, alla domanda: è la parolaccia sinonimo di vocabolario povero; oppure l'impeto del "parolacciante" non favorisce le sfumature di lingua?
Avatara utente
Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Schoperhauer (è già la seconda volta che lo cito, sed noli timere hominem unius libri) diceva:«colui che offende salta direttamente alle conclusioni, ma rimane debitore delle premesse.»

E personalmente riponderei alla sua domanda non optando per uno dei corni del suo quesito, ma abbracciandoli entrambi: infatti colui che ricorre alle parolacce in maniera generica palesa incapacità dialettica d'argomentare per vie piú sottili; nel contempo impoverisce la sua lingua e svilisce la discussione.
Di solito se l'avversario giunge alle offese con para-argomenti ad personam, anche se avrà l'ultima parola (e con un certo uditorio l'avrà), è indice che la sua mente non era piú in grado si seguire la vostra. Personalmente, quando qualcuno in una disputa giunge ad offendermi, mi stimo moderatamente soddisfatto.

L'abuso di parolacce e volgarità che la televisone amplifica fino al parossismo è difficilmente arginabile nella situazione odierna: è un vero fiume ribollente in piena.
Avatara utente
Infarinato
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«Pro profanitate» sive «Elogium coprolaliae»

Intervento di Infarinato »

Premetto che m’è ben chiaro il ragionamento che sottende agl’interventi di atticus e d’incarcato, e che ne condivido ampiamente le conclusioni. L’uso gratuito della parolaccia (e/o dell’aumento del volume della propria voce) per supplire alla propria incapacità dialettica non è solo deplorevole: è triste.

Tuttavia, da [maledetto?] toscano (nonché avido lettore del Vernacoliere), non posso non rivendicare il carattere talora salutarmente dissacrante e catartico di certo parlar triviale oltre al [per me] sacrosanto diritto d’usare la lingua tutta, non solo quella ad usum Delphini. In particolare, vorrei ricordare che:
  1. la grande letteratura è fatta -cosí come il parlar quotidiano- anche di parolacce: si pensi a Catullo, Boccaccio, Belli e allo stesso Dante. Un verso come quello d’Inf. XVIII, 116, carico d’una pregnanza espressiva che difficilmente può esser resa altrimenti, non ha, dato il contesto, nulla d’osceno né rappresenta affatto una «caduta di stile». Viceversa, [specialmente al giorno d’oggi] c’è chi riesce a scrivere delle vere e proprie oscenità senza uscire dai confini d’un lessico «sentimental-amoroso» (…direi «gentile», ma sarebbe troppa grazia).
  2. Parafrasando Benigni, non esistono «parole volgari»: esistono solo persone volgari, in bocca alle quali qualsiasi vocabolo può divenire di colpo osceno o assumere una connotazione offensiva. Al contrario, anche la parolaccia piú greve può essere usata in modo bonario: si pensi a «bischero» o «brodo» in toscano… E che dire poi di parole nobilissime come «socialista» o asettiche come «extracomunitario», che sono [state] talora usate come veri e propri insulti?
  3. La parolaccia non pare aver ancora conosciuto il tramonto del genio creativo italico, il quale -ahinoi- sembra invece latitare ormai da tempo in altri registri: penso in particolare a talune inventiones romanesche e labroniche.
  4. Infine, tanto per rimpinguare il «bell’»elenco di M, saranno perle quali «postare [sic] un messaggio» o «fissare un bug» [ri-sic… anzi sick, nel senso di «vomito», per «correggere un errore (di programmazione)»], reperite in «piazze virtuali» (italiane?) come questa, dei «troiai» (o «trojaî») infinitamente piú deleteri d’una parola antichissima e icasticissima come, appunto, troiaio? (…E mi fermo qui, ché si discute di lessico: ovviamente, le oscenità si moltiplicano allorché si comincino a prendere in considerazione ortoepia, ortologia [e ortografia].)

«Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.»
(Bernard de Morlay, De contemptu mundi, I, 952)

-No beast so fierce but knows some touch of pity.
-But I know none, and therefore am no beast.
(Richard III, I, ii, 72-73)
Ladim
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Intervento di Ladim »

Come ogni classe di parole anche quella delle "parolacce", mi si permetta di dire (con una piccola provocazione - trasferendo l'argomento dalla stilistica all'ambito morale), ha una propria identità etica complessa. Sarebbe d'obbligo, quindi, fare alcune distinzioni (e qui mi riallaccerei all'impronta data al discorso da Infarinato).

Ma lascerei fuori la "parolaccia" intesa come strumento letterario, di genere comico-giocoso etc. - per non parlare di Dante, il quale avrebbe imposto, nella Commedia, un uso altamente etico del turpiloquio (segno, qui, riconoscibile ed evidente della miseria morale dell'uomo: una convenzione metalinguistica divenuta, a ben guardare, una brillante soluzione pragmatica che va ben oltre i limiti imposti dall'aptum letterario-retorico! - ma questo è un altro discorso) -, per considerarla unicamente come "veicolo espressivo", ahinoi, quotidiano.

La "parolaccia", allora, non sarebbe soltanto una manifestazione di banalità, d'incapacità espressiva, ma vorrebbe essere soprattutto una chiassosa traccia d'immaturità intellettuale. Il sacrosanto rammarico di Atticus riguardo all'uso sconsiderato della "parolaccia" tra i giovani (fermo restando l'ottimo giudizio, per nulla sessista, intorno alle donne [che è semmai un auspicio a veder tutelato il pregevole "luogo comune" che identificherebbe tuttora l'eleganza con la femminilità]!), in realtà introdurrebbe (forse) l'unica eccezione davvero giustificabile del suo abuso, questo ovviamente se la "parolaccia" vuole essere ancora, nella nostra società, una determinata (e ingenua) forma di trasgressione; semmai ciò che più dovrebbe allarmare è il ricorso incondizionato ad essa da parte degli adulti!

Altro aspetto, direi non secondario (ma scontato), è la violenza. La "parolaccia" può essere una manifestazione violenta, può ferire e mortificare (meglio: vorrebbe ferire e mortificare) - in questa prospettiva quel che più offende (... il buon senso!) non è la volgarità in sé, quanto la meschinità che essa esternerebbe.

La "parolaccia", nel suo aspetto deteriore, potrebbe essere quindi (intendiamoci, oltre ad essere sinonimo di "miseria") o una chiara espressione d'infantilità, o un'altrettanto evidente manifestazione di bruta protervia - quando non più semplicemente, di tanto in tanto (e qui credo di parlare un po' per tutti), un travolgente quanto occasionale sfogo "apotropaico"...
Avatara utente
giulia tonelli
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Re: «Pro profanitate» sive «Elogium coprolaliae»

Intervento di giulia tonelli »

Infarinato ha scritto:una parola antichissima e icasticissima come, appunto, troiaio?
Troiaio non è una parolaccia, o non vuol dire porcile? Una delle beghine più cattoliche e morigerate nel parlare che io conosco la usa senza arrossire, ho sempre pensato fosse assolutamente accettabile, mi sbaglio?
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