«Giustiziare»

Spazio di discussione su questioni di lessico e semantica

Moderatore: Cruscanti

Intervieni
Marco Treviglio
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Iscritto in data: mar, 30 giu 2015 13:27

«Giustiziare»

Intervento di Marco Treviglio »

Buongiorno a tutti!

Sono qui per chiedere lumi su un'annosa questione che mi attanagliò la mente e che posi già altrove senza ottenere una spiegazione soddisfacente. Vengo, quindi, al dunque.

In italiano «giustiziare» ha un significato puramente negativo, e cioè, punire eseguendo una condanna a morte sinonimo di "uccidere, sopprimere"; dal momento che esso deriva dal termine «giustizia», che al contrario ha un senso principale positivo derivando da «giusto» ed essendo sinonimo a "equità, imparzialità, onestà, rettitudine", non capisco il perché di tanta differenza nel concetto di base.
Quel che non capisco è questo: perché se volessi utilizzare il verbo «giustiziare», con senso positivo come quello di «giustizia», dovrei invece utilizzare «rendere giustizia»?
Insomma, perché se uso, e.g., «aggiustare» vale a dire rendere giusto, se uso «giustificare» vale a dire rendere giusto, se uso «giustiziato» non vale a dire reso giustizia ma vale a dire “morto”?


Ringrazio anticipatamente chiunque riesca a elargirmi una spiegazione.
sempervirens
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Iscritto in data: gio, 23 apr 2015 15:14

Intervento di sempervirens »

Se ho ben capito si chiede come mai nel verbo giustiziare, che è un deverbale del sostantivo giustizia, si riconosce "...un significato puramente negativo".
Bisognerebbe ripercorrere tutti i punti principali del concetto umano di giustizia, che io qui non mi ci provo nemmeno, e di lì passare alla sua messa in pratica, che non è altro l'applicazione materiale ad opera di umani secondo i dettami di un'astrazione che ha a che fare unicamente col mondo degli esseri senzienti, e nemmeno poi tutti quanti.

Nel mondo antico, mi limito all'area mediterranea, giacché delle altre aree poco so, giustiziare significava togliere la vita a chi si era messo contro la giustizia. Oggi come oggi, a chi si mette contro la giustizia non viene tolta la vita né torturato, ma sconta una pena.
Riassumendo, scorrendo le pagine della storia possiamo notare che a seguito di una condanna, dall'uccisione si è passati alla tortura, poi al bagno penale e poi semplicemente a scontare i termini di una pena. Non sempre in questo ordine categorico,
Quindi, mi immagino, se prima per giustiziare s'intendeva ammazzare un individuo, oggigiorno che non si ammazza una persona ma la si sbatte in cella è venuto meno di usare il termine crudo giustiziare passando ad un surrogato, render giustizia.

È palese che questo schema non è immutabile né ampiamente condiviso all'unanimità. Abbiamo difatti tanti esempi in cui si fulminano i condannati con scariche elettriche, o gli si spezza il collo appendendoli, o che altro ancora.
In quei Paesi forse la gente userà per esprimersi il corrispondente verbo italiano giustiziare, ma con connotazioni positive per loro e la loro cultura.

Sarebbe interessante riuscire a capire quando nella lunga storia di questa parola il significato del verbo giustiziare ha cominciato ad esser interpretato negativamente. Francamente non lo so.

La prego di non prender per oro colato quanto sopra. Semmai spero di aver dato l'avvio ad una interessante discussione alla quale spero si affaccino le maggiori personalità di questa piazza. :)
Io nella mia lingua ci credo.
Avatara utente
Carnby
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Intervento di Carnby »

È cambiata la sensibilità: un tempo «giustizia» era assistere allo squartamento pubblico di un reo e pochi si domandavano se fosse «giusto» praticare usanze così barbare; per di più molti lo trovavano «divertente» e «educativo». Oggi il massimo di violenza pubblica tollerabile è un incontro (regolamentato) di pugilato o arti marziali dove la hybris e il sangue passano in secondo piano rispetto all'aspetto tecnico e spettacolare (per alcuni «artistico»).
Avatara utente
Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Secondo me, il fatto che giustiziare significhi (ricopio dal Treccani) "sottoporre a esecuzione capitale, in seguito a regolare condanna penale, e più genericam. in esecuzione di una condanna a morte" è un semplice caso di specializzazione semantica: dal possibile significato generico di "applicare il dispositivo di una sentenza [qualsiasi]" si è passati (ammesso che questo primo stadio ci sia stato davvero) a quello di "applicare il dispositivo di quella sentenza [la condanna a morte]". Come mai di quella e non di altre? Ipotizzo che questo sia dovuto alla necessità di riferirsi a un omicidio (perché di questo si tratta) senza nominarlo apertamente, marcando così la differenza tra la l'azione della giustizia (impersonale, asettica, ineluttabile) e quella del criminale che, banalmente, ammazza. Non mi pare casuale, a questo proposito, che lo stesso Treccani precisi: "erroneo l’uso del verbo nel sign. di uccidere, assassinare".
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
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Sixie
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Re: «Giustiziare»

Intervento di Sixie »

Marco Treviglio ha scritto:Quel che non capisco è questo: perché se volessi utilizzare il verbo «giustiziare», con senso positivo come quello di «giustizia», dovrei invece utilizzare «rendere giustizia»?
Insomma, perché se uso, e.g., «aggiustare» vale a dire rendere giusto, se uso «giustificare» vale a dire rendere giusto, se uso «giustiziato» non vale a dire reso giustizia ma vale a dire “morto”?
Domande non da poco per questioni non facilmente definibili, come il concetto di giustizia.
Le esprimo il mio pensiero al riguardo: giustizia può essere solo resa, restituita a chi ha subito un torto ed è stato privato di un suo diritto e, per tale motivo, è ricorso alla Giustizia, chiedendo che sia "fatta giustizia" in merito al suo bisogno.
Fare giustizia può essere sia riconoscere il merito di qualcuno/qualcosa, sia realizzarla in modo autoritario. Da lì a giustiziare il passaggio è breve, linguisticamente, ma, dovremmo saperlo, quale abisso vi sia fra i due termini e quali implicazioni filosofiche, religiose, storico-politiche, giuridiche... semplicemente umane, tale passaggio comporti.
Non da ultimo il dubbio che l'attanaglia, caro Marco. :)
We see things not as they are, but as we are. L. Rosten
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Non sempre una parola può essere analizzata sotto l’aspetto sincronico. Talvolta ci sono delle sedimentazioni di significato che impediscono di inferire da un morfema il significato di un’intera parola. Nel caso in questione, il verbo giustiziare deriva dal latino medievale justitiare, e ha un corrispettivo nel francese (obsoleto) justicier. È chiaro che la parziale opacità semantica della parola è il frutto dell’evoluzione del concetto di giustizia: mentre anticamente le pene corporali di vario tipo — dalla mutilazione e la tortura all’uccisione — erano molto piú comuni, oggi sono, per fortuna, la triste eccezione, sicché amministrare la giustizia non è piú sinonimo di condannare a morte.
domna charola
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Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Intervento di domna charola »

Insomma, detto terra terra, vigeva il bilancio puro: occhio per occhio. Quindi, quando il crimine era abbastanza grosso da essere trascinato in giudizio, fare giustizia significava rendere il pari.
E il colpevole verso cui veniva applicata la giustizia era "giustiziato" (cfr. il solito DuCange). Questo, in origine. Poi, il senso si è mantenuto nel caso della giustizia maggiore, più eclatante, ma soprattutto di quella che ancora sembra applicare l'arcaica legge del taglione.
Non è un caso che laddove in occidente si "giustizia" uccidendo, ciò è applicato a sua volta a colpevoli di uccisioni. Quindi, entriamo in un ambito in cui il significato del termine è ancora quello originario.
Per le altre forme di giustizia, maturate successivamente e più evolute, si è preferito, per ovvi motivi, cambiare terminologia, visto che il senso della pena stessa era cambiato.
Avatara utente
Carnby
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Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
Località: Empolese-Valdelsa

Intervento di Carnby »

domna charola ha scritto:Insomma, detto terra terra, vigeva il bilancio puro: occhio per occhio.
Direi di no: solitamente l'esecuzione della condanna era molto più violenta del crimine compiuto, perché doveva servire «da esempio» e «da monito».
domna charola
Interventi: 1633
Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Intervento di domna charola »

...beh... l'occhio del vicino è sempre più verde... :roll:

Seriamente, vero anche questo. All'origine, c'era la parificazione. Poi si è calcata la mano. A maggior ragione, resta a "giustiziare" il significato più negativo e pesante, proprio perché rievoca questo tipo di "giustizia".

Bisognerebbe fare comunque delle distinzioni, inannzitutto non applicando al passato metri di giudizio e sensibilità che sono dei nostri tempi, procedimento questo massimamente antistorico. Uno dei "padri" della moderna storiografia, Mark Block, ripeteva che "lo storico cerca l'Uomo", ovvero deve primariamente immedesimarsi nella realtà dell'epoca che sta studiando, per comprendere pulsioni e moventi degli attori della sua "storia". E Duby, suo discepolo, passeggiava nelle campagne francesi per cogliere suggestioni di come quel paesaggio dovesse apparire ai contadini menzionati nei cartolari della sua tesi di dottorato.

Ora, in un mondo in cui un cavallo vale di gran lunga in più di uno schiavo (leggi longobarde), e il valore di una donna è subordinato a quello dell'uomo a cui appartiene, è evidente che anche il metro di giudizio cambia radicalmente.
Chi uccideva un cavallo, ad esempio, pagava con la morte, non perché la pena fosse di gran lunga superiore alla colpa, ma perché si pensava realmente che un cavallo di un nobile valesse quanto la vita di un uomo non nobile. Quindi, per loro, molto spesso valeva ancora l'arcaico taglione.

Così anche per la violazione della proprietà in sé, quale può essere il semplice furto dell'animale, valutazione questa che, del resto, pare appartenere ai meandri oscuri dell'istinto umano se, anche ai tempi nostri, più voci si levano a rivendicare il diritto di sparare a vista per difendere "la proprietà"... tempi oscuri, purtroppo, in cui la ragione lascia luogo nuovamente agli istinti arcaici...
Marco Treviglio
Interventi: 142
Iscritto in data: mar, 30 giu 2015 13:27

Intervento di Marco Treviglio »

Grazie mille a tutti per le vostre risposte! :)

Come appunto posso dire che riguardano prettamente l'aspetto storico. Seguendo queste teorie, mi vien da dire che, presto o tardi (se davvero si riuscirà ad eliminare ovunque questa forma di condanna), eliminata la «pena di morte» da tutte le giurisdizioni, avremo con «giustiziare» un altro arcaismo, avendo cosí “bruciato” un termine utile a sostituire locuzioni come, e.g., «rendere giustizia».

Tempo fa ricevetti la seguente risposta:
[Q]uel "giustiziare" (derivante da "giusto") esiste anche in altre lingue:

Spagnolo:
justo - giusto
justiciar - giustiziare

Tedesco:
recht - giusto, destro
hinrichten - giustiziare

Slovacco:
pravý - giusto, destro
popraviť - giustiziare

Quindi mi pare che qui si tratti di un termine giuridico, suppongo latino medievale, che poi fu adattato ("tradotto") anche in altre lingue (la parola slovacca sembra un calco di quella tedesca).
Ma il fatto è che la nascita di questi termini e il loro significato unico “puramente negativo” lo ritrovo sí nel Pianigiani ma accompagnato da un altro, ossia "Far giustizia;" ("Far ciò che è giusto e dovuto altrui"), il quale, a quanto pare, è poi [ri]scomparso.
Nel Tommaseo v'è un terzo significato, anche questo “eliminato”.

Ora, quel che mi chiedo è questo: com'è che un vocabolo nato con il chiaro intento di sensibilizzare [preferirei dire "viziare"] l'opinione pubblica sulla «pena di morte» come condanna apparentemente condivisibile per tutti, e in particolar modo per la "giustizia", abbia poi [tentato (?)/] aggiunto un'altra valenza, giustamente (aggiungo io), per infine ritrovarci “punto e a capo”.
Da noi, mi pare che, magari sbaglio, non sia esistita la «condanna a morte» a seguito di «giusto processo» (parlo degli ultimi sette-ottocento anni) ma piuttosto che il termine sia stato utilizzato per lo piú principalmente a seguito di assassinî commessi da parte di singoli o gruppi appartenenti ad un determinato tipo di mentalità [tipo quella «mafiosa», per intedersi] che segue regole “private” e si fa “giustizia” da sé.

Alla luce di tutto questo, come si spiega quanto riportato dal Pianigiani? Pura creatività senza alcun fondamento storico e/o linguistico-semantico? o ciò era valido esclusivamente nel periodo appena antecedente il Ventennio?
E quello riportato dal Tommaseo-Bellini?
Secondo Voi, sono stati tentativi senza successo di trasmutazione di significato del lemma o semplici attestazioni di valenze valide solo per il determinato periodo storico di riferimento dei dizionarî citati?

In conclusione, ci sarà un giorno la possibilità di poter scrivere, e.g., frasi come questa:
«Il processo di integrazione europea presuppone che l'Italia sia in grado di giustiziare in tempi accettabili.»
per esprimere
«Il processo di integrazione europea presuppone che l'Italia sia in grado di rendere giustizia in tempi accettabili.»?



P.S.: Scusate il ritardo.
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