«Finanche»
Moderatore: Cruscanti
«Finanche»
Buongiorno cruscanti,
mi piace molto l'avverbio finanche in luogo di 'perfino', ma non vorrei abusarne perché non so se possa risultare di ostica comprensione. Pertanto ho consultato diversi dizionari per vedere se fosse d'uso comune o no, i quali peraltro si sono rivelati controversi.
Treccani: Non Comune
Sabatini-Coletti:Comune
Zanichelli: Comune
Mavericks (OS X): Letterario
Gabrielli: Letterario
Secondo voi qual è il giusto responso? Grazie.
mi piace molto l'avverbio finanche in luogo di 'perfino', ma non vorrei abusarne perché non so se possa risultare di ostica comprensione. Pertanto ho consultato diversi dizionari per vedere se fosse d'uso comune o no, i quali peraltro si sono rivelati controversi.
Treccani: Non Comune
Sabatini-Coletti:Comune
Zanichelli: Comune
Mavericks (OS X): Letterario
Gabrielli: Letterario
Secondo voi qual è il giusto responso? Grazie.
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Idem per fors'anche?Marco1971 ha scritto:Per me è letterario, fuori della lingua parlata comune.
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- Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30
- marcocurreli
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Sí. Poi bisognerebbe vedere nel contesto, ma nel parlato, contrariamente a quanto le è stato risposto, direi che sono forme marcate, sostituibili con "anche forse" o " perfino/persino". E sicuramente, consultando gli archivi di lingua parlata, non si troverebbero queste forme, proprie della lingua scritta.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Grazie per i vostri interventi.
Purtroppo mi capitano spesso dubbi simili, inerenti al regime d'uso. Sono diverse le parole che intendo comuni ma che invero non lo sono. E nonostante che consulti i dizionari, i dubbi permangono.
Detto fatto: invero, ad esempio. E per citarne un altro: sovente.
Esiste dunque una panacea?
Chiedo scusa se stia andando fuori tema.
Purtroppo mi capitano spesso dubbi simili, inerenti al regime d'uso. Sono diverse le parole che intendo comuni ma che invero non lo sono. E nonostante che consulti i dizionari, i dubbi permangono.
Detto fatto: invero, ad esempio. E per citarne un altro: sovente.
Esiste dunque una panacea?
Chiedo scusa se stia andando fuori tema.
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Ritengo che tutti i termini indicati nei precedenti messaggî si possano considerare letterarî, come è già stato autorevolmente spiegato, ciò non toglie chi sia possibile impiegarli anche nella lingua parlata; non tutti usano un linguaggio strettamente standard e soprattutto ciascuno ha la possibilità di personalizzare il proprio eloquio con termini più o meno letterarî, cercando di evitare, tuttavia, effetti comici.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Tutto questo discorso mi riporta a una lezione del mio professore, quando disse: «E lucevan le stelle lo può dire solo Mario Cavaradossi nell’ultimo atto della Tosca.» Le stelle brillano, rilucono, sfavillano… Dunque: ognuno è naturalmente libero d’impiegare termini letterari anche nel parlato, ma rischia di apparire pedante o fuori luogo o ridicolo. È tutta la questione dei registri di lingua: chi comunica bene sa adattare il proprio linguaggio alla situazione in cui si trova.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Millermann
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- Iscritto in data: ven, 26 giu 2015 19:21
- Località: Riviera dei Cedri
Concordo con quanto affermato finora.
Si deve comunque considerare che, in taluni casi, può non essere il «registro» a guidare la scelta dei vocaboli: questa può anche essere influenzata dal dialetto sottostante, e cosí un'espressione in italiano regionale può apparire letteraria o da... opera lirica.
Nel mio dialetto la frase «stanotte le stelle brillavano» sarebbe, piú o meno, «stanotti i stilli lucíenu», ed ecco che la frase di Cavaradossi non sonerebbe piú cosí strana, né tantomeno ridicola. Analogamente, da noi «perfino» si dice «finàncu» (pronunciato /fiˈnaŋɡu/ o /fiˈnaŋ:u/), e perciò questa parola in italiano non mi suona né "ostica" né letteraria. Se non ne faccio uso nel parlato, casomai, è perché mi suona "finanche" popolare!
Si deve comunque considerare che, in taluni casi, può non essere il «registro» a guidare la scelta dei vocaboli: questa può anche essere influenzata dal dialetto sottostante, e cosí un'espressione in italiano regionale può apparire letteraria o da... opera lirica.
Nel mio dialetto la frase «stanotte le stelle brillavano» sarebbe, piú o meno, «stanotti i stilli lucíenu», ed ecco che la frase di Cavaradossi non sonerebbe piú cosí strana, né tantomeno ridicola. Analogamente, da noi «perfino» si dice «finàncu» (pronunciato /fiˈnaŋɡu/ o /fiˈnaŋ:u/), e perciò questa parola in italiano non mi suona né "ostica" né letteraria. Se non ne faccio uso nel parlato, casomai, è perché mi suona "finanche" popolare!
In Italia, dotta, Foro fatto dai latini
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
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- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
- Località: Legnago (Verona)
È vero ciò che dice Merlu: l’estremamente popolare e l’estremamente aulico talvolta si toccano. Nella mia variante del veneto, per fare i primi esempi che mi vengono in mente, ci sono ombría e pàndare, anche se hanno accezioni leggermente differenti da quelle italiane: ombría è, semplicemente, ombra e pàndare vale «palesare, rivelare, confessare» e si usa anche nei tempi composti (participio passato panto).
Ad ogni modo, anche la scelta di vocaboli che, per accidente, appartengono all’italiano formale o letterario pertiene al registro linguistico: un italiano fortemente interferito dal dialetto si usa in genere in un registro colloquiale.
Ad ogni modo, anche la scelta di vocaboli che, per accidente, appartengono all’italiano formale o letterario pertiene al registro linguistico: un italiano fortemente interferito dal dialetto si usa in genere in un registro colloquiale.
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