"Quest'oggi"?

Spazio di discussione su questioni di lessico e semantica

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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Riporto un passo della grammatica del Serianni (p. VI) che mi pare piuttosto attinente:

[…] nessuno oggi si sforzerebbe di evitare suicidarsi per ‘uccidersi’, fino a qualche tempo fa considerato errore per il doppio riflessivo (non ci si può uccidere due volte!): l’uso ha imposto questa forma non per un capriccio imprevedibile, ma perché il latino sui ‘di sé’, inglobato nel francese suicidé […], è risultato opaco alla coscienza linguistica dei parlanti, che hanno nuovamente “riflessivizzato” il verbo con il consueto pronome personale.

Come dice Marco, l’etimologia non è tutto — soprattutto quand’essa risulta affatto (;)) «opaca alla coscienza linguistica dei parlanti», com’è nel caso di suicidarsi, domani e oggi.

Secondo il De Mauro, è la terza volta che c’incontriamo quest’oggi è affine a me ne occupo oggi stesso. In altre parole, questo non serve a distinguerlo da codesto o da quello, ma è —come ha già detto Marco— un semplice rafforzativo: un po’ come l’espressione queste mie mani, che non serve certo a distinguerle da *codeste mie mani o da *quelle mie mani (ma non per questo è da considerarsi un errore). :D
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Zabob mi ha preceduto. Nel mio dialetto infatti si dice ancöi. A questo punto non mi sembrerebbe per niente strano che Dante avesse ripreso ancoi dal ligure.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

u merlu rucà ha scritto:Zabob mi ha preceduto. Nel mio dialetto infatti si dice ancöi. A questo punto non mi sembrerebbe per niente strano che Dante avesse ripreso ancoi dal ligure.
È più probabile che l'abbia preso dal bolognese (l'AIS dà [i]ŋkû per Bologna, è quasi sicuro che nel Duecento la voce fosse un po' differente), del quale era un grande estimatore.
Ultima modifica di Carnby in data mer, 05 set 2012 22:33, modificato 1 volta in totale.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Giusto per completar il quadro, riporto quanto dice il Dizionario etimologico del dialetto cremonese:

Incóo (avv. = oggi). Dal lat. hinc hodie. Cfr. crem. incò e ’ncò; pav. incö; mil., piac., mant. incó; bol. incú.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Carnby ha scritto:
u merlu rucà ha scritto:Zabob mi ha preceduto. Nel mio dialetto infatti si dice ancöi. A questo punto non mi sembrerebbe per niente strano che Dante avesse ripreso ancoi dal ligure.
È più probabile che l'abbia preso dal bolognese (l'AIS dà [i]ŋkû per Bologna, è quasi sicuro che nel Duecento la voce fosse un po' differente), del quale era un grande estimatore.
Dante usa ancoi, se avesse ripreso dal bolognese la forma sarebbe incoi. Forse l'antico lombardo aveva una forma ancoi, ma non sono sicuro, non avendo la mia biblioteca sotto mano, a causa di traslochi e problemi vari.
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Zabob
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Intervento di Zabob »

u merlu rucà ha scritto:non mi sembrerebbe per niente strano che Dante avesse ripreso ancoi dal ligure.
Nel mio precedente intervento non le ho riportate, ma le aggiunte alle note di Baldassarre Lombardi apportate dagli Editori della Minerva (quelle comprese fra le due frecce in fondo a questa pagina) ci dicono:
È più probabile che questa voce derivi dal provenzale ancui, come annota la E.F. [N.d.Z.: Edizione Fiorentina "all'insegna dell'Ancora"]
L'ipotesi che Dante abbia preso il suo "ancoi" dall'ancui/anchoy provenzale (anziché dall'ancò del veronese) è condivisa da altri commentatori.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Secondo il De Mauro, il Garzanti e il Devoto-Oli, viene «dal provenz. ancoi, dal lat. hodie con pref. incerto». Inoltre, il Devoto-Oli lo marca come «arcaico e veneto».
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Nel mio dialetto, oggi è ancò e, talvolta, anche oncò. Non so ben rintracciare l'origine di quest'ultima forma, concorrente del piú canonico ancò: o si tratta di un ipotetico *HUNC HODIE oppure è una semplice assimilazione della vocale pretonica alla vocale tonica.
2barconi
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Intervento di 2barconi »

Sono arrivato a questo vecchio 3d cercando lume sulla espressione “Quest’oggi” che come straniero in italia mi colpisce, tra altre curiosità della vostra lingua.

Sono d’accordo con Fausto. “Quest’oggi” più que una inesattezza etimologica, è una stupidaggine logica - non cè discussione possibile su questo - e come tale suona a noi, non italiani.

Giustificare poi l’uso di tale enfasi nel linguaggio corrente per l’uso che ne hanno fatto poeti e literati è una sciocchezza come dire che gli orologi devono essere gocciolanti come li dipingeva Dalì. L’artista può fare quello che vuole sia con le parole che con le forme 3d 2d che siano, non vorrei le nostre città assomigliasero a quelle che Bosch rapresentaba. Inoltre il ricorso alla autorità (poeti e literati cittati) per giustificare o dimostrare qualcosa è ben povera arma per la discussione del merito. Va bene che l’Italia sia terra di naviganti e poeti ma non è questione di esagerare, non tutti lo sono e non tutto il tempo, cioè, cè un linguaggio poetico e uno giornaliero. Non credo che quelli grandi poeti menzionati parlassero con suoi vicini nella stessa maniera che scrivevano le loro masterpiece, sarebbe ridicolo.

Neanche il ricorso alla storia lontana e ai dialetti è pertinente, per quel poco che ho letto si può cominciare a parlare di una lingua italiana a cavallo tra il 1500/1600, senza parlare della sua diffusione sul territorio, per lo quale dobbiamo aspettare il 1900. In Argentina, tra mio nonno romagnolo e mia nonna piemontese si parlaba lo spagnolo piuttosto che le poche parole d’italiano che sapevano.

Detto questo, le lingue non si discutono ma a livello popolare si usano come sono, è molto difficile essere critici con la lingua madre, attorno alla quale prende forma il pensiero.

Quello che sì risulta odioso e sentire professionisti (si fa per dire) della parola, cioè giornalisti televisivi e radiofonici usare la locuzione “Quest’oggi”, per alcuni in completa sostituzione del corretto “oggi”. Gran parte di questi “professionisti della parola” inoltre dicono “scinque”, “scina”, “sci sono”, “scentro”, “soscietà” è così via, che pur risultandomi simpatico a Roma, è inaccettabile in chi è pagato per parlare in Italiano e non per diffondere errori di pronuncia. Questo per non parlare da chi le mete il microfono in mano senza chiedere una corretta dizione.

Per condividere con voi altre perplesità nelle quali ci imbattiamo gli stranieri con la lingua italiana (almeno quelli provenienti dall’inglese e dallo spagnolo) vi menziono queste, senza entrare nel merito: il salto logico “un dito - le dita, ginocchio, lenzuolo, etc”, l’uso della terza persona femminile per il trattamento di cortesia, la confusione tra ruolo e qualità, per esempio il rettore universitario è “magnifico”, il deputato “onorevole”, un gruppo di specialisti è una comissione di “saggi” e ti trovi allora che “Il Magnifico x, partecipante alla riunione dei saggi a tenuto una Lectio Magistralis”... sembra uno scherzo. Ci sono poi i modi che non dicono niente, come per esempio “era vestito di una certa maniera”, linguaggio per iniziati. Mi fermo qui, sperando non avere risvegliato il chauvinismo di qualcuno dando un parere di outsider. :D
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

2barconi ha scritto:Gran parte di questi “professionisti della parola” inoltre dicono “scinque”, “scina”, “sci sono”, “scentro”.
Attenzione, però: la deaffricazione avviene in posizione intervocalica. Se si chiede a un romano di pronunciare la parola cinque, egli dirà /'ʧinkwe/. Comunque, sempre meglio una pronuncia di questo tipo, mero fenomeno fonetico, che obbrobri come génte, teléfono, béne, macchinètta, e chi piú ne ha piú ne metta (ehm... mètta :lol: ).
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Qualche appunto sull'intervento di 2barconi. Innanzitutto benvenuto. Purtroppo non si possono giudicare le strutture di una lingua con quelle di un'altra. Quello che può sembrare poco logico in una lingua, non lo è in un'altra. Gli italiani che studiano lo spagnolo impazziscono per l'uso di ser e estar, perché l'italiano usa solo essere, mentre gli spagnoli usano spesso stare, parlando l'italiano (cosa che fanno peraltro molti italiani meridionali, nei cui dialetti essere/stare si usano come in spagnolo) invece che essere. Del resto, tornando a quest'oggi, il termine settentrionale ancò/incò 'oggi' deriva da una forma latina che significa letteralmente 'quest'oggi'.
Largu de farina e strentu de brenu.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Innanzitutto, benvenuto. :)
2barconi ha scritto:Sono arrivato a questo vecchio 3d…
In questo fòro cerchiamo di non adoperare forestierismi inutili, come thread (3d, poi, sembra un incomprensibile miscuglio d’italiano e inglese); come avrà notato, noi diciamo filone (di discussione). Veda il punto 9 del nostro decalogo.
2barconi ha scritto:Sono d’accordo con Fausto. “Quest’oggi” più que una inesattezza etimologica, è una stupidaggine logica - non cè discussione possibile su questo - e come tale suona a noi, non italiani.
Le lingue naturali contengono tutte molte espressioni illogiche. Il collo della bottiglia è un vero collo? La montagna ha i piedi, il tavolo ha le gambe? Perché la patata, in francese, dovrebbe essere una «mela di terra»? E com’è bizzarro dire quattro-venti per ottanta!

Come ha già detto benissimo Marco, si tratta di un semplice rafforzativo: non c’è motivo di gridare alla stupidaggine. :)
2barconi ha scritto:Giustificare poi l’uso di tale enfasi nel linguaggio corrente per l’uso che ne hanno fatto poeti e literati è una sciocchezza come dire che gli orologi devono essere gocciolanti come li dipingeva Dalì. L’artista può fare quello che vuole sia con le parole che con le forme 3d 2d che siano, non vorrei le nostre città assomigliasero a quelle che Bosch rapresentaba. Inoltre il ricorso alla autorità (poeti e literati cittati) per giustificare o dimostrare qualcosa è ben povera arma per la discussione del merito.
Beh, nemmeno codesta argomentazione è tanto solida. Qui teniamo a caro l’uso illustre dei grandi scrittori della tradizione. In quest’ottica, l’attestazione di un’espressione presso i maggiori esponenti della nostra letteratura è un fatto di cui non si può non tener conto, per lo meno se si ha a cuore la preservazione del registro piú alto della lingua.

È di tutta evidenza, però, che il caso di cui discutiamo qui è completamente diverso. Quest’oggi è un’espressione comunissima, giustificata, come è già stato detto, dalla volontà di rafforzare il concetto, e avallata dall’uso illustre. Il parallelo con l’arte figurativa, mi perdoni, c’entra molto poco.
2barconi ha scritto:Va bene che l’Italia sia terra di naviganti e poeti ma non è questione di esagerare, non tutti lo sono e non tutto il tempo, cioè, cè un linguaggio poetico e uno giornaliero. Non credo che quelli grandi poeti menzionati parlassero con suoi vicini nella stessa maniera che scrivevano le loro masterpiece, sarebbe ridicolo.
Nemmeno codesta argomentazione è molto centrata. Non stiamo discutendo di una locuzione o un vocabolo d’uso poetico (es. egro, alma, fia, fora, ecc.), il cui ricupero è impossibile nella lingua di tutt’i giorni, ma di un’espressione ordinaria, banale, nota a tutti.
2barconi ha scritto:Neanche il ricorso alla storia lontana e ai dialetti è pertinente…
Al contrario, è pertinentissimo, perché mostra come certi meccanismi di rafforzamento siano del tutto naturali nelle lingue. Pensi a salir su o scender giú, del linguaggio colloquiale.
2barconi ha scritto:Detto questo, le lingue non si discutono ma a livello popolare si usano come sono, è molto difficile essere critici con la lingua madre, attorno alla quale prende forma il pensiero.
Appunto! :)
2barconi ha scritto:Per condividere con voi altre perplesità nelle quali ci imbattiamo gli stranieri con la lingua italiana (almeno quelli provenienti dall’inglese e dallo spagnolo) vi menziono queste, senza entrare nel merito: il salto logico “un dito - le dita, ginocchio, lenzuolo, etc”, l’uso della terza persona femminile per il trattamento di cortesia, la confusione tra ruolo e qualità, per esempio il rettore universitario è “magnifico”, il deputato “onorevole”, un gruppo di specialisti è una comissione di “saggi” e ti trovi allora che “Il Magnifico x, partecipante alla riunione dei saggi a tenuto una Lectio Magistralis”... sembra uno scherzo. Ci sono poi i modi che non dicono niente, come per esempio “era vestito di una certa maniera”, linguaggio per iniziati. Mi fermo qui, sperando non avere risvegliato il chauvinismo di qualcuno dando un parere di outsider. :D
Però lei ora mi fa un gran miscuglio di cose diverse, che esulano dal tema del filone. Tutte, peraltro, trovano una piena giustificazione o nella grammatica storica o nella consuetudine giornalistica e burocratica. Se ne vuol discutere, apra tanti filoni quante sono le sue curiosità. :)
Fausto Raso
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Iscritto in data: mar, 19 set 2006 15:25

Intervento di Fausto Raso »

Interessante distinguo tra oggi e quest'oggi secondo il Tommaseo.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
sempervirens
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Iscritto in data: gio, 23 apr 2015 15:14

Intervento di sempervirens »

Mah, quando sento parlare di logicità di questa o quella lingua tendo a girare la testa dall'altra parte.

Personalmente mi compiaccio che nella mia lingua ci siano tante espressioni che mi permettono di variare il mio vocabolario.
All'etimologia non posso non riconoscerle un merito principale, quello di mostrarmi le origini storico-linguistiche della mia lingua. Saputo questo, nei limiti delle mie capacità, posso fare un quadro generale di tutto il resto.

Tornando al fulcro, trovo che espressioni come "giorno odierno, oggi, quest'oggi, oggi stesso, il giorno di oggi", ecc., abbiano tutte diritto di far parte del corpus linguistico italiano.
Capisco la frustrazione degli studenti che non trovano corrispondenze sintattiche o lessicali nella propria lingua madre. Ma qui c'è ben poco da fare! È difficile che una lingua straniera possa piacere nella sua interezza.

Riporto qui quanto dice il Treccani in merito: òggi avv. [lat. hŏdie, da *ho diē (per hoc die) «in questo giorno»]. –

Dunque, anche l'espressione Nella giornata di oggi sarebbe strana, in italiano, e nelle altre lingue che dal latino hanno usufruito dello stesso materiale lessicale, dal momento che l'avverbio oggi etimologicamente significherebbe in questo giorno.

A me sembra che candidata ad essere una parafrasi di proprio in questo giorno possa benissimo essere l'espressione quest'oggi.

A proposito, quest'oggi in Giappone si celebra la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Io nella mia lingua ci credo.
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