«Eskere»

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«Eskere»

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Ferdinand Bardamu ha scritto: gio, 09 lug 2020 9:28 Vorrei soffermarmi su eskere (subito pensavo si trattasse di una parola basca). Non vedo l’utilità per il pubblico di dare tanto risalto a una parola tutt’altro che nota e diffusa, tra l’altro adoperata non da De André, dagli Area, o dalla PFM, ma dalla Dark Polo Gang (?) e da Bello Figo (?). Io questa necessità di «svecchiarsi» indulgendo all’ultimo occasionalismo «alla moda» (si fa per dire) proprio non la capisco…
Mi rendo conto di non riuscire a fornire nessun contributo significativo, ma, ormai, ho la penna in mano. Eventualmente, qualcuno provvederà a cancellare il mio messaggio.

Reprimo anche la mia propensione critica nei confronti di De André, cui, per altro, mi sono già lasciato andare. Almeno in riferimento al De André in genovese che, pronunciato da lui (che non lo parlava e che non lo conosceva, essendo nato in un ambiente sociale elevato e da genitori non del posto), un "nativo" non riesce davvero a comprendere e "vive", al più, come "insincerità" dell'espressione e "caricatura" di questo linguaggio.

Vengo a eskere in merito al quale ho interpellato diversi giovani con cui sono in contatto e che ero convinto conoscessero la voce. La mia aspettativa non è andata delusa. I ragazzi cui mi sono rivolto conoscono eskere e, almeno, la variante esketit. Sebbene io non sia, in fondo, così ingenuo, ho provato - quasi per "dovere di cronaca" - a chiedere loro il significato. A mio avviso un giovane che usasse il termine sapendo che deriva da "let's get it" e si fosse chiesto il perché della "transizione linguistica", della pronuncia - nell'inglese d'America - di /-t-/ ecc., dimostrerebbe, per altro, una notevole capacità di sapersi incuriosire e buone competenze di ragionamento, anche di tipo linguistico.

Le varie risposte ricevute - praticamente molto simili - sono risultate "inesorabili". E tutte contenevano la "generalizzazione" del concetto esposto: "Sì, sappiamo che è americano, ma ci piace perché non si capisce". E, di seguito, la "generalizzazione": "Piace ciò che non si capisce". Quindi, se fosse in italiano, ci sarebbe il "rischio" di capire.

La conclusione che chiude quest'intervento è espressa con parole mie, ma il "concetto" è assolutamente loro e deriva dalla breve intervista di cui ho riferito: "Capire implica frustrazione - come imparare - e la frustrazione/lo sforzo per comprendere non risultano popular".
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Ferdinand Bardamu
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Re: «Eskere»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Grazie di aver condiviso la sua intervista. Mi preme sottolineare che la mia polemica riguarda l’opportunità di dare risalto a questa parola in una sezione chiamata «parole nuove», il cui criterio di selezione è a dir poco opinabile. Contiene infatti piú d’un termine che ha avuto vita breve (millennium bug, eurocent, ormai soltanto relitti di vent’anni fa), e parole del gergo giovanile dei tardi anni Dieci, come questa o come bufu. Quest’ultima è addirittura legata quasi esclusivamente all’uso che ne fa la suddetta «Dark Polo Gang».

Credo sia motivo di perplessità l’inclusione di simili parole in un generico elenco ragionato di neologismi. Non che non metta conto esaminarle, per esempio in un’opera che raccolga i termini del gergo giovanile di un certo momento. Ma bisogna essere consapevoli che ogni generazione ha il proprio modo di parlare; anzi, in questo caso la vitalità (?) di bufu ed eskere, dipendendo dalla popolarità dei personaggi che usano tali espressioni, è destinata ad affievolirsi, perché, per dirla papale papale, non stiamo parlando dei Pink Floyd o dei Beatles.

Un’istituzione come la Crusca, che gode tuttora di credito, finisce cosí col dare piú risalto di quel che meritino a quelli che con ogni evidenza sono meri occasionalismi.
Ligure ha scritto: gio, 09 lug 2020 19:39Reprimo anche la mia propensione critica nei confronti di De André, cui, per altro, mi sono già lasciato andare. Almeno in riferimento al De André in genovese che, pronunciato da lui (che non lo parlava e che non lo conosceva, essendo nato in un ambiente sociale elevato e da genitori non del posto) un "nativo" non riesce davvero a comprendere e "vive", al più, come "insincerità" dell'espressione e "caricatura" di questo linguaggio.
Preciso che ho citato De André solo per menzionare qualche «buon cantante e musicista di una volta», buono soprattutto se paragonato ai due diffusori della parola oggetto del filone: non intendevo esaltarne la conoscenza del genovese, che non conosco.
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Re: «Eskere»

Intervento di Ligure »

Mi trovo d'accordo con tutto quanto lei scrive.

In particolare col concetto relativo all'occasionalità. Qualsiasi teoria scientifica della memoria confermerebbe che un dato che non è stato "compreso" - cioè "adeguatamente" elaborato - non può aver "costruito" un numero e una struttura di "circuiti cerebrali" tali da poter evitare l'oblio "cerebrale" - e, quindi, dell'uso -. A meno che non si tratti di una "salienza" di tipo traumatico. Ma eskere - per quanto possa averci colpito (anche in base alle sequenze spettacolari in cui è stato originariamente proferito) - penso ci abbia sempre concesso sonni tranquilli.

Anche relativamente a De André di cui nessuno ha intenzione di porre in discussione il ruolo nella musica leggera.

Il collegamento mentale con i suoi testi in genovese era al concetto illustratomi dai giovani in base al quale "piace ciò che non si conosce" e alla possibilità logica del suo opposto. Personalmente, se un cantante straniero diffondesse una canzone liricamente "seriosa" pronunciata coll'accento di Stanlio e Ollio - so che i giovani non li conoscono - e la critica si sdilinquisse in merito, rilevando, inoltre, la perfetta aderenza alla lingua italiana delle generazioni dei miei genitori e dei miei nonni (che non differisce di molto dalla mia perché da loro l'ho imparata anni prima di andare a scuola e con loro ho sempre parlato) mi sentirei un po' preso per il naso. Ma si tratta soltanto di sensibilità personale acuita dal clima afoso. Tutto qui. :wink:

Lo stesso, per altro, mi accadrebbe se qualche critico musicale, resosi conto della concretezza delle mie buone ragioni linguistiche, mutasse di registro - all'epoca venne scritto anche questo nelle recensioni - e sostenesse che quell'italiano alla Stanlio e Ollio non deve essere valutato come faccio, in quanto si tratta di una "lingua d'arte", una "lingua altra". Che - al contrario - purtroppo permane troppo vicina alla lingua effettiva e che non riuscirei a percepire - soprattutto emotivamente - se non come un tentativo di apprendimento e di riproduzione non riuscito e, quindi, una storpiatura di qualcosa di storicamente esistente e non il frutto di una creatività davvero libera.

In un italiano pronunciato alla maniera di Stanlio e Ollio non si giungerebbe mai al cuore e ai sentimenti delle persone. Checché ne dicano i critici. Prevarrebbe sempre l'aspetto ridicolo della comunicazione.

Lo stesso vale relativamente all'espressione in qualsiasi altra varietà linguistica. E', evidentemente, solo il fatto di appartenenza a un contesto a generare una sensibilità specifica. Ho proposto l'esempio della lingua italiana semplicemente in quanto comprensibile per tutti.
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Re: «Eskere»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Ligure ha scritto: gio, 09 lug 2020 21:35Il collegamento mentale con i suoi testi in genovese era al concetto illustratomi dai giovani in base al quale "piace ciò che non si conosce" e alla possibilità logica del suo opposto. Personalmente, se un cantante straniero diffondesse una canzone liricamente "seriosa" pronunciata coll'accento di Stanlio e Ollio - so che i giovani non li conoscono - e la critica si sdilinquisse in merito, rilevando, inoltre, la perfetta aderenza alla lingua italiana delle generazioni dei miei genitori e dei miei nonni (che non differisce di molto dalla mia perché da loro l'ho imparata anni prima di andare a scuola e con loro ho sempre parlato) mi sentirei un po' preso per il naso. Ma si tratta soltanto di sensibilità personale acuita dal clima afoso. Tutto qui.
Grazie della precisazione: ora ho capito il collegamento.

La caratteristica vincente di eskere è dunque la sua incomprensibilità: rientra proprio nella definizione di gergo l’oscurità per i non iniziati. D’altra parte, è indubbio che questa parola fa parte dello strato gergale «innovante ed effimero» del linguaggio giovanile. Un motivo in piú per non occuparsene.
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