«Cessa»

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Ferdinand Bardamu
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«Cessa»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Nella traduzione italiana ad opera di Agostino Villa dei Fratelli Karamàzov di Dostoevskij, si trovano diverse occorrenze dell’espressione senza cessa, col significato di ‹senza posa, ininterrottamente›.

La locuzione si trova anche nella nota (curata da Benedetto Croce) contenuta nel volume Poesie varie di Giambattista Marino, pubblicato da Laterza nel 1913.

Non ne ho trovato traccia in alcun dizionario in Rete. (Nel Battaglia e nel De Mauro in Rete si trova cessa, con lo stesso etimo ma con un significato diverso, specifico). Si potrebbe trattare d’un francesismo («sans cesse»)?
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G.B.
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Re: «Cessa»

Intervento di G.B. »

Ferdinand Bardamu ha scritto: lun, 22 mar 2021 14:07 Si potrebbe trattare d’un francesismo («sans cesse»)?
Cosí il Panzini, con piglio puristico (ultima colonna, in basso).
G.B.
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Ferdinand Bardamu
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Re: «Cessa»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

La ringrazio. :) Ne ricopio il testo per evitare che vada perduto se il collegamento non funzionerà piú:
Alfredo Panzini in «Dizionario moderno. Supplemento ai dizionari italiani» ha scritto:Senza cessa: per senza posa, (fr. sans cesse) è un errore, raro, se si vuole, ma riscontrato talora nei giornali, e proveniente da manifesta dimenticanza della parola italiana, influsso della parola francese e, sopratutto, incuranza dello scrivere italiano. NB. Incuranza, ben si sa, quando si scrive in prosa, ché quando gli italiani si vestono del peplo poetico, allora pescano le parole rare in fondo alla cassa.
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Marco1971
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Re: «Cessa»

Intervento di Marco1971 »

È indubbiamente, come dice il Panzini, un francesismo (in francese sans cesse è espressione comunissima), ma è strano che non sia registrato dal Battaglia, visto che ne troviamo un certo numero di attestazioni ottocentesche.

Nella BIZ[a] ce n’è una sola occorrenza:

Le signore più note per sfarzo erano già state riconosciute e girellavano con dietro un crocchio di ammiratori; altre, fanciulle o mogli di piccoli impiegati, camuffate alla meglio, andavano sole o s’arrestavano agli angoli, respinte da quella folla più felice, allineandosi involontariamente alle pareti come quei rimasugli ributtati dalle acque del mare senza cessa alla riva, e che vi rimangono come una indefinibile orlatura. (Oriani, Oro Incenso Mirra, 1904)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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