Valutazione dei doppiatori

Spazio di discussione su questioni di fonetica, fonologia e ortoepia

Moderatore: Cruscanti

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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Otto e mezzo. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

In ordine d’«apparizione» (dell’errore):
(1) molte consonanti geminate —/CC/— rese a malapena come [CC];
(2) qualche mancata cogeminazione dopo se —/se°/ anziché /se*/—;
(3) degeminazione di la, le &c —/°la, °le/ &c—;
(4) mancata cogeminazione dopo realtà (o degeminazione di dello);
(5) mancata cogeminazione dopo possibilità (o degeminazione di di);
(6) qualche mancata cogeminazione dopo che;
(7) un paio di /s/ alveolari (anziché dentali) o quasi;
(8) qualche mancata cogeminazione dopo è;
(9) dalla, della &c pronunciati dala, dela &c;
(10) la e di un materia mi sembra piú */e/ che /ɛ/;
(11) deve essere universale pronunciato cosí com’è scritto — molto meglio dev’esser universale;
(12) a volte è /ɛ/ suona troppo simile a e /e/;
(13) qualche mancata cogeminazione dopo e;
(14) mancata cogeminazione in da ricco;
(15) mancata cogeminazione in come faccio?, come puoi?, come pensi?;
(16) la «domanda» a 3:31 presenta una tonía interrogativa ben poco convincente (a me pare conclusiva);
(17) a volte la /a/ è decisamente troppo anteriore, quasi canIPA [ᴀ] (come in francese, per intenderci);
(18) varie /r/ che dovrebbero essere [r] —poiché in sillaba accentata— vengono invece pronunciate soltanto come monovibranti, [ɾ].

Questo è quanto (e non è poco). :D
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Souchou-sama ha scritto:(18) varie /r/ che dovrebbero essere [r] —poiché in sillaba accentata— vengono invece pronunciate soltanto come monovibranti, [ɾ].
È forse questo il tratto che piú colpisce e disturba.

Dopo tutti i rilievi di Souchou-sama, abbasso il voto a sette e mezzo. :D
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Qualche giorno fa hanno dato in TV il film "I dieci comandamenti" (quello con Charlton Heston nella parte di Mosè) e ho notato una pronuncia poco neutra nella voce narrante.

Il raddoppiamento era quasi assente, ma per notarlo dovevo impegnarmici perché lo è anche nella mia parlata. Il confine di parola per me è zona franca, mi suona bene sia raddoppiato che singolo (sarà perché abito sull'isoglossa La Spezia - Rimini ;-) ). Mi saltavano abbastanza all'orecchio, invece, tante doppie interne e autogeminanti parecchio accorciate (in particolare quelle pre-toniche).

La parlata non era marcata come in Peppone (la voce era appunto Gino Cervi, lo storico "Peppone" di Don Camillo) però l'origine emiliana si notava.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Giacché la voce proposta da fiorentino90 non ha esattamente «superato la prova», permettete anche a me di far avanzar una pedina: Valerio Sacco. Che ve ne pare? :)

Per Marco: noto solo ora l’intervento di qualche pagina fa in cui Lei osserva che «[certi doppiatori] hanno questa tendenza a postrarre [sic] l’accento tonico sulla vocale seguente, che è forse una tendenza moderna». Che cosa intendeva dire? (E che verbo intendeva usare? :D) La cosa m’incuriosisce, ma ’un cj ho capito molto!
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ho ascoltato. La voce mi piace alquanto, è gradevole. Tende però a minimizzare tutte le geminate e quasi tutte le cogeminazioni. Mi sembra di aver sentito Agnése e eréde, che per me sono Agnèse e erède. Manca in alcuni casi un maggior legato, del tipo si impegnò (invento), senza ripetere le due i. Accettabile. Nessuno s’accorgerà di nulla.

Con postrarre intendevo proporre un verbo speculare a ritrarre (l’accento tonico); non so se esista un altro verbo meglio coniato per esprimere la stessa cosa: cioè andàre enunciato o percepito quasi come andarè. La mia impressione è che spesso alcuni doppiatori cadano in questo tranello (o in questa cattiva abitudine, direbbe la Callas). Ma qualunque sia il tempo, come in musica, gli accenti che plasmano la frase devono rimanere al loro posto. Cred’io. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Marco1971 ha scritto:Tende però a minimizzare tutte le geminate e quasi tutte le cogeminazioni.
Comincio a temere seriamente che [quasi] tutti i doppiatori si stiano lasciando andare a questa sorta di «settentrionalizzazione»… :( (E magari nemmeno in modo consapevole.)

Quanto ad Agnèse, temo debba rassegnarsi, ché ormai (r)esiste soltanto a Firenze («e nella Toscana interna», DOP). *Eréde mi pare davvero strano (di certo non neutro), ma dovrei riascoltare, ché non lo ricordo.

Quanto al «legato», suppongo che i doppiatori seguano pedissequamente la grafia (magari perché gl’insegnano cosí…). Se soltanto s’imparasse a scriver meglio, e dunque si scrivesse s’impegnò &c, certamente nessun doppiatore leggerebbe si impegnò &c.

Quanto all’accento: quel che sente è forse qualcosa come [anˈdaːˌɾe]? Per intenderci, è un tratto chiaramente percepibile in molti accenti lombardi e in quello napoletano (!). Se di questo si tratta, non posso che esser d’accordo, poiché lo trovo maledettamente fastidioso.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Souchou-sama ha scritto:Quanto all’accento: quel che sente è forse qualcosa come [anˈdaːˌɾe]? Per intenderci, è un tratto chiaramente percepibile in molti accenti lombardi e in quello napoletano (!). Se di questo si tratta, non posso che esser d’accordo, poiché lo trovo maledettamente fastidioso.
Penso di sí. A me fa un effetto antistàndaro.

E postrarre? Qual è il verbo ufficiale?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Mh, bella domanda! Se n’esiste uno, mi sfugge. Per ora, potremmo usare posporre, forse. :)
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Al minuto 8:50 ho notato un "Sigilia" invece di "Sicilia" (pur se non sonorizzato in maniera forte).
Ho sentito chiaramente diverse volte "erède", dov'è che dice "eréde" esattamente? (sono un po' assonnato, magari mi è sfuggito).
fiorentino90
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Intervento di fiorentino90 »

Souchou-sama ha scritto:(16) la «domanda» a 3:31 presenta una tonía interrogativa ben poco convincente (a me pare conclusiva);
Bisogna tener presente che si tratta di una domanda a cui risponde egli stesso pochi secondi dopo. Inoltre, quando la domanda è troppo lunga è preferibile terminare con un punto fermo piuttosto che con uno "svolazzo" finale. E' quanto mi è stato insegnato dai professionisti della voce e secondo Luciano Canepàri essi rappresentano il modello da seguire per quanto riguarda il tipo d'intonazione realizzato.

Comunque, aggiungo che, come tutti professionisti della voce, non realizza l'assimilazione delle consonanti nasali viewtopic.php?p=34349#p34349
fiorentino90
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Intervento di fiorentino90 »

Souchou-sama ha scritto:Quanto al «legato», suppongo che i doppiatori seguano pedissequamente la grafia (magari perché gl’insegnano cosí…). Se soltanto s’imparasse a scriver meglio, e dunque si scrivesse s’impegnò &c, certamente nessun doppiatore leggerebbe si impegnò &c.

Esatto :!: Per lo stesso motivo, non assimilano mai la nasale...
La pronuncia di dal lunedí è identica a quella di da lunedí, no? Perché spesso nella presentazione pubblicitaria delle serie tivvú il doppiatore stacca la elle di dal da quella di lunedí.
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Souchou-sama ha scritto:[A]ltrimenti, il tutto si riduce a un “be’, io dico cosí perché (in Toscana) s’è sempre detto cosí”. Sicché dovrei dire, ad esempio, «frèno» anziché «fréno», che è invece la pronuncia piú raccomandata da qualsiasi dizionario. Inoltre, se non seguissi l’etimologia, dovrei rassegnarmi a pronunce come «tèmo» —che ormai va per la maggiore, e lo stesso Canepari consiglia come «pronuncia moderna»— anziché «témo».
Mi riallaccio al commento di Souchou-sama per chiedervi quanto sia effettivamente orotepica una pronuncia come frèno. Se n'è parlato anche altrove e di recente, per cui mi scuso nel caso in cui dovessi risultare ripetitivo. Il fatto che una parola venga pronunciata in un determinato modo dai toscani (fiorentini), è sufficiente per esser considerata, ortoepicamente, corretta? Voglio dire, se di punto in bianco i fiorentini cominciassero a dire giòrno, sétte, méglio, adotteremmo queste pronunce solamente perché di stampo toscano (fiorentino)? L'etimologia, anche in casi come questi, non conta veramente nulla?
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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

A parte il fatto che l'ipotesi che domani i fiorentini si sveglino e mandino a gambe all'aria secoli di pronuncia tradizionale è alquanto peregrina, per non dire fantascientifica, mi pare che a suo tempo si dichiarò pago di quest'intervento dell'Infarinato. :wink:
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
«Prima l'italiano!»
Ivan92
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Località: Castelfidardo (AN)

Intervento di Ivan92 »

Ovviamente, la mia è un'ipotesi che non sta né in cielo né in terra. Si trattava solamente d'una provocazione, considerando il fatto che frèno è pronuncia impostasi recentemente, attestata dal tardo Ottocento in poi. Ciò che mi stupisce è la semplicità con cui una parola può mutare accento per cause apparentemente insignficanti, come l'analogia o l'attrazione. Forno potrebbe diventare fòrno soltanto perché esiste corno? Lo so, lo so, come dice Lei, è un'ipotesi [molto] peregrina. Son tuttora pago di codesto intervento del sempre sollecito Infarinato. Eppure, non mi capacito di come una pronuncia minoritaria a Firenze e maggioritaria nel resto della Toscana, a Roma, nonché nel Lazio, in Umbria e nelle Marche, e che ha dalla sua pure l'etimologia, sia solamente «pronuncia valida», «seconda variante».
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