Origine della pronuncia normativa

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Marco1971
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Origine della pronuncia normativa

Intervento di Marco1971 »

Nei suoi Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (tomo II, p. 209, n. 131), Arrigo Castellani scrive (sostituisco i diacritici coi simboli fonetici SAMPA per comodità):
Al principio del Trecento la [tS] intervocalica, probabilmente, non s’era ancora spirantizzata in [S]. Sicché s’avevano due unità fonematiche distinte, /tS/ e /S/ (scempie). Il solo modo di distinguer queste due unità era d’adoperare, anche per /S/ scempia, la grafia che il latino offriva per /SS/, cioè sc(i). Invece il fonotipo intervocalico [Z] doveva esser già variante di posizione del fonema /dZ/. Per tutta la questione delle sibilanti palatali a Firenze e in Toscana, vedi i miei Nuovi testi fior., pp. 29-34 e 161-62.
Dunque prima della metà del Trecento circa, come ci conferma anche il Larson (nell’articolo messo a disposizione qui da Infarinato non so piú dove), si pronunciava /'kuSe/ (‘cuce’) ma /'lutSe/ (‘luce’). Da metà Trecento ai giorni nostri, invece, in Toscana, [S] e [Z] sono varianti di /tS/ e /dZ/ in posizione intervocalica (quando non entri in gioco la cogeminazione). Da quasi sei secoli e mezzo, adunque.

Perché, allora, non aver reso normativa questa distinzione? Che non fosse esportabile la spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche /k, p, t/ perché generalmente quei suoni non sono presenti negli altri dialetti italiani è comprensibilissimo. Ma chi faticherebbe a pronunciare /S/ e /Z/, suoni, se non erro, presenti in moltissimi dialetti?

La mia teoria è questa: sin dai primi vagiti del doppiaggio agí il «prestigio» della pronuncia settentrionale (tanto che anche nei vecchi doppiaggi io ho raramente sentito pronunciar /'kasa, 'kOsa, ko'si/); gl’italiani del Norde, originariamente, appresero l’italiano per via scritta, sui libri, senza un modello orale, e sicuramente applicarono la regola secondo la quale C + E/I dà /tS/ e G + E/I dà /dZ/ (cosí come non potevano imparare le cogeminazioni non segnalate dalla scrittura).

Cosí si semplificò, e continua a semplificarsi, la pronuncia della nostra lingua.

È una teoria comprovata dagli studiosi o solo una mia supposizione?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Re: Origine della pronuncia normativa

Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:…come ci conferma anche il Larson (nell’articolo messo a disposizione qui da Infarinato non so piú dove)…
Qui. :)
Marco1971 ha scritto:La mia teoria è questa: sin dai primi vagiti del doppiaggio agí il «prestigio» della pronuncia settentrionale (tanto che anche nei vecchi doppiaggi io ho raramente sentito pronunciar /'kasa, 'kOsa, ko'si/); gl’italiani del Norde, originariamente, appresero l’italiano per via scritta, sui libri, senza un modello orale, e sicuramente applicarono la regola secondo la quale C + E/I dà /tS/ e G + E/I dà /dZ/ (cosí come non potevano imparare le cogeminazioni non segnalate dalla scrittura).

[…]

È una teoria comprovata dagli studiosi o solo una mia supposizione?
Ci saranno sicuramente [parecchi] studi al riguardo, ma mi pare di poter dire che la tua ipotesi, che vede nel fatto che gl’italiani appresero l’italiano per via essenzialmente scritta la causa principale della mancata trasmissione dei tassofoni [S Z], è sostanzialmente corretta —con due piccole rettifiche:
  1. L’insegnamento della pronuncia normativa va spostato molto piú indietro nel tempo: sono convinto che la mancata (lege: non debitamente enfatizzata, non esplicita) inclusione dei tassofoni in oggetto nella pronuncia modello [toscana] risale perlomeno all’Ottocento;
  2. Non furono soltanto i settentrionali ad apprendere l’italiano per via scritta (se per italiano, ovviamente, s’intende la lingua formale con la sua pronuncia normativa), ma tutti gl’italiani non toscani (e, in un opportuno senso, i toscani stessi): anche un romano, il cui dialetto è (per note ragioni storiche) assai vicino al fiorentino [e la cui pronuncia regionale dell’italiano è vicinissima a quella toscana], al momento di affrontare un testo in italiano, cercherà nella grafia il primo e il piú saldo appiglio per una corretta pronuncia, non facendo caso o ritenendo addirittura scorretta la realizzazione spirantizzata [che è anche la sua] del fonema /tS/. Di piú: trattandosi d’un fatto meramente fonetico (e non fonematico: non raccolto, quindi, sul piano grafico), anche l’insegnante toscano [che non abbia fatto profonde riflessioni sulla pronuncia] non insisterà (e ancor piú difficilmente avrà insistito nei secoli scorsi) sulla corretta produzione di foni che non hanno valore distintivo.
Avevo già speso due parole al riguardo qui (e negl’interventi che lo precedono nel filone).
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Re: Origine della pronuncia normativa

Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:Da metà Trecento ai giorni nostri […], in Toscana, [S] e [Z] sono varianti di /tS/ e /dZ/ in posizione intervocalica (quando non entri in gioco la cogeminazione). Da quasi sei secoli e mezzo, adunque.

Perché, allora, non aver reso normativa questa distinzione?
In tema di tassofoni e normatività, sarà forse interessante aggiungere a completamento del mio intervento precedente che
Piero Fiorelli in Camilli-Fiorelli (1965: 156, n. 243) ha scritto:[i]n passato non son mancati grammatici d’una certa autorità che abbiano proposto [addirittura] la gorgia come norma di buona pronunzia: tali, nel Cinquecento, il senese Claudio Tolomei e il fiorentino Giorgio Bartoli, nel Settecento il torinese Girolamo Rosasco, nell’Ottocento il pistoiese Policarpo Petrocchi.
:D
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Divertente anche quel che dice Pietro Fanfani, nel suo Vocabolario dell’uso toscano (Firenze, Le Lettere, 1976 [prima edizione 1863]), alla voce Pronunzia, di cui riporto solo la parte finale (ché è lunga):
Riepilogando le cose fin qui discorse, ecco in poche parole la sostanza del nostro ragionamento.

I. L’aspirazione, in generale, anziché recare sconcio, dà grazia e varietà all’armonía d’una lingua.

II. Tutte le lingue hanno qualche aspirazione: la nostra sola ne mancherebbe affatto, tolta la pronunzia toscana.

III. In Toscana, meglio che altrove, si è conservata la natía purezza della lingua; dunque anco la pronunzia.

IV. La lingua italiana è figlia primogenita della latina, che aveva aspirazioni; nacque e crebbe sotto l’influenza di altre lingue abbondanti di aspirazioni; è dunque almeno assai probabile che cominciasse a balbettare aspirando in qualche cosa.

V. È legge generale di pronunzia delle consonanti dell’abbiccí italiano, l’avere un suono tenue, leggiero e schiacciato, se precedute da vocale non accentata; forte, gagliardo e vibrato se stia loro innanzi una vocale coll’accento, oppure un’altra consonante: dunque anco il c e il g e il q dovranno avere naturalmente questo duplice suono. – Ma queste tre consonanti affini sono gutturali, e un suono gutturale tenue e leggiero non si può emettere senza piú o meno aspirare: dunque la loro pronunzia naturale in certi casi è l’aspirazione. Dunque avevo ragione di dire che i Toscani, i quali in questi dati casi le aspirano sempre, seguono rigorosamente le leggi generali di pronunzia; mentre gli altri Italiani, non aspirandole mai, si allontanano da queste leggi senza alcuna ragione.

È vero peraltro che in alcune parti della Toscana il popolo ignorante eccede tanto nell’aspirazione di queste tre consonanti quando si trovano nelle condizioni accennate di sopra, che ad un forestiero sembrerà che le mangino affatto, specialmente il c. Ma, domando io, qual’è [sic] quella lingua, che sulla bocca del volgo non vada soggetta a simili eccessi? Andate a Parigi, e nel parlare comune vi parrà che molte sillabe delle parole scompariscano del tutto. Anzi questo fatto accade generalmente in tutti quei luoghi dove la lingua è piú alla mano, e per conseguenza dove si parla meglio.
:D
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di SinoItaliano »

È da molto tempo che seguo questo fòro leggendo le Vostre interessanti discussioni; ora come primo intervento rispolvero questo filone quadriennale. :D

Innanzitutto a me non mi dispiacerebbe una pronuncia normativa con le scempie e la gorgia toscana :D

E qui mi chiedo:

1) Come mai l'italiano ha accettato la doppia pronuncia dei grafemi s (/s, z/), r ([r], monovibrante alveolare), z (/ts, dz/); ma non quella di c e g dolci?

2) Stessa cosa per la gorgia toscana.

3) Se la gorgia toscana era tanto ostica per i non toscani, come mai allora nell'italiano è incluso il suono gl, tanto ostico per i romani (compreso il sottoscritto)? :P

4) Forse l'italiano è troppo pignolo quando si tratta di «leggere cosí come è scritto»:
- In spagnolo la lenizione di b, v, d, g dura intervocaliche fa parte dello stàndaro, cosí come l'evanescenza della d finale.
- Nel portoghese europeo sia «mangiare le vocali» sia la lenizione di b, d, g dura sono stàndari.
- Nel portoghese brasiliano la palatalizzazione di t e d, la l in coda di sillaba che diventa /u/, o finale che si riduce in /u/, e finale che si riduce in /i/ e tante altre cose sono stàndare nella maggior parte del Brasile.
L'italiano è come un piatto condito con il sale della sua bellezza fonetica, ma si rifiuta di essere insaporito ancora di piú con il pepe delle peculiarità fonetiche toscane. :P

Detto ciò, parlando di cose serie, sul sito dell'Accademia della Crusca nella lista delle pubblicazioni c'è un articolo intitolato Gorgia toscana: motivo della sua assenza nell'italiano standard, ma non sono riuscito a trovare nessun altro articolo analogo in formato digitale in rete. Peccato...
Qualcuno piú abile di me nelle ricerche se riuscisse a trovare qualcosa, gliene sarei molto grato se la condividesse. :D

Inoltre sono d'accordo con l'ultima osservazione del Fanfani: il cinese mandarino stàndaro è basato sul dialetto di Pechino, e proprio il popolo della capitale è famoso per «mangiare le parole» :lol:
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

SinoItaliano ha scritto:1) Come mai l'italiano ha accettato la doppia pronuncia dei grafemi s (/s, z/), r ([r], monovibrante alveolare), z (/ts, dz/); ma non quella di c e g dolci?

2) Stessa cosa per la gorgia toscana.
La risposta è implicita in quanto si è detto sopra: gorgia e deaffricazione di /ʧ/ e /ʤ/ sono fenomeni allofonici, mentre /s ~ z, ts ~ dz/ sono pur sempre coppie di fonemi, benché il rendimento funzionale di queste opposizioni sia bassissimo (soprattutto della prima, e da sempre).
SinoItaliano ha scritto:3) Se la gorgia toscana era tanto ostica per i non toscani, come mai allora nell'italiano è incluso il suono gl, tanto ostico per i romani (compreso il sottoscritto)?
Ancora: /ʎ/ è un fonema (che si oppone a tutti gli altri fonemi consonantici dell’italiano, e in particolare a /l/ e a /j/: si pensi alle sequenze /(ʎ)ʎ ~ (l)lj ~ j/), per le cui rese allofoniche si sono ovviamente scelte le realizzazioni toscane/fiorentine tipiche. ;)
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Egregio Infarinato, la ringrazio per la sua risposta! :)

Anche a Roma, per influsso della pronuncia normativa, le c dolci intervocaliche sono pronunciate [tS] nella parlata lenta o formale/intenzionale, ma diventano [S] nella parlata informale/veloce/rilassata.

Tuttavia nel romanesco esiste un termine volgare, frocio :!:, che è sempre pronunciato [S], mai [tS].
Forse perché non esistendo la parola in italiano stàndaro, la pronuncia è rimasta «pura» senza «contaminazioni dalla pronuncia normativa»?
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SinoItaliano
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Re: Origine della pronuncia normativa

Intervento di SinoItaliano »

Marco1971 ha scritto: [...] si pronunciava /'kuSe/ (‘cuce’) ma /'lutSe/ (‘luce’).
Prima della metà del Trecento cuce s'aveva da pronunziare /'kuSe/, ma luce s'aveva da pronunziare /'lutSe/... anche in questo caso si parla di allofoni, e non di fonemi distinti?

Scusate, ma io sono solo un appassionato, e non ci capisco nulla di fonetica :?
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

L'ipotesi di Marco è abbastanza attendibile. Nel mio dialetto ligure ragione e pigione vengono resi come rai'Zun e pei'Zun, quindi con la stessa realizzazione del toscano ra'Zone e pi'Zone. Quando parlo italiano, però, rendo i due termini con ra'dZone e pi'dZone, esattamente come fanno tutti i liguri e come mi è stato insegnato a scuola.
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Ferdinand Bardamu
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Re: Origine della pronuncia normativa

Intervento di Ferdinand Bardamu »

SinoItaliano ha scritto:Prima della metà del Trecento cuce s'aveva da pronunziare /'kuSe/, ma luce s'aveva da pronunziare /'lutSe/... anche in questo caso si parla di allofoni, e non di fonemi distinti?

Scusate, ma io sono solo un appassionato, e non ci capisco nulla di fonetica :?
Provo a venirle in aiuto io.

Cucire deriva da una forma latina ricostruita *COSIRE, la cui prima persona del presente indicativo dovrebb'essere stata qualcosa come *COSJO, donde la palatalizzazione per coalescenza (fusione di due suoni distinti) di [s] e [j] in [ʃ]. La radice della terza persona – in origine *COSIT – ha preso anch'essa la sibilante palatale per analogia (mia supposizione, qualunque smentita è ben accetta), perciò *cusce. Lo stesso fenomeno avvenne per bacio < lat. volg. *BASJU (lat. class. BASIU(M)), e bruciare < lat. volg. *BRUSJARE, dei quali peraltro sono attestate le grafie bascio e brusciare.

Luce, invece, presenta il normale esito dell'affricata derivata da un'originale occlusiva palatale sorda latina (LUCE(M) nella pronuncia latina è [ˈluce], ossia, suppergiú, lúche), donde la distinzione fonematica e non tassofonica tra /ʃ/ e /ʧ/ anche in posizione intervocalica.

[Gli esperti di fonetica e fonologia – Infarinato, Carnby, ecc. – correggano pure i miei errori.]
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data ven, 02 nov 2012 20:12, modificato 1 volta in totale.
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Re: Origine della pronuncia normativa

Intervento di Carnby »

SinoItaliano ha scritto:Tuttavia nel romanesco esiste un termine volgare, frocio, che è sempre pronunciato [S], mai [tS].
Probabilmente perché è voce popolare e non è mai pronunciata nello stile «elevato». La stessa cosa si riscontra in parole come come zoccola e zozzo, che hanno più spesso la sorda anziché la sonora anche nella pronuncia moderna. Ora che ci penso bene, in toscano esisteva il termine froscio (con /ʃʃ/) che però aveva un significato meno «duro» del termine romanesco (alterazione popolare di floscio?). :roll:
SinoItaliano ha scritto:Prima della metà del Trecento cuce s'aveva da pronunziare /'kuSe/, ma luce s'aveva da pronunziare /'lutSe/... anche in questo caso si parla di allofoni, e non di fonemi distinti?
In questo caso, prima che avvenisse il sincretismo (o coalescenza) tra /ʃ/ scempio e /ʧ/, si doveva parlare di tre fonemi distinti (/ʧ vs. /ʃ/ vs. /ʃʃ/), cosa che avviene ancora in alcuni dialetti del Sud. Per il resto, mi pare che Ferdinand le abbia ben espresso il parere dei più autorevoli glottologi sulla questione. :)
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Re: Origine della pronuncia normativa

Intervento di Infarinato »

Carnby ha scritto:
SinoItaliano ha scritto:Prima della metà del Trecento cuce s'aveva da pronunziare /'kuSe/, ma luce s'aveva da pronunziare /'lutSe/... anche in questo caso si parla di allofoni, e non di fonemi distinti?
In questo caso, prima che avvenisse il sincretismo (o coalescenza) tra /ʃ/ scempio e /ʧ/, si doveva parlare di tre fonemi distinti (/ʧ vs. /ʃ/ vs. /ʃʃ/)…
Sí, credevo che avessimo già detto tutto sull’argomento [e già qualche anno fa], ma evidentemente non è facile reperire tutt’i riferimenti, specialmente per i nuovi arrivati.

Per un succinto compendio di fonologia del fiorentino dugentesco si veda il capitolo omonimo della Grammatica dell’italiano antico, a cura di Pär Larson, e in particolare [per quel che c’interessa] i §§2.3.1 e 2.4.3.

L’origine «tutta letteraria» d’una pronuncia quale [ˈbaːʧo] è sostanzialmente già chiara al D’Ovidio (Le correzioni ai Promessi Sposi e la questione della lingua [1895⁴], in Id., Opere, Napoli, «Guida», VIII, 1933, pp. 192–3), ed è magistralmente esplicitata da Michele Loporcaro (che si basa sui fondamentali lavori del Castellani) nel suo saggio «Fonologia diacronica e sociolinguistica: gli esiti toscani di -SI̯- e di -Ce/i- e l’origine della pronuncia [ˈbaːʧo]», Lingua e stile, XLI (2006), 61–97.
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Intervento di SinoItaliano »

Grazie, Infarinato per i collegamenti e la bibliografia :)
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Scilens
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Intervento di Scilens »

Salve a tutti e complimenti per questo interessantissimo forum.

Cercando informazioni sull'italiano antico e sulla gorgia toscana ho seguito il link di Infarinato, "Fonologia" di Par Larson, che mi ha fatto nascere qualche dubbio.

Per esempio, a pag. 14 verso la fine scrive:
"L’affricata sorda /tS/ in posizione debole non risulta ancora spirantizzata in [S] (i primi riflessi scritti di tale passaggio sono del 1364)"
E a pag 17 ribadisce:
"Non essendo ancora avvenuta la spirantizzazione in posizione debole della consonante semplice /tS/ in /S/, che è un fenomeno attestato soltanto a partire dalla seconda metà del Trecento attraverso grafie come ASCETO (...) CROSCE (...) DODISCI".

Mi chiedo, e chiedo a voi, in cosa i termini evidenziati sopra differiscano da BASCIO, BRASCE, CUSCIRE, CASCIO, CAMISCIA, etc che sono attestati in documenti toscani precedenti anche di un secolo.

Tra pag. 17 e 18 scrive inoltre:
"Una coppia minima a suo tempo proposta da Temistocle Franceschi (1973, p. 172) per distinguere fonologicamente /S/ da /tS/, /ba"Sino/ ‘piccolo bacio’ ~ /ba"tSino/ ‘recipiente per l’acqua’ (la cui pronuncia affricata è garantita dalla variante grafica "baccino", soprattutto pratese e senese), non può tuttavia essere accolta: la forma /ba"Sino/ non solo non è attestata ma non era nemmeno possibile, visto che il suffisso -ino non viene adoperato da solo in it. ant. per formare diminutivi da nomi inanimati."

Però il vocabolo bacino si trova anche scritto "baccino", quindi è attestato, ed il suffisso -ino si trova almeno nel vocabolo "coltellino" in Cavalcante Cavalcanti.


Ho un'altra domanda minore che rigurda la rima dantesca, considerata da Salviati inascoltabile:
Pag 21, cito "Dante, nelle Rime, fa rimare 'vecchi'/ "vEcci/ con 'secchi' /"sekki/ (Dante, Rime, 26, vv. 10 e 13 [a. 1321]) e nella Commedia si trovano ulteriori ess. come occhi : sciocchi"

Lionardo Salviati legge "vecchi" del testo come "vecci"? (e nel caso, su quali basi legge 'vecci' al posto del normale 'vecchi'?)
O si scandalizza solo della e aperta di "vècchi" rimata con la e chiusa di "sécchi"?

e perché 'occhi' non dovrebbe rimare con 'sciocchi'?
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Caro, Scilens, innanzitutto, benvenuto! :D

Temo che abbia letto il capitolo di Larson un po’ troppo in fretta: le consiglio inoltre caldamente la lettura del succitato articolo di Loporcaro, che le toglierà sicuramente ogni altro dubbio.
Scilens ha scritto:Cercando informazioni sull'italiano antico e sulla gorgia toscana ho seguito il link di Infarinato…
No, i miei non sono mai link, solo collegamenti. :twisted:
Scilens ha scritto:"Non essendo ancora avvenuta la spirantizzazione in posizione debole della consonante semplice /tS/ in /S/, che è un fenomeno attestato soltanto a partire dalla seconda metà del Trecento attraverso grafie come ASCETO (...) CROSCE (...) DODISCI".

Mi chiedo, e chiedo a voi, in cosa i termini evidenziati sopra differiscano da BASCIO, BRASCE, CUSCIRE, CASCIO, CAMISCIA, etc che sono attestati in documenti toscani precedenti anche di un secolo.
In nulla. ;) Semplicemente questi ultimi presentano [ʃ] ab origine, derivando esso dalla regolare palatalizzazione del nesso latino -SI̯-, mentre nei primi [ʃ] deriva da una successiva deaffricazione di [ʧ] (< lat. -Ce/i- /k/), d’epoca trecentesca.
Scilens ha scritto:"Una coppia minima a suo tempo proposta da Temistocle Franceschi (1973, p. 172) per distinguere fonologicamente /S/ da /tS/, /ba"Sino/ ‘piccolo bacio’ ~ /ba"tSino/ ‘recipiente per l’acqua’ (la cui pronuncia affricata è garantita dalla variante grafica "baccino", soprattutto pratese e senese), non può tuttavia essere accolta: la forma /ba"Sino/ non solo non è attestata ma non era nemmeno possibile, visto che il suffisso -ino non viene adoperato da solo in it. ant. per formare diminutivi da nomi inanimati."

Però il vocabolo bacino si trova anche scritto "baccino", quindi è attestato, ed il suffisso -ino si trova almeno nel vocabolo "coltellino" in Cavalcante Cavalcanti.
Non sono un esperto [e bisognerebbe quindi controllare], ma mi pare che in questi casi (sostantivi inanimati) il diminutivo in -ino sia possibile [in italiano antico] solo per quelli uscenti in -ello, -olo, etc.
Scilens ha scritto:"Dante, nelle Rime, fa rimare 'vecchi'/ "vEcci/ con 'secchi' /"sekki/ (Dante, Rime, 26, vv. 10 e 13 [a. 1321]) e nella Commedia si trovano ulteriori ess. come occhi : sciocchi"

Lionardo Salviati legge "vecchi" del testo come "vecci"? (e nel caso, su quali basi legge 'vecci' al posto del normale 'vecchi'?)
Sí (la defonologizzazione delle opposizioni /k(j) ~ c, ɡ(j) ~ ɟ/ [meglio: /k(j) ~ kç, ɡ(j) ~ ɡʝ/] in fiorentino/toscano si avrà solo nel XIX sec.), e per questo non può concepire che Dante consentisse una tale «improprietà». :)
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