Non sia affrettato: nel mio intervento può leggere ben due infiniti non tronchi: affermare e notare. Tutti gli altri son tronchi per il semplice e fondamentale motivo che li pronuncio cosí. Nei limiti delle norme dell’ortografia italiana, cerco di conformar lo stile di scrittura alla pronuncia effettiva ogniqualvolta sia possibile (com’è uso del Canepàri). Perché, c’è qualche infinito in cui Lei avrebbe pronunciato la –e ch’io ho troncato o eliso?…Marco1971 ha scritto:Ultima cosa: perché tronca tutti gli infiniti? Percepisco e apprezzo l’eleganza in certi casi, ma noto che in lei è costante. Mera curiosità.
Come si pronuncia il cognome «Puzo»?
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È vero. Ma vede, l’assuetudine scrittoria fa sí che certi infiniti troncati (non certo elisi) non siano molto eleganti nella forma scritta, come ad esempio «generar delle», e altri che ora non vo a ripescare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Capisco. In effetti, su quest’ultimo ho indugiato un attimo. Tuttavia, se avessi scritto «da generare delle pronunce alternative», Lei avrebbe letto –credo– [daʤˌʤeneˈraˑɾe ˌdellepɾoˈnunʧ(e)al ˌteɾnaˈtiːvᴇ] (o forse qualcosa come [ðʌʤˌʤeneˈraˑɾe ˌðelleɸɾoˈnμnʧ(e)ʌl ˌteɾnʌˈθiːvᴇ]? ), mentre io pensavo a un andamento piú costante, del tipo «sillaba non accentata – sillaba accentata», a mo’ di pentametro giambico: [da(ʤ)ˌʤeneˈrar delˌlepɾoˈnunʧ(e)al ˌteɾnaˈtiːvᴇ]. Forse che Lei, influenzato dal fiorentino, avrebbe pronunciato comunque [daʤˌʤeneˈrad delˌlepɾoˈnunʧ(e)al] &c, con generare > genera’?Marco1971 ha scritto:come ad esempio «generar delle»
- Ferdinand Bardamu
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Per concludere la questione guglare ~ gugolare, affermo, con Marco, che è piú naturale (lege: conforme alla fonotassi dello strato ereditario) gugolare. Sigla, giungla, deglassare, ecc. sono cultismi o prestiti che ci sono giunti non adattati alla nostra fonotassi (sarebbe curioso sentire un contadino fiorentino pronunciare queste parole). Peraltro, essendo il verbo in questione adoperato o in contesti scherzosi o, in ogni caso, in un registro colloquiale, vedrei per l'appunto molto piú spontaneo un adattamento fedele in tutto alla pronuncia italianizzata, che è /ˈgugol/, con la sola aggiunta delle terminazioni verbali.
Intende dire che li pronuncia cosí lei nel suo idioletto, o che nella sua varietà d'italiano s'impiega spontaneamente il troncamento sintattico? In bocca a un lombardo (ma anche a un veneto o a un emiliano) mi suonerebbe come una forma toscaneggiante.Souchou-sama ha scritto:Tutti gli altri son tronchi per il semplice e fondamentale motivo che li pronuncio cosí.
Il famoso «primo sistema fonologico dell'italiano», già superato (nalla lingua colta) ai tempi di Dante...Ferdinand Bardamu ha scritto:Per concludere la questione guglare ~ gugolare, affermo, con Marco, che è piú naturale (lege: conforme alla fonotassi dello strato ereditario) gugolare.
Direi ['siːgɾʌˑ, 'ʤuŋ(ː)gɾʌˑ, digɾas'saˑ] dato che la palatalizzazione di /Cl/ non è ovviamente più produttiva.Ferdinand Bardamu ha scritto:Sigla, giungla, deglassare, ecc. sono cultismi o prestiti che ci sono giunti non adattati alla nostra fonotassi (sarebbe curioso sentire un contadino fiorentino pronunciare queste parole).
Ultima modifica di Carnby in data mar, 10 lug 2012 14:27, modificato 1 volta in totale.
- Ferdinand Bardamu
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Ha ragione. Diciamo allora che l'argomento piú solido a favore di gugolare rimane la pronuncia italiana di Google.Carnby ha scritto:Il famoso «primo sistema fonologico dell'italiano», già superato (nalla lingua colta) ai tempi di Dante...Ferdinand Bardamu ha scritto:Per concludere la questione guglare ~ gugolare, affermo, con Marco, che è piú naturale (lege: conforme alla fonotassi dello strato ereditario) gugolare.
Mi sembra di sì, anche se esiste pure in Toscana /'gugle/ come pronuncia «adattata» di Google (che è una storpiatura di googol, ovvero 10100).Ferdinand Bardamu ha scritto:Diciamo allora che l'argomento piú solido a favore di gugolare rimane la pronuncia italiana di Google.
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Certo, come dice Lei, il troncamento dell’infinito non è tipico d’una qualsiasi parlata “nordica”. Tuttavia, non si tratta d’una «forma toscaneggiante in bocca a un lombardo», bensí d’una forma toscaneggiante* in bocca a un parlante d’italiano neutro.Ferdinand Bardamu ha scritto:Intende dire che li pronuncia cosí lei nel suo idioletto, o che nella sua varietà d'italiano s'impiega spontaneamente il troncamento sintattico? In bocca a un lombardo (ma anche a un veneto o a un emiliano) mi suonerebbe come una forma toscaneggiante.
* Ma lo è davvero? Non è semplicemente neutra? La caduta di –re sí che sarebbe «toscaneggiante»!
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Complimenti a Lei, e di dov’è? della Neutrombardia? (Sia chiaro: sono molto contento che [soprattutto] un non toscano si sforzi di parlare in «italiano normale» [© Arrigo Castellani] —esempi illustri sono il Migliorini e lo stesso Canepari—, ma non si può essere «parlanti d’italiano neutro», solo parlanti d’un qualche italiano regionale [piú o meno vicino alla norma ideale] che usino [piú o meno frequentemente, se non addirittura esclusivamente] la pronuncia neutra. )Souchou-sama ha scritto:…non si tratta d’una «forma toscaneggiante in bocca a un lombardo», bensí d’una forma toscaneggiante* in bocca a un parlante d’italiano neutro.
È storicamente toscaneggiante, e sempre molto comune in fiorentino, e non solo con gl’infiniti —un esempio per tutti: cencinquanta (cfr. anche il DOP, s.v. «cento»).Souchou-sama ha scritto:* Ma lo è davvero? Non è semplicemente neutra? La caduta di –re sí che sarebbe «toscaneggiante»!
Ricordiamoci inoltre che, in fiorentino, il mantenimento del /-re/ degl’infiniti, sebbene obbligatorio solo in posizione finale, è sempre possibile in posizione prevocalica (cfr., e.g., Luciano Giannelli, Toscana, Pisa: «Pacini», 2000² [1976¹], p. 43.) Anzi, proprio questo mantenimento di /-r(-e)/, unitamente al fatto che in fiorentino (e, piú generalmente, in toscano) tutti gl’infiniti apocopati, indipendentemente dalla struttura accentuale (ossitona o no), sono seguiti da geminazione della consonante iniziale successiva, spinge a considerare quest’ultima «non alla stregua di RF ma di assimilazione sincronica in posizione fonosintatticamente preconsonantica di /r/ divenuta finale» (Michele Loporcaro, L’origine del raddoppiamento fonosintattico: saggio di fonologia diacronica romanza, Basel and Tübingen: «Francke Verlag», 1997, p. 84 [corsivo mio]; cfr. anche Leonardo Maria Savoia, Condizioni fonetiche nel fiorentino volgare, «SGI», vol. IV [1975], pp. 211–330: 289).
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Non «due foni diversi», ma «due segmenti articolatori [che] si compenetrano a tal punto da suscitare una netta impressione di unitarietà» e quindi da poter «esser considerati come un suono unico» (A. Castellani, Fonotipi e fonemi dell’italiano, cit.).Peucezio ha scritto:Grazie della risposta e del collegamento. Ho letto gli interventi.
…la logica dell'IPA è quella di avere un segno per ogni suono: se si accetta di utilizzarne due per un suono, o se ne accetta la natura duplice oppure è bene usare un unico segno, quale che sia. Chi ha stabilito l'uso di [ts] per l'affricata dentale, l'ha fatto certamente perché credeva nel fatto che si trattasse di due foni diversi…
Questo —oltre al fatto che in alcune lingue non sono affricate (e.g., [-ts] nell’inglese cats)— spiega perché non si sia sentita la [stretta] necessità d’un simbolo unico, ma la notazione IPA ufficiale prevede un[o scomodo] archetto di legatura per le [vere] affricate: [͡ts]. (Ovviamente, molto meglio il relativo monogramma [ʦ], se disponibile.)
Comunque, qui parlavamo delle «doppie» e tengo a ribadire una cosa: se in trascrizione fonetica una scrizione quale [tts] è accettabile, sebbene non realmente giustificata, /tts/ in trascrizione fonematica è errata, ché fa pensare alla successione dei due fonemi /t ʦ/ (se non di tre: /t t s/), anziché a /ʦʦ/ (o, al piú, secondo l’interpretazione monofonematica, /ʦː/).
Capisco la nostalgia, ma Dio ci scampi dalla notazione dei romanisti!Peucezio ha scritto:Personalmente sono un nostalgico della trascrizione ascoliano-merliana, quella dell'"Italia Dialettale" e della CDI, per intenderci…
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Intende dire che «parlante d’italiano neutro» è una specie d’asintoto cui tutti possono tendere ma in cui nessuno può identificarsi completamente? Oppure c’è qualche altra differenza che mi sfugge tra «parlante d’un italiano regionale che usa la pronuncia neutra» e «parlante d’italiano neutro»?Infarinato ha scritto:Complimenti a Lei, e di dov’è? della Neutrombardia? :D (Sia chiaro: sono molto contento che [soprattutto] un non toscano si sforzi di parlare in «italiano normale» [© Arrigo Castellani] —esempi illustri sono il Migliorini e lo stesso Canepari—, ma non si può essere «parlanti d’italiano neutro», solo parlanti d’un qualche italiano regionale [piú o meno vicino alla norma ideale] che usino [piú o meno frequentemente, se non addirittura esclusivamente] la pronuncia neutra. ;))
(Però, se lo lasci dire: Neutrombardia è un neologismo decisamente poco… elegante! )
Capisco la sua obiezione, ma in grafia fonetica bisogna per forza usare il simbolo dell'affricata (barchetta, ombrellone o monogramma, sebbene quest'ultimo non sia più previsto dall'Alfabeto fonetico internazionale ufficiale). Foneticamente, secondo me, è meglio trascrivere [tʦ], dato che il primo elemento è pressoché analogo a un normale contoide [t] e [ʦʦ] potrebbe far pensare a una affricata rilasciata due volte. Con l'affricata «pospalatale» il problema è maggiore dato che il primo elemento, oltre a essere, appunto, postalveo-palatale, è anche labiato e quindi [t] non va più bene; si dovrebbe ricorrere a un simbolo speciale oppure, confidando nella coarticolazione e magari in una nota esplicativa, trascrivere [tʧ], che, seppur impreciso, è meno complicato di [ʧʧ], che ha anche lo svantaggio di essere poco comprensibile da chi (a differenza di noi ) ha poca dimestichezza con il canIPA.Infarinato ha scritto:Comunque, qui parlavamo delle «doppie» e tengo a ribadire una cosa: se in trascrizione fonetica una scrizione quale [tts] è accettabile, sebbene non realmente giustificata, /tts/ in trascrizione fonematica è errata, ché fa pensare alla successione dei due fonemi /t ʦ/ (se non di tre: /t t s/), anziché a /ʦʦ/ (o, al piú, secondo l’interpretazione monofonematica, /ʦː/).
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Sí, di questo ne abbiamo già discusso, e lo sa che mi trova d’accordo…Carnby ha scritto:Con l'affricata «pospalatale» il problema è maggiore dato che il primo elemento, oltre a essere, appunto, postalveo-palatale, è anche labiato e quindi [t] non va più bene…
Per l’usus delphini possiamo anche esser d’accordo; l’impressione del doppio rilascio, però, è, appunto, un’impressione: ancorché meno evidente, quest’ambiguità di trascrizione esiste infatti per qualsiasi nesso geminato.Carnby ha scritto:Foneticamente, secondo me, è meglio trascrivere [tʦ], dato che il primo elemento è pressoché analogo a un normale contoide [t] e [ʦʦ] potrebbe far pensare a una affricata rilasciata due volte.
Direi che /ʦʦ/ (ma non /tsts/) in trascrizione fonematica è accettabile, perché si tratta di un unico segno, anche se nasce dalla fusione di due, mentre in trascrizione puramente fonetica non lo raccomanderei, perché fuorviante.Infarinato ha scritto:Comunque, qui parlavamo delle «doppie» e tengo a ribadire una cosa: se in trascrizione fonetica una scrizione quale [tts] è accettabile, sebbene non realmente giustificata, /tts/ in trascrizione fonematica è errata, ché fa pensare alla successione dei due fonemi /t ʦ/ (se non di tre: /t t s/), anziché a /ʦʦ/ (o, al piú, secondo l’interpretazione monofonematica, /ʦː/).
Capisco la nostalgia, ma Dio ci scampi dalla notazione dei romanisti! :DPeucezio ha scritto:Personalmente sono un nostalgico della trascrizione ascoliano-merliana, quella dell'"Italia Dialettale" e della CDI, per intenderci…
Sulla "notazione dei romanisti", ho intuito qualcosa dell'articolo di Canepari, ma in generale non l'ho inteso perché è scritto in barbaro.
È chiaro che la trascrizione merliana sconta il fatto di non avere alle spalle un'istituzione ufficialmente riconosciuta che ne stabilisca in modo univoco le regole, il che dà luogo a una selva di utilizzi personali, spesso arbitrari, rispetto ai quali l'unitarietà, pur relativa, dell'IPA, semplifica molto le cose. Ma non si tratta di un difetto intrinseco.
Sono due sistemi basati su due filosofie diverse, mnemonico l'IPA, con la sua gran quantità di segni e il suo uso molto parco dei diacritici, logico quello merliano con pochissimi segni di base e una profusione di diacritici.
Semmai duole il fatto che noi italiani abbiamo inventato un sistema di trascrizione fonetica molto elaborato, adottato da studiosi tedeschi e di altre nazionalità, ma alla fine non siamo riusciti a regolarizzarlo e imporlo e ci siamo dovuti adeguare anche noi al sistema anglosassone.
A dire il vero quello che oggi è noto come International Phonetic Alphabet venne codificato dall'Association phonétique international e la resistenza più ostinata al suo utilizzo si riscontra negli Stati Uniti d'America. Chiamarlo «sistema anglosassone» mi pare davvero eccessivo. In ogni caso, non mi sentirei di criticare se uno usa il sistema Ascoli–Merlo in modo completo e coerente, anche se personalmente preferisco l'Alfabeto fonetico internazionale e mi batto per la sua adozione e l'uso corretto dell'alfabeto stesso.Peucezio ha scritto:Semmai duole il fatto che noi italiani abbiamo inventato un sistema di trascrizione fonetica molto elaborato, adottato da studiosi tedeschi e di altre nazionalità, ma alla fine non siamo riusciti a regolarizzarlo e imporlo e ci siamo dovuti adeguare anche noi al sistema anglosassone.
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