Sequenze consonantiche inaccettabili

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Sequenze consonantiche inaccettabili

Intervento di Freelancer »

Non mi è chiaro se quanto Paolo D'Achille dice qui, specificamente
Questa crescita nell’uso, così come quella di buon studio, si può spiegare col fatto che l’ingresso nel lessico di latinismi e di forestierismi non adattati ha determinato la progressiva diffusione in italiano di sequenze consonantiche considerate inaccettabili secondo il tradizionale modello fonologico toscano (che a sua volta ha perso la sua centralità). Se la sequenza -nst- è normale in parole come instabile, è possibile anche in buon studio, tanto più in un parlato veloce, in cui la perdita di una sillaba può essere funzionale
contenga una contraddizione. Ossia, la sequenza -nst- sarebbe inaccettabile secondo il tradizionale modello fonologico toscano ma è normale in una parola come instabile? O capisco male io?
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Infarinato
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Re: Sequenze consonantiche inaccettabili

Intervento di Infarinato »

Penso semplicemente che voglia dire che «l’ingresso nel lessico di latinismi [quale, appunto, instabile] e di forestierismi non adattati ha determinato la progressiva diffusione in italiano di sequenze consonantiche considerate inaccettabili secondo il tradizionale modello fonologico toscano» [quello, per intenderci, del «fondo ereditario», che non ammette nemmeno parole come instabile], cosí da rendere accettabili le medesime sequenze anche all’interno di frase [oltre che di parola].

Inutile dire che io continuo pervicacemente a dire buono studio e istabile. :mrgreen:
Ultima modifica di Infarinato in data mer, 17 ott 2012 15:29, modificato 1 volta in totale.
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Federico
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Intervento di Federico »

La mia dizione è tremenda, purtroppo, ma non vedo davvero come si possa trovare buon studio "funzionale" o comodo. Un altro uso da tenere sott'occhio nel parlato altrui.
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Zabob
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Intervento di Zabob »

Anch'io ritengo corretto dire "buono studio", come è naturale dire "bello stile" (penso che davanti a s- impura ci vogliono gli art. lo e uno, e mi regolo di conseguenza).
Ma che dire di:
  • "gran strage": «... con gran strage dei suoi pirati e con gran pericolo di sé stesso ...» (Salgari, ma si trovano esempi sin dal '500)
  • "gran spreco": «gran spreco di artiglieria» (U. Eco)
  • "tener stretto": «... dobbiamo tener stretto conto dell'istante ...» (L. Carrer)
  • "aver stravolto": «Dopo aver stravolto tanti proverbi ...» (P. Chiara)
Forse che queste sequenze -nspr-, -nstr- e -rstr- non sono più cacofoniche e più estranee alla fonotassi italiana (a parte il verbo instradare) di quanto non lo sia -nst-?
Nessuno oggi scriverebbe "per istrada" o "per ischerzo", in quanto, con tutte le ragioni che si vogliano addurre, appaiono forme inesorabilmente desuete.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Zabob ha scritto:"aver stravolto"
Nel caso degli infiniti dei verbi occorre anche tener presente che la pronuncia spontanea toscana e mediana (ma in realtà conosciuta anche al Nord e al Sud) prevede l'apocope degli stessi: avé stravolto, èsse scemo, parlà straniero; in questo modo non si hanno sequenze consonantiche inaccettabili secondo la tradizione grammaticale.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Zabob ha scritto:Nessuno oggi scriverebbe "per istrada" o "per ischerzo", in quanto, con tutte le ragioni che si vogliano addurre, appaiono forme inesorabilmente desuete.
Forse appaiono desuete, ma sono ancora sporadicamente usate, almeno in Toscana.

Inoltre, come giustamente nota il Castellani in un passo d’un articolo che mi riprometto di riportare alla prima occasione, anche i toscani piú giovani e «alla moda», pur non usando la «i pro[s]tetica», non realizzano mai un nesso quale, e.g., /instr/ come [instr], ma al piú come [ĩstr], quando non proprio come [istr]…
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Buon studio non è sbagliato grammaticalmente? :?
Pur non ragionando in termini di fonosintassi, applico la stessa regola degli articoli indeterminativi un, uno.
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Zabob ha scritto:Ma che dire di:
  • "gran strage": «... con gran strage dei suoi pirati e con gran pericolo di sé stesso ...» (Salgari, ma si trovano esempi sin dal '500)
  • "gran spreco": «gran spreco di artiglieria» (U. Eco)
  • "tener stretto": «... dobbiamo tener stretto conto dell'istante ...» (L. Carrer)
  • "aver stravolto": «Dopo aver stravolto tanti proverbi ...» (P. Chiara)
Forse che queste sequenze -nspr-, -nstr- e -rstr- non sono più cacofoniche e più estranee alla fonotassi italiana (a parte il verbo instradare) di quanto non lo sia -nst-?
Nessuno oggi scriverebbe "per istrada" o "per ischerzo", in quanto, con tutte le ragioni che si vogliano addurre, appaiono forme inesorabilmente desuete.
Vorrei farLe notare che Salgàri era veneto, Eco è piemontese [anche se il suo accento mi sembra simil-milanese], L. Carrer era veneto, Piero Chiara era (all’incirca) lombardo. Devo aggiungere altro? :)
Quanto all’«i prostetica», son sicuro d’averla sentita almeno una volta in bocca a un livornese quarantenne. Purtroppo non mi sovvengono le parole esatte…
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Io personalmente userei le forme non troncate per i primi tre casi.
Nell'ultimo caso scriverei aver stravolto, mentre nella pronuncia mi mangerei la r, come dice Carnby.
Il fatto è che avere ausiliare non troncato non mi suona bene. :?
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

La capisco. Pur essendo del Norde, avendo adottato e parzialmente interiorizzato una pronuncia ora fiorentina ora livornese ora roman[esc]a, soffro parecchio nel dovere scrivere avere stravolto quando mentalmente pronuncio —e vorrei fisicamente pronunciare— avé stravolto. :) Ah, se solo l’italiano neutro facesse qualche concessione in piú alla parlata «popolare» del Centro…
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Souchou-sama ha scritto:Pur essendo del Norde, avendo adottato e parzialmente interiorizzato una pronuncia ora fiorentina ora livornese ora roman[esc]a
Perdoni l’ardire (forse questa domanda le era già stata posta), ma lei adotta una pronuncia normalizzante anche nella vita di tutti i giorni, in famiglia o cogli amici? Glielo chiedo per pura curiosità.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Si figuri, La perdono. :D Io non uso mai il mio accento natío (se non, chiaramente, in occasionali, rari svarioni; oppure, altrettanto ovviamente, se devo parlar in dialetto). Forse, se n’avessi uno che mi piace, l’userei, ma l’accento lombardo —occidentale o orientale che sia— non fa proprio per me! Sicché potrebbe obiettare: sempre una pronuncia «normalizzante»? che noia! In realtà, non appena se ne presenta l’occasione, saltello volentieri e con un certo diletto da una pronuncia all’altra: «moderna», «tradizionale», «accettabile», pseudo-veronese, pseudo-veneziana, pseudo-fiorentina, pseudo-livornese, pseudo-romanesca… :D Insomma, quelle che mi piacciono: non quella che Fortuna m’ha imposto. ;) Rispondendo nello specifico: la mia «vita di tutt’i giorni» coincide —maledetto pendolarismo!— in buona parte cólla vita universitaria, dove oscillo tra pronuncia «tradizionale» e «moderna», con pochissime concessioni a quella «accettabile». In famiglia, mi sforzo un po’ di meno, perché è un ambiente troppo disteso e poco stimolante: sicché le concessioni alla pronuncia «accettabile» aumentano, cosí come il rischio di cader in fallo. :oops: Cógli amici, dipende: se non son linguisti, mi comporto piú o meno come in università; se son linguisti come me, ci si diverte! (Cógli pseudo-accenti di cui sopra, appunto.)
In linea di massima, comunque, cerco di «sintonizzarmi» il piú possibile col «ricevente»: se parlo con un milanese, tenderò a dire intéro, lèttera, trénta; se parlo con un romano o un siciliano, mi concederò qualche intèro e trènta, nonché qualche /ʧ/ [ʃ]; se ho la fortuna di parlare con un toscano, sarò ben contento di dire /da*/ e d’operare qualche distinzione «tradizionale» tra /s/ e /z/. Insomma, chi piú ne ha piú ne metta! — Anche se, a dirla tutta, questa «schizofrenia» linguistica mi porta talvolta a usare pronunce imprevedibili e involontarie: cosa /ˈkɔsa/, da fare /dafˈfare/, da solo /dasˈsolo/; esatto /eˈsatto/, la Bibbia /labˈbibbja/, Luciano /luˈʃano/, un uomo /ˈnɔmo/…

(Chiedo venia per il verboso fuori tema…)
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

La ringrazio per l’approfondita risposta. :)
Souchou-sama ha scritto:Forse, se n’avessi uno che mi piace, l’userei, ma l’accento lombardo —occidentale o orientale che sia— non fa proprio per me!
Son d’accordo: l’accento lombardo non è molto gradevole all’orecchio, soprattutto il bresciano o il bergamasco. Ma anche quello veneto non è il massimo, per me, e infatti ero curioso perché anch’io, quando l’occasione lo consente, cerco di mascherare – a fatica, devo ammettere – certi tratti troppo grossolanamente locali. Uno di questi è la cosiddetta «elle evanescente», che rispunta fuori ogni tanto anche se cerco di cacciarla. :D
Souchou-sama ha scritto:In linea di massima, comunque, cerco di «sintonizzarmi» il piú possibile col «ricevente»: se parlo con un milanese, tenderò a dire intéro, lèttera, trénta; se parlo con un romano o un siciliano, mi concederò qualche intèro e trènta, nonché qualche /ʧ/ [ʃ]; se ho la fortuna di parlare con un toscano, sarò ben contento di dire /da*/ e d’operare qualche distinzione «tradizionale» tra /s/ e /z/.
Quest’operazione di rispecchiamento della pronuncia dell’interlocutore mi sembra anche una buona norma di cortesia che, nel piccolo della mia conoscenza linguistica, cerco di seguire anch’io.
Andrea Russo
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Intervento di Andrea Russo »

Personalmente non ne vedo la necessità... né l'utilità (mi pare una fatica inutile). Inoltre è abbastanza rischioso: bisogna stare attenti se non si vuol rischiare di caricaturare l'accento dell'interlocutore, che potrebbe anche sentirsi preso in giro, credo.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Forse – e parlo per me – entra in gioco una sorta di complesso d’inferiorità, quando si parla con un toscano o un romano. Quindi si cerca di dirigersi verso un centro ideale, allontanandosi dalla pronuncia natía per avvicinarsi a quella dell’interlocutore. Se ci si limita all’apertura/chiusura di /e, ɛ/ e /o, ɔ/ e a pochi altri tratti, credo si scongiuri il sospetto di scimmiottamento.
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