Sequenze consonantiche inaccettabili

Spazio di discussione su questioni di fonetica, fonologia e ortoepia

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Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:
Souchou-sama ha scritto:Eppure, molti dicono filme/firme anche al plurale… C’è un qualche dizionario o manuale da consultare in questi casi? (Ché, purtroppo, riportano [quasi?] tutti soltanto film.)
Serianni, nella sua grammatica (III.132c); e nel Battaglia la forma è registrata col plurale regolare, che si trova illustrato presso vari scrittori.
In Rete, poi, c’è il solito DOP. :D
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

valerio_vanni ha scritto:A volte però col telefonino la comunicazione è disturbata, salta qualche frammento di audio. E' in questi casi che il "ricostruisco dal contesto" a volte si inceppa a causa di quella vocale differente.
E ciò non avviene se manca una consonante, o se si tratta delle vocali a, i, u?
valerio_vanni ha scritto:Però sul fatto che la maggioranza non sappia riconoscere o riprodurre le vocali aperte o chiuse non sono d'accordo.
Le vocali aperte e chiuse della Lombardia o del Veneto o di altre regioni sono diverse da quelle della pronuncia normativa (se non mi crede, legga quel che scrive Luciano Canepàri nel suo Manuale di Pronuncia Italiana).
valerio_vanni ha scritto:Più in generale, però, mi pare "tutto relativo" nel senso che sembra strano quello che è diverso dal proprio parlato abituale.
È quello che sostengo da anni. :)

Benvenuto! :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Marco1971 ha scritto:
valerio_vanni ha scritto:A volte però col telefonino la comunicazione è disturbata, salta qualche frammento di audio. E' in questi casi che il "ricostruisco dal contesto" a volte si inceppa a causa di quella vocale differente.
E ciò non avviene se manca una consonante, o se si tratta delle vocali a, i, u?
Si vede che non mi sono spiegato bene: la vocale "e/E" "o/O" non è quella mancante, ma quella che rimane e su cui si basa la ricostruzione.
Faccio un esempio successo realmente.
Tempo fa cercavo delle molle particolarmente piccole e la ricerca è stata difficoltosa tra ferramenta, brico-center et similia.
Uno di quei giorni al telefono (con la linea un po' scarsa) le ho detto "Eh... la dura vita dell'uomo che cerca le molle...". Lei, pur sapendo della ricerca, ha capito "...che cerca le donne" e non la stava prendendo tanto bene ;-)
Il punto è che nel suo italiano "molle" ha la /o/ (nel mio la /O/), quindi ha scartato l'ipotesi giusta ripiegando su quelle che nel suo hanno la /O/.
Marco1971 ha scritto:
valerio_vanni ha scritto:Però sul fatto che la maggioranza non sappia riconoscere o riprodurre le vocali aperte o chiuse non sono d'accordo.
Le vocali aperte e chiuse della Lombardia o del Veneto o di altre regioni sono diverse da quelle della pronuncia normativa (se non mi crede, legga quel che scrive Luciano Canepàri nel suo Manuale di Pronuncia Italiana).
Ma diverse al punto di non essere confrontabili con la chiusa e l'aperta normative o di confonderle?
Se parliamo di un Italiano regionale dell'estremo sud mi trovo d'accordo.
Ascoltando ad esempio il cantante dei Negramaro mi pare evidente che ci sia una certa oscillazione nell'apertura (vocali che al mio orecchio tendono a suonare "aperte" ma, appunto, a volte sembrano non ben definibili).

In Romagna (ci sono quasi tutti i giorni quindi sento da sempre la gente parlare) a me pare che una distinzione di apertura sia ben presente. Il fatto che il frutto e il prendere pesci abbiano entrambi la chiusa non implica necessariamente che non venga capita la differenza: semplicemente non ci sono informazioni sul fatto che una abbia l'aperta e l'altra la chiusa.
Marco1971 ha scritto:Benvenuto! :)
Grazie :-)
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Intervento di Souchou-sama »

Grazie a Marco e a Infarinato, gentili come sempre, per le indicazioni; e soprattutto grazie a Lei, Valerio, che ha còlto —ed esemplificato— perfettamente quello che volevo dire. :D
valerio_vanni ha scritto:Più in generale, però, mi pare "tutto relativo" nel senso che sembra strano quello che è diverso dal proprio parlato abituale.
Su questo, però, non posso darLe ragione. È piú d’un anno, ormai, che parlo un italiano —si spera— «neutro» in giro per la Lombardia, e nessuno ha mai battuto ciglio né interrogatomi sul mio accento. Credo che lo stesso valga per chiunque parli un italiano o neutro o del Centro con un accento molto leggero. Quindi, mi pare necessario modificare l’affermazione come segue: sembra strano quel ch’è diverso e dal proprio accento e da un italiano «senz’accento» — come dicevo prima, nessun milanese percepisce come «strane» le pronunce [ˈme, peɾˈke, ˈse, ˈte, ˈtre] ch’io uso tutt’i giorni e che pure son rare in quasi tutto il Nord Italia. E non è una questione d’«accettazione»: non è che dà loro un po’ fastidio ma ci passan sopra — senza che se n’accorgano, al loro orecchio non suona per nulla strano. :D (Soprattutto, come dice Lei, grazie alla tivvú.)

P.S. Ah, un benvenuto anche da parte mia! :)
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Souchou-sama ha scritto:Su questo, però, non posso darLe ragione. È piú d’un anno, ormai, che parlo un italiano —si spera— «neutro» in giro per la Lombardia, e nessuno ha mai battuto ciglio né interrogatomi sul mio accento.
Premesso che secondo me c'è una grossa fetta di gente a cui non interessa minimamente la questione [1], quando ha capito è già a posto o al più nota solo i tratti più marcati.
Una domanda: c'è un "prima" in cui invece succedeva diversamente?
Souchou-sama ha scritto:Credo che lo stesso valga per chiunque parli un italiano o neutro o del Centro con un accento molto leggero. Quindi, mi pare necessario modificare l’affermazione come segue: sembra strano quel ch’è diverso e dal proprio accento e da un italiano «senz’accento» — come dicevo prima, nessun milanese percepisce come «strane» le pronunce [ˈme, peɾˈke, ˈse, ˈte, ˈtre] ch’io uso tutt’i giorni e che pure son rare in quasi tutto il Nord Italia. E non è una questione d’«accettazione»: non è che dà loro un po’ fastidio ma ci passan sopra — senza che se n’accorgano, al loro orecchio non suona per nulla strano. :D

P.S. Ah, un benvenuto anche da parte mia! :)
Grazie :-)

Ma quindi lei [2] dice che c'è una sorta di "sensibilità inconscia diffusa" a un italiano neutro?
Per me è improbabile che ci sia, al più può essere "entrato nelle orecchie" quello che gira più spesso in TV.

[1] Facciamo attenzione (anch'io eh...) a non proiettare sugli altri ciò che a noi interessa e ci salta all'orecchio.

[2] Mi fa parecchio strano usare il "lei" su Internet, ma qui pare vada di moda così...
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

valerio_vanni ha scritto:secondo me c'è una grossa fetta di gente a cui non interessa minimamente la questione
Certamente. Infatti, non parlerei di «interesse per la questione». Anzi, il tutto può anche limitarsi al mero fastidio: «ma come cavolo parli?». :D Per un motivo o per l’altro, comunque, all’italiano medio (del Nord, almeno) non manca la capacità di captare un accento diverso, strano, estraneo.
valerio_vanni ha scritto:c'è un "prima" in cui invece succedeva diversamente?
Caro Valerio, il Nord Italia è cosí linguisticamente incasinato che, «prima», c’erano molte parole che pronunciavo diversamente dai miei stessi concittadini/compaesani, sicché ci voleva davvero poco a innescare la reazione «ma come cavolo pronunci quella parola?»… :D
valerio_vanni ha scritto:Ma quindi lei [2] dice che c'è una sorta di "sensibilità inconscia diffusa" a un italiano neutro?
Esattamente.
valerio_vanni ha scritto:al più può essere "entrato nelle orecchie" quello che gira più spesso in TV.
«Al piú»? :lol: È appunto di questo che si tratta, e non è una cosa da poco. Ormai in tivvú passa poco di nostro e moltissimo di straniero, e quindi doppiato; inoltre, l’audio della tivvú cj accompagna in modo martellante fin dall’infanzia. C’è un motivo se gli accenti regionali vanno indebolendosi sempre piú, e è lo stesso motivo per cui l’inconscia familiarità coll’italiano neutro si rinsalda ogni giorno che passa.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Il malinteso evocato da valerio_vanni è dovuto a condizioni acustiche sfavorevoli (una linea telefonica singhiozzante). È un caso particolare, e se molle fu confuso con donne, lo stesso potrebbe accadere tra lame, dame, fame, ecc. Nella maggioranza delle situazioni in cui ci si trova a tu per tu con l’interlocutore senza inquinamento acustico, dubito che la comprensione venga messa a repentaglio dal solo timbro vocalico di e e o. E su questo non proseguirò.

Torno invece brevemente su questo:
Souchou-sama ha scritto:Ho sentito doppiatori milanesi usare pronunce «accettabili» come trascèndere, figuriamoci quelle «moderne».
Anche i doppiatori possono sbagliare, e non è cosí raro. Scrive Luciano Canepàri nel MaPI (1.3.2., terzo paragrafo):

Infatti, queste «sbandate» avvengono, il piú delle volte, per analogía: cosí, chi ha dovuto imparare a usare /ɛ/, in sempre e dicembre, da ĕ (cfr § 2.4), a volte lo trasporta anche in sembra, che ha /e/ da ĭ; oppure avvengono per influssi regionali diretti, per esempio ancora /e/ per /ɛ/ in protetto...

Nel doppiaggio della pellicola Le ore (The Hours), che ho ascoltato attentamente piú di cinque volte, ci sono attori della scuola romana e di quella milanese: quelli di quest’ultima usano il vocalismo fiorentino (avrèbbe vs avrébbe, ecc.).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di u merlu rucà »

La situazione delle e/o nell'Italia settentrionale è stata definita incasinata, ed è una definizione colorita ma esatta. Nel mio dialetto una e in posizione tonica seguita da r+consonante è sempre aperta (vèrde; sèrcu "cerco"), mentre in posizione atona prima della sillaba accentata seguente è sempre chiusa. (in paesi vicini, invece, la e tonica seguita da r-consonante è chiusa: vérdu; sércu). Mi rendo conto che, quando parlo italiano, applico la stessa regola: cerco (e aperta); cercava (e atona chiusa).
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Segnalo, per chi fosse interessato, che il capitolo 10 del MaPI descrive in tutti i loro particolari tutte le grandi varietà regionali di pronuncia (per la Liguria, si veda 10.2). :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Souchou-sama »

Marco1971 ha scritto:situazioni in cui ci si trova a tu per tu con l’interlocutore senza inquinamento acustico
Sí, ma siam sicuri che queste situazioni siano la maggioranza? Il piú delle persone non ha una pronuncia nitida come quella d’un doppiatore, e l’«inquinamento acustico» —nel senso di: parole biascicate, voce nasale, voce roca, voce troppo bassa, &c— è la regola, non l’eccezione.
Inoltre, anche ascoltando il migliore dei toscani o dei doppiatori, in modo piú o meno consapevole, ogni volta che sentiamo una parola, dobbiamo far delle ipotesi, scartando quelle piú improbabili e scegliendone una sola: e tutto questo processo è decisamente facilitato dalla distribuzione dei fonemi /e, ɛ; o, ɔ/.
Marco1971 ha scritto:Nel doppiaggio della pellicola Le ore (The Hours), che ho ascoltato attentamente piú di cinque volte, ci sono attori della scuola romana e di quella milanese: quelli di quest’ultima usano il vocalismo fiorentino (avrèbbe vs avrébbe, ecc.).
L’induzione «avrèbbe &c → vocalismo fiorentino» mi pare affrettata, ottimistica. Probabilmente, molti doppiatori milanesi dicono avrèbbe, lèttera, trénta &c non tanto perché sia la pronuncia fiorentina, quanto perché è la loro pronuncia nativa. :D
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Souchou-sama ha scritto:L’induzione «avrèbbe &c → vocalismo fiorentino» mi pare affrettata, ottimistica.
Non è un’induzione: ho messo ecc. perché non volevo riascoltare due ore di pellicola solo per confermare. Quando una vocale non è della pronuncia tradizionale l’avverto subito, mi balza agli orecchi; e lí tutto filava liscio.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Souchou-sama »

Mi scusi se La contraddico, ma — i doppiatori di quel filme son tutti romani, tranne una napoletana, un toscano e una milanese… :)

P.S. Una pronuncia come avrèbbe è, per il DiPI, «moderna», mentre avrébbe è soltanto «accettabile»! Sono i doppiatori romani a essere, spesso, un po’ scansafatiche, mantenendo un livello ben piú basso della «pronuncia moderna» canepariana… :D
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Intervento di SinoItaliano »

Talvolta ho anch'io una tendenza inconscia ad assorbire alcuni tratti dell'accento regionale dell'interlocutore.

Una volta mi trovavo in vacanza a Nuova Gorizia in Slovenia, meta privilegiata di settentrionali. Una signora, probabilmente lombarda, ci riprese per futili motivi. Rispondendole mi uscí di bocca: «Mi scusi ma stiamo parténdo» con la tipica cantilena lombarda, con la voce che s'impenna a fine frase su parténdo. :D
Mio fratello invece continuò a risponderle con accento romano.

Ricordo poi che quando stavo a Milano e parlavo spesso con gli amici di mia cugina, usavo una pronuncia romana ma con intonazione nordica.

Ora che vivo a Pechino, quando parlo cinese il mio natío accento meridionale si mescola con l'accento pechinese diventando un ibrido, e occasionalmente pronuncio qualche frase con accento coreano, essendoci numerosissimi studenti coreani nella mia università.

Non mi è mai capitato neanche a me di capire male le parole per delle e/o parlando con locutori nativi d'italiano.
Però una volta una ragazza della Svizzera francese mi disse «cinquetére» come fosse un'unica parola, io dissi «eh?» ma dopo un paio di secondi capii e dissi: «Ah! Cinque TÈRRE!».
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

SinoItaliano ha scritto:Però una volta una ragazza della Svizzera francese mi disse «cinquetére» come fosse un'unica parola, io dissi «eh?» ma dopo un paio di secondi capii e dissi: «Ah! Cinque TÈRRE!».
In realtà, si può scrivere anche Cinqueterre; ma soprattutto è difficile immaginarlo pronunciato come se non fosse un’unica parola, cioè [ˈʧiŋkwᴇ ˈtɛrːɾe] anziché [ˌʧiŋkwᴇˈtɛrːɾe]. Considerando, poi, che a un romano /ˈtɛre/ non dovrebbe affatto suonare strano, direi che l’unico vero elemento di disturbo è, c.v.d., il timbro vocalico. :D
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Gentile Souchou-sama, lei è a conoscenza di qualche italiano regionale in cui "terre" venga pronunciato /'tere/?
Suppongo in Veneto, ma non sono sicuro se lì pronuncino la e chiusa o aperta.

Però ora sono in dubbio, cioè se sentissi /'tere/ pronunciato da un Veneto, forse riuscirei a capire, perché magari sentendo la cantilena veneta, l'associo subito a vocali "diverse" e a consonanti scempie, e quindi la decodificazione di /'tere/=terre appare più automatica.
Mentre con un accento straniero, tutto è più imprevedibile, e la mia mente non «se lo aspetta», non ha «schemi di decodifica».

Secondo me, capire gli accenti regionali è questione di familiarità, di abitudine a sentirli.

Per esempio, a volte capisco meglio il napoletano stretto che non un italiano parlato con forte inflessione settentrionale, come mi è capitato una volta in una conversazione telefonica con un ufficio di Treviso; questo a causa dei tanti immigrati napoletani nella mia città e della diffusione del napoletano nei media.

Un altro esempio: noi cinesi cresciuti in Italia proveniamo quasi tutti dalla stessa regione, e facciamo molta fatica a capire gli accenti regionali cinesi diversi dal nostro; mentre i cinesi che vivono in Cina capiscono piú facilmente i diversi accenti cinesi, perché piú esposti ad essi.
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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