Il filone dello sfogo: quali pronunce non sopportate punto?

Spazio di discussione su questioni di fonetica, fonologia e ortoepia

Moderatore: Cruscanti

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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

SinoItaliano ha scritto:Approssimativamente soocioo sama /soːtɕoː sama/.
Sí, o meglio: [ˈsooʨj̊oo sɐˈmɐ] — in canIPA, [ˈsσσʨj̊σσ sɐˈmɐ]. :wink: Tralasciando l’akusento (= pitch accent = accento tonale), ovviamente.
Inoltre, Le faccio notare che [ʨ] non è un fonema, in giapponese: una trascrizione fonemica sarebbe /sootjoo sama/. Sempre tralasciando l’akusento, che —questo sí— ha valore distintivo.
(La pronuncia italianizzata sarebbe, probabilmente, /ˈsɔʧo saˈma/.)
Non andrebbe però scritto Sōchō-sama in Hepburn?
La grafia ō non è meno arbitraria di ou: in giapponese cosí come in molte altre lingue —l’inglese, quelle scandinàve &c— ciò che tradizionalmente viene considerato una vocale lunga —/oː/— è in realtà un vero e proprio dittongo: /oo/. Per questo il Canepàri scriverebbe Soochoo-sama, ma essendo una grafia molto rara ho preferito adottare quella che solitamente usano i giapponesi stessi, quando scrivono 「そちょ」. :)
Bue
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Intervento di Bue »

Souchou-sama ha scritto:…arrivando a produrre il famigerato stasera *[staˈzeːɾa]. :)
Un paio di giorni fa ho sentito alla radio /bebi'zitter/. :shock: :shock:
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GianDeiBrughi
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Intervento di GianDeiBrughi »

SinoItaliano ha scritto:Ho sentito che perfino in Toscana (non so se anche a Firenze) distinzioni tradizionali come fuso /'fuso~'fuzo/ e chiese /'kjɛse~'kjɛze/ si stanno perdendo.
Per quanto riguarda Lucca ho sempre e solo sentito dire /'fuzo/ in ogni occasione come nell'espressione dritto come un fuso. Invece in merito a /'kjɛse~'kjɛze/ la distinzione è ancora ben conservata.
Pur abitando al nord ed avendo una dizione un po' spuria in entrambi gli accenti che utilizzo quotidianamente su queste due sono abbastanza sicuro. La prima è un'espressione che in famiglia usavamo spesso mentre riguardo alla seconda chiesi (:)) per l'appunto ragguagli al nonno qualche tempo fa, poiché mi era venuto il dubbio in merito.

A Marina di Massa ed in Versilia lì vicino invece quest'estate ho sentito molto chiaramente che la maggior parte dei parlanti tratta le "s" intervocaliche né più né meno come lassù da noi. Quindi così viene pronunciato /koˈzi/, casa la pronunciano /'kaza/, cosa /'kɔza/, imprese /im'preze/ e così via.

Per quanto mi riguarda nella dizione classica sono abbastanza insofferente alla mancata osservanza della distinzione tra s intervocaliche sorde e sonore. Per rendere l'idea quando sento recitare "Ahi quanto a dir qual era è cosa dura" con la "s" sonora nella parola "cosa" il mio primo istinto ahimè è quello di cambiare canale o di spegnere il lettore multimediale. :(
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

GianDeiBrughi ha scritto:Per rendere l'idea quando sento recitare "Ahi quanto a dir qual era è cosa dura" con la "s" sonora nella parola "cosa" il mio primo istinto ahimè è quello di cambiare canale o di spegnere il lettore multimediale. :(
Son d’accordo. Recitare Dante usando una pronuncia troppo «moderna» è quasi ridicolo come leggere i classici latini usando la pronuncia «ecclesiastica».
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Allora purtroppo il 99% dei professori liceali d'italiano e latino sono ridicoli...
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Di certo non sono molto professionali (in questo come in molte altre cose). :)
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Carnby
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Intervento di Carnby »

GianDeiBrughi ha scritto:Per rendere l'idea quando sento recitare "Ahi quanto a dir qual era è cosa dura" con la "s" sonora nella parola "cosa" il mio primo istinto ahimè è quello di cambiare canale o di spegnere il lettore multimediale.
Vabbè, non esageriamo: della pronuncia di tutte le s intervocaliche sonore ne parla già il senese Tolomei nel XVI secolo.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Epperò Dante non è del XVI secolo; dunque sarebbe auspicabile rispettare le relativamente poche differenze tra il suo italiano e il nostro. (E nel caso delle /s/ non dobbiamo neanche far appello alla pronuncia dugentesca, ma semplicemente a quella «tradizionale».) In una frase simile, poi, una co/s/a dura è decisamente piú «coerente» d’una co/z/a dura:D
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

E che dire di tutte le altre peculiarità della pronuncia fiorentina dugentesca? ;)
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Non si preoccupi: avevo già letto il capitolo, e con vivissimo interesse. :) E mi pare che, tutto sommato, le differenze siano, appunto, «relativamente poche» — dal punto di vista d’uno ch’è abituato a pronunciar una mezza dozzina di lingue diverse, s’intende… :D
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Però devo dire che la Divina Commedia recitata con l'accento fiorentino “moderno” è molto gradevole all'orecchio. :D
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Non vorrei suonare blasfemo, ma io trovo che l’accento fiorentino —ma, sinceramente, anche toscano tout court— sia piú «bello» dell’italiano neutro, Commedia o no. :D (Un po’ come preferirò sempre l’accento [neutro] britannico a qualsiasi inglese «internazionale» —come quello descritto dal Canepàri— che cerchi di mediare tra [neutro] britannico e americano.)
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Ho appena letto, nel testo di Infarinato, che tradizionalmente le rime sono legate alla grafia "e" "o" e non ai fonemi [e] [ɛ] [o][ɔ].
E' una cosa che non sapevo, non ci avevo mai fatto caso.

Sono poco pratico di poesia e relative tradizioni, però nelle canzoni noto rime e assonanze e personalmente il fonema differente mi fa un effetto di "imperfezione" [1].
E questo si collega alla questione "italiani regionali" perché, appunto, pronunce differenti portano a risultati differenti e quindi penso, di volta in volta, che quella determinata canzone farebbe rima meglio in quella particolare pronuncia rispetto a un'altra.

Se devo cantarla io uso i fonemi della mia parlata naturale, se questo porta a una rima perfetta bene, in caso contrario facco la stessa cosa ma... con un piccolo rimpianto.

Esempio pratico tratto da una canzone di De Andrè:
"Sorella morte datemi il tempo
di terminare il mio testamento"

Se la canta la mia ragazza usa la stessa "e", se la canto io ne uso due differenti (non ho controllato cosa facesse l'autore, ma ai fini del discorso non è rilevante).
In sintesi uso le due vocali differenti che fanno parte della mia parlata, ma non posso fare a meno di notare che "come la canta lei l'assonanza è migliore".

A voi che effetto fanno queste differenze?

[1] Fa eccezione "cuore" - "amore", forse è una rima così diffusa (al punto da essere spesso marcata come banale) che mi ci sono inconsapevolmente abituato.
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

valerio_vanni ha scritto:non ho controllato cosa facesse l'autore, ma ai fini del discorso non è rilevante
Ho controllato io, De André fa la rima con due [ɛ]. :D
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Considerando che dice */testaˈmɛnto/ anche laddove non è in rima, è molto probabile che si tratti d’un ipercorrettismo (per sfuggire alla /eNC/ del Nord Italia).

Comunque, anche a me le rime, per cosí dire, grafemiche anziché fonemiche danno un po’ fastidio. Però non oso certo «raddrizzarle» arbitrariamente: tuttalpiú, sceglierò tra /e, ɛ; o, ɔ/ nei limiti della pronuncia «accettabile». Un paio d’esempi, tratti dallo splendido eppure sconosciuto libro Scappa scappa galantuomo:

1)

Esiste un pòsto
dove allevano i tacchini
con il petto dei bambini
cotti arròsto.


2)

Verso Betlemme vanno i tre re magi
cólla mirra e coll’oro:
ma alla mèta
non giungeranno.

Dai predoni malvagi
impareranno
a non fidarsi piú della comèta
e a farsi i cazzi loro.


…Ma non dirò addirittura l’òro – lòro. :D
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