Sfogliando un manuale di ortoepia

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Zabob
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Sfogliando un manuale di ortoepia

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Mi è capitato fra le mani un volumetto di 87 pagine intitolato Ortoepia: regole ed esercizi sulla retta pronuncia della lingua italiana, di Armando Cittadini, edito nel 1961. Le pagine dalla 15 alla 51 sono dedicate alle regole di pronuncia relative alle vocali e e o (divise in "aperte" e "chiuse") e alle consonanti s e z (classificate in "dolci o sonore" e "aspre o sorde" – e per la s anche in "sibilanti", che poi corrispondono alle s impure iniziali di parola seguite da cons. sonora); le pagine successive contengono esercizi di lettura e osservazioni sulle pron. regionali.
Armando Cittadini fu «Titolare della Cattedra di Arte Scenica presso il Liceo Musicale di Genova». Nell'introduzione egli cita Bertoni e Ugolini, accennando al fatto che essi accettano «sia la pronuncia toscana che quella romana, lasciando al lettore la facoltà della scelta», mentre per il Nostro la pronuncia ideale non è né l'una né l'altra, bensì quella degli «attori del nostro Teatro di Prosa».

Questo manualetto contiene numerose stranezze nella resa delle pronunce, che ritengo (solo in parte) dovute al fatto, ribadito dall'autore al termine della trattazione delle vocali, che:
In alcuni di questi vocaboli, secondo la pronuncia «fiorentina», la «E» tonica acquista un suono « aperto » anziché « chiuso ». Così pure in altri
della pronuncia «romana»[.] In altri ancora la tonica «E» acquista lo stesso suono sia a Firenze che a Roma. Questa differenza di pronuncia dei suddetti vocaboli costituisce la più notevole divergenza tra i fautori del cosiddetto « Asse Firenze-Roma » e quelli della pronuncia « di teatro ».
Mi limito a segnalare i casi che mi sembrano più bislacchi (ma a richiesta posso fornirne altri), in cui la giustificazione della pronuncia "di teatro" non basta a spiegare certe strampalerie:

Lettera E:
– al punto 4) vengono trattati i vocaboli contenenti il dittongo IE, che andrebbe pronunciato chiuso (-ié-) in biétola, chiésa, Chiéti, ciélo, diéci, diéta, diétro e altre 25-30 parole che, secondo il DiPI per es., vorrebbero di preferenza la e aperta;
– al punto 8 ) abbiamo le varie desinenze, dove si trova:
a) EGGIO: chiéggio, déggio;
b) ERA-ERE-ERO: messaggéro, passeggéro, falèra (per il DiPI, DOP e Treccani è sdrucciolo!), vèra (anello);
c) ETA-ETE-ETO: commèta (cométa?), crèto (créta?);
d) ETTA-ETTE-ETTO: prétto;
e) IERA-IERE-IERO: tutte con e chiusa (alfiére, frontiéra, levriéro, fiéro-a [agg.] ecc.), tranne fièra (belva).

Lettera O:
– al punto 5) si esaminano le o secondo le consonanti che seguono all'interno della parola; qui abbiamo: pòlla; sgómino, cognòme, nòme, còmpito, gòmena; insónne, colònna; Giòrgio, òrcio, tòrso; camóscio.

Quindi viene fornito un elenco di parole che, secondo Cittadini, «vengono pronunciate con un ibrido accento intermedio, che partecipa sia del grave che dell'acuto». Si tratta di un centinaio di vocaboli, fra i quali si ritrovano molti di quelli che avevo riportato in un altro intervento. Ma ri-troviamo anche cognome, colonna, cometa, debbo e devo, folla, germoglio, Giorgio, gonna, Maddalena, nome, orcio, pentola, posto, rammendo, sgomino, sono, tosse, tregua e zenzero, a cui nelle pagine precedenti era stato assegnato un accento, o acuto o grave (qui invece vengono segnate con ê o ô). Ma (si avverte) «tale compromesso, imposto dalla consuetudine, non altera per nulla le regole precedentemente stabilite, nè modifica la precisazione degli esempi già elencati».

Lettera S:
– la produzione dei vari tipi di s (tre) dipende(rebbe) da quanto vicina è la lingua ai denti anteriori centrali e «dall'apertura più o meno distaccata delle due corone dentarie»:
« suono dolce o sonoro »[.] Esempio: « asino » – « aspro o sordo ». Esempio: « amoroso » – « sibilante ». Esempio: « sdegno »
.
s intervocalica: concluso è riportato sia fra le parole con s dolce che fra quelle con s aspra; viene dato il suono "dolce", fra gli altri, per asino (citato, come s'è visto, nell'introduzione come esempio di s dolce!) e nasetto (ma non per naso e nasone, che figurano con l's aspra); quello "aspro" per Basento, Basilio, chiesa (che già aveva la e chiusa), cortese, dose, francese, leso, marchese e marchesato, oso e osa, paese e der., sposo e uso.

Lettera Z:
z "dolce o sonora": quando è scempia, tra due vocali; fra gli esempi: cauzione, eziandio, fazione, graziare, lezione, milizia, oziare, sezione, Tizio, vizio e zinzino (dove le z proprio fra due vocali non sono), nonché daziere, pazienza, quoziente, idiozia, nazione, razione e unzione, questi ultimi sette citati poi anche fra gli esempi con la z sorda (insieme con malizia, azione, fazioso ecc. e un misterioso "zezzio")! Idem per zazzera, proposta fra le parole che seguono la regola (z "aspra" doppia fra due vocali) e poi anche nell'elenco delle eccezioni.


C'è una spiegazione a tutto ciò o è soltanto frutto di trasandatezza e approssimazione? Quali attori, quali cantanti avrà sfornato la scuola di questo docente di dizione?
Ultima modifica di Zabob in data sab, 11 mag 2013 15:42, modificato 1 volta in totale.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

La spiegazione è che costui è/era una mente malata, uno che forse voleva, senza preparazione scientifica, imporre i suoi gusti personali. Al rogo tal libro! :D
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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