Vocalismo tonico nei dialetti meridionali estremi

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Ivan92
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Vocalismo tonico nei dialetti meridionali estremi

Intervento di Ivan92 »

Ero indesciso se aprire il filone in Fonetica e fonologia o nella sezione Dialetti. Alla fine l'ho fatto qui. Qualcuno di buon cuore, poi, provvederà, se necessario, ad assegnargli la giusta collocazione. :wink:

Il vocalismo tonico di cinque elementi, che accomuna le parlate meridionali estreme, non contempla le vocali medio-alte. Eppure, m'è capitato di sentir parlare siciliani, calabresi e salentini, e ho colto spesso alcuni /e/ e /o/ in posizione tonica. Com'è possibile tutto questo?
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Carnby
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Re: Vocalismo tonico nei dialetti meridionali estremi

Intervento di Carnby »

Ivan92 ha scritto:Il vocalismo tonico di cinque elementi, che accomuna le parlate meridionali estreme, non contempla le vocali medio-alte. Eppure, m'è capitato di sentir parlare siciliani, calabresi e salentini, e ho colto spesso alcuni /e/ e /o/ in posizione tonica. Com'è possibile tutto questo?
I dialetti non ce l’hanno, ma l’italiano regionale può averli. Si guardi il capitolo 14 del MaPI.
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

La ringrazio. Può per caso fornirmi il collegamento? Non sono riuscito a trovare nulla. :oops:
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Millermann
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Intervento di Millermann »

Buongiorno, caro Ivan. :) Ovviamente sono interessato anch'io a questo argomento, su cui in Rete si trova ben poco!

Da questo prospetto del vocalismo tonico romanzo notiamo che nelle regioni piú meridionali esistono (e, in alcune zone, coesistono) diversi tipi di vocalismo (tipo II, tipo IV, tipo V) alcuni dei quali prevedono anche le vocali medio-alte.

Se, però, ci limitiamo al vocalismo siciliano (che copre quasi per intero la Calabria, quindi anche la mia zona), posso fornirle alcune mie considerazioni al riguardo. :)
Direi che, nella pratica, piú che «non contemplare le vocali medio-alte», il nostro vocalismo «non fa distinzione tra medio-alte e medio-basse». Prevede, cioè, un unico suono «e» e un unico suono «o», che può essere piú o meno aperto (secondo la zona, e perfino il singolo parlante). Un unico suono significa anche che, in posizione tonica o atona, l'apertura della vocale è sempre la stessa!

Io, dalla mia limitata esperienza, trovo che (almeno nel cosentino) l'apertura è, nella maggior parte dei casi, intermedia; insomma, simile a quella della lingua spagnola: /a, e̞, i, o̞, u/.
Io stesso credo di parlare cosí; inoltre, noto subito se qualcuno pronuncia le vocali /ɛ, ɔ/ [troppo] aperte (come in siciliano), e mi suona strano.
D'altronde, noto anche quando qualcuno cerca di pronunciarle /e, o/, forse per una sorta d'ipercorrettismo. :P

Se le va di approfondire l'argomento, sono a sua disposizione! ;)
Ultima modifica di Millermann in data sab, 05 mag 2018 9:51, modificato 1 volta in totale.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Ivan92 ha scritto:La ringrazio. Può per caso fornirmi il collegamento? Non sono riuscito a trovare nulla.
Non è disponibile in linea sul sito di Canepari; credo che sia però facilmente reperibile in biblioteca. Se ciò non fosse possibile, mi mandi un messaggio privato. :wink:
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Innanzitutto ringrazio gl'intervenuti. :)

Certo che mi va d'approfondire l'argomento, caro Millermann! :) Comincio con due osservazioni: in primis, non capisco come mai il grado d'apertura delle vocali debbe essere intermedio (una specie di né carne né pesce), nonostante i manuali dicano che il vocalismo tonico dei dialetti meridionali estremi consta dei cinque fonemi /a, ɛ, i, ɔ, u/; in secundis, vuoi perché non ho mai prestato la giusta attenzione, vuoi perché il mio orecchio non è allenato all'ascolto delle parlate meridionali estreme, non ho mai notato, parlando con i pochi siciliani e calabresi che conosco, questo grado intermedio d'apertura. Ora come ora non saprei portarle a esempio qualche parola, ma in posizione tonica m'è capitato di sentire sia /e/ sia /ɛ/. Aggiungo anche che i siciliani che conosco ricorrono più spesso alla vocale medio-alta di quanto non facciano i miei conoscenti calabresi, che rimangono invece più fedeli al vocalismo tonico dei dialetti meridionali estremi. Anche questo è un mistero. Passo la palla a lei. :)
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Millermann
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Intervento di Millermann »

Una palla che scotta! :P
Secondo me, forse i manuali semplificano un pochettino... Nel capitolo sulle vocali tratto da «Pronunce straniere dell’italiano» del Canepari, si afferma che l'italiano neutro ha sette fonemi vocalici, realizzati tramite nove tassofoni. I tassofoni in piú sono, appunto, «e» ed «o» intermedie, i cui simboli rassomigliano a una «E» in maiuscoletto e a una specie di «σ».
Dunque queste realizzazioni «né carne né pesce» esistono, da qualche parte, anche in italiano. Non è impossibile che, là dove il vocalismo ammette soltanto le vocali semiaperte, tali fonemi vengano realizzati, da alcuni parlanti, tramite i tassofoni in questione. :?

Del resto, io non sono un esperto, né dispongo dell'orecchio abituato a riconoscere le differenze tra questi tassofoni (un po' come quando un italiano non riesce a distinguere tra le circa venti vocali inglesi :P)! Se lei dice che non sente un grado d'apertura intermedia, può darsi che sia vero. :?

Nel capitolo citato, la figura in basso a sinistra di pag.28 mostra la posizione dei «principali vocoidi regionali», tra cui, appunto, quelli di cui stiamo parlando. A pag.32 è anche mostrata una serie di vocogrammi relativi ad alcune città della penisola, tra cui Palermo, relativi a dei dittonghi, da cui si può evincere come questi varino (di poco) nel continuo.

E qui sono certo che lei, grazie ai suoi studi piú pertinenti, sarà in grado di capirci piú di me, che provengo da studi di tipo ingegneristico... ;) Cercherò, pertanto, di leggerlo con attenzione, in attesa di trovare anche dell'altro materiale, che possa fare maggior chiarezza sui miei dubbi.

P.S. Quei suoi amici siciliani non saranno dei «galloitalici di Sicilia»? ;)
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Millermann
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Intervento di Millermann »

Continuando a leggere (ad esempio questo articolo della Treccani) sono riuscito a dissipare buona parte dei miei dubbi riguardo alla rappresentazione grafica dei cosiddetti vocogrammi. :) Voglio riportare, perciò, una descrizione sintetica e semplice di ciò che ho capito, a beneficio di coloro che avessero gli stessi dubbi (se vi sono inesattezze, spero che qualcuno avrà la bontà di correggerle :P).

In un vocogramma come quelli qui rappresentati, l'asse orizzontale è la dimensione anteriore/posteriore (nella bocca) compresa fra i punti di articolazione della «i» (a sinistra) e della «u» (a destra).
L'asse verticale indica il grado d'apertura della bocca o, meglio, l'altezza della lingua, e va dalla massima apertura (in basso) a quella minima (in alto).

Nei vocogrammi raffigurati, dunque, possono essere individuati sei livelli d'altezza (da A a F), mentre in senso anteriore/posteriore si hanno cinque «posizioni». Da notare che i vocogrammi in alto sono quelli del Canepari, mentre in basso abbiamo quelli dell'IPA, in cui diverse "caselle" sono vuote (e, tra esse, anche quelle delle vocali «e/o» intermedie).

(Devo però confessare, da profano, che questa dei vocogrammi mi sembra una modellizzazione piú teorica che pratica. Voglio dire che io non sarei in grado di «realizzare» un nuovo vocoide, a me sconosciuto, a partire dalle posizioni indicate in tabella! :?)

Tornando al vocalismo, nella voce della Treccani citata, a un certo punto si afferma: «Le varietà con il vocalismo pentavocalico si collocano soprattutto nell’Italia meridionale estrema (Sicilia, parte della Calabria, Salento) e in Sardegna.»

Qui avrei qualcosa da obbiettare: in realtà il vocalismo pentavocalico è presente nell'intera Calabria, e non solo «in parte» di essa. Non è, però, di un unico tipo: si ha un vocalismo di tipo sardo o arcaico nell'estrema fascia settentrionale, al confine con la Basilicata (la cosiddetta Area Lausberg), il classico vocalismo siciliano a sud della linea Diamante-Cassano, e un vocalismo «misto» nella zona intermedia di confine. :)
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Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Innanzitutto la ringrazio dell'acribia e delle esaurienti risposte. :)

Sì, certo, non metto in discussione l'esistenza dei tassofoni in italiano. Ne avevamo parlato anche qui. E non metto neanche in discussione il fatto che alcuni parlanti possano realizzare le vocali semi-aperte tramite i tassofoni in questione, come dice lei. Il fatto è un altro: io sento veri e propri /e/ in alcune parole. I miei amici siciliani vengono da Agrigento, stanno nelle Marche da poco più d'un mese, per cui non credo sia ipotizzabile una contaminazione linguistica. Loro, per esempio, dicono , , ma perché. :roll:
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Ivan92 ha scritto:Innanzitutto ringrazio gl'intervenuti. :)

Certo che mi va d'approfondire l'argomento, caro Millermann! :) Comincio con due osservazioni: in primis, non capisco come mai il grado d'apertura delle vocali debbe essere intermedio (una specie di né carne né pesce), nonostante i manuali dicano che il vocalismo tonico dei dialetti meridionali estremi consta dei cinque fonemi /a, ɛ, i, ɔ, u/
Essendo molto lontani i suoni adiacenti , c'è più spazio di oscillazione verso la chiusura. In chi ha quel sistema vocalico, la necessità di centrare proprio [ɛ] [ɔ] è meno stringente rispetto a chi ha anche [e] [o].

Lo stesso vale per le chiuse, possono permettersi di oscillare in direzione delle quasi chiuse.

In questa canzone, la terza e la quarta frase hanno delle aperture intermedie ("sincero" e "nero"):
https://www.youtube.com/watch?v=C8SuNmIbJGM

Io però non so se sia azzeccato parlare di tassofoni. Io direi più che è un fono con confini più larghi.
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Ivan92 ha scritto:l fatto è un altro: io sento veri e propri /e/ in alcune parole. I miei amici siciliani vengono da Agrigento, stanno nelle Marche da poco più d'un mese, per cui non credo sia ipotizzabile una contaminazione linguistica. Loro, per esempio, dicono , , ma perché. :roll:
A volte è capitato anche a me di sentirli. Può anche darsi che la contaminazione sia più a monte.
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

La ringrazio, caro Valerio. Sono sempre preziosi e ricchi di spunti i suoi contributi. Temo però di essere stato un po' frainteso, o forse siamo semplicemente andati fuori tema. Il quesito originario era: com'è possibile che in un dialetto che prevede un sistema pentavocalico si sentano tanto degli /e/ quanto degli /ɛ/? Cioè, perché affianco a giòrno dovremmo avere, per esempio, téma?
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Millermann
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Intervento di Millermann »

Buonasera, cari Ivan e Valerio. :) Sono riuscito finalmente a rintracciare un testo (che forse conoscete già) davvero utile e dirimente: è ancora uno dei capitoli del libro del Canepari, e presenta la trascrizione fonetica di una favola di Esopo in numerosi accenti regionali (e, aggiungerei, piuttosto marcati :P).

Anche solo focalizzando l'attenzione su una singola parola significativa, come «pretendendo» (una delle prime) si scopre che:
nelle città settentrionali (tranne Torino) tutte le vocali sono pronunciate «chiuse», compresa quella tonica.
Le città mediane e alto-meridionali seguono (piú o meno) la pronuncia normale (con la «e» tonica aperta).
Invece a Torino, Lecce, Catanzaro, Palermo, Catania e Cagliari, tutte le vocali sono trascritte con i simboli dei «tassofoni» di media apertura! :D

Ciò mi conferma che la mia sensazione non era troppo lontana dal vero. Sono sicuro, caro Ivan, che guardando attentamente queste trascrizioni troverà interessanti spunti in grado di rispondere alle sue domande! ;)
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valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Ivan92 ha scritto:La ringrazio, caro Valerio. Sono sempre preziosi e ricchi di spunti i suoi contributi. Temo però di essere stato un po' frainteso, o forse siamo semplicemente andati fuori tema. Il quesito originario era: com'è possibile che in un dialetto che prevede un sistema pentavocalico si sentano tanto degli /e/ quanto degli /ɛ/? Cioè, perché affianco a giòrno dovremmo avere, per esempio, téma?
Probabilmente è indicata come /ɛ/ perché, a livello fonematico, raccoglie l'eredità latina che in italiano è finita in /ɛ/. La realizzazione fonetica, però, non coincide necessariamente col nostro [ɛ]. Né come centratura, né come precisione.

Un fono viene disegnato come un punto nello spazio vocalico, ma è più da vedere come un'area intorno al punto. Un avvallamento in cui vanno a cadere i suoni.

Lo spazio di apertura e avanzamento ha natura continua, sono le varie sensibilità linguistiche a porre dei limiti.
Se noi [1] proviamo a chiudere appena una [ɛ], ci sembra ancora una [ɛ] ma meno aperta. Se continuiamo a chiuderla, a un certo punto ci sembrerà una [e] troppo aperta, poi una [e] normale, e via via fino a sembrarci una [i].

E' la nostra sensibilità linguistica che ci dice dove finisce una lettera e inizia l'altra, ma bisogna stare attenti a non applicare questa nostra sensibilità ad altri sistemi che possono avere avvallamenti col centro spostato e/o di dimensione differente.

Va bene, /ɛ/ siciliano ha raccolto la "e breve" latina, ma dove si posiziona come suono? Non ha avuto la necessità di posizionarsi così in basso come quello italiano, dato che non c'era niente lì vicino da cui distinguersi. Può stare, quindi, più al centro e oscillare in un'area più ampia.
Insomma, la loro conca di quella vocale è a cavallo tra le nostre conche di /e/ e /ɛ/.

E lo stesso vale per /i/. Non avendo vicino /e/, può abbassarsi senza entrare in conflitto. Entra invece in conflitto con la nostra /e/, se la analizziamo coi nostri parametri.

Capita, a volte, che alcune /i/ siciliane a un orecchio eptavocalico sembrino delle /e/ [2], ma all'interno del sistema rimangono delle /i/.

Se poi c'è una regolarità nelle aperture, è un altro discorso. Dicono sempre giòrno e téma, o no?

[1] Noi intesi come gente che ha nell'orecchio le sette vocali classiche.
[2] Volendo cerco qualche esempio, ma mi sembra abbastanza evidente la cosa
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Carnby
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Intervento di Carnby »

valerio_vanni ha scritto: Essendo molto lontani i suoni adiacenti , c'è più spazio di oscillazione verso la chiusura.

I dialetti basso-meridionali non hanno in genere [i, u], bensì [ɪ, ʊ].
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