Occorrenze in italiano dei dittonghi /ou/ e /uu/

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Carnby
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Occorrenze in italiano dei dittonghi /ou/ e /uu/

Intervento di Carnby »

Nelle lingue che non possiedono né la distinzione tra vocali brevi e lunghe, né dittonghi fonologici (come greco, latino, tedesco, inglese e neerlandese), si dice che gli incontri vocalici non hanno restrizioni (non serve la «lista dei dittonghi»), e si considerano tradizionalmente tautosillabiche le sequenze /Vj, Vw, jV, wV/, anche se ci possono essere differenze d’interpretazione fonologica. Ma non è di questo che volevo parlare. Nelle lingue romanze che hanno una fonologia abbastanza simile come italiano, spagnolo, portoghese ci sono restrizioni alla possibilità d’incontri vocalici; in particolare, in italiano, si nota l’impossibilità di /ɔu, ou, uu/. Oggi mi sono imbattuto in un nùuli (per «nuvoli») nel testo di un codice di Leonardo da Vinci; posto che non sia un refuso di chi ha trascritto il codice e posto che tale forma fosse veramente usata in Toscana tra il XV e il XVI secolo, possiamo dire che occasionalmente questi incontri vocalici (tautosillabici, e quindi «dittonghi», almeno foneticamente) possono verificarsi? Mi ricordo anche del Douro di Gabrielli letto all’italiana /'dɔuro/, come del resto certe pronunce «maccheroniche» del francese e greco ou. Che ne dite?
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Millermann
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Intervento di Millermann »

Se si riferisce alla pronuncia di tali dittonghi, e si vogliono contare anche i casi sporadici, allora qualcosina ci sarebbe, anche in italiano:
duunviro, coi derivati duunvirale e duunvirato. Certo, si tratta di voci dotte di origine latina, comunque non sono meno italiane di altre.

Per quanto riguarda il gruppo -ou-, invece, lo troviamo chiaramente pronunciato in alcuni composti con prefissoidi, come monouso e coutente, o magari austroungarico. :)
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

In duunviro e monouso si ha iato, non dittongo; negli altri (ben trovati!) si ha, sí, dittongo, ma atono…
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

In fonosintassi è facile trovarne:
"Ne comprò un'altra".
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Concorderete che con duunvirato (per non parlare dei nessi esistenti in fonosintassi) siamo nella «periferia» dell’italiano. Austroungarico viene ridotto correntemente in austrungarico (anche se nello scritto si preferisce la prima forma) ed è comunque un composto.
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Millermann
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Intervento di Millermann »

Non so quanto abbia attinenza con la sua domanda, però confesso che a me, ricercando mentalmente esempi (spontanei) di dittonghi come quelli che lei cerca, vengono subito in mente alcuni tipi di frangimenti vocalici.

Come è noto, si tratta di un fenomeno diffuso in alcuni dialetti (in particolare quelli alto-meridionali della zona costiera orientale d’Italia), in cui alcune vocali accentate si "frangono" fino a rassomigliare a un dittongo discendente.
Tra i diversi frangimenti vocalici troviamo anche quelli che, dagli esiti di ū, ō latine (e altre), producono il "dittongo" /ou/, ad esempio [ˈsou̯lə] «sole».

Non aggiungo altro, perché non sono certo un esperto in questo campo: il mio interesse (o, diciamo meglio, curiosità) è dovuto al fatto che uno dei rarissimi esempi di dialetti che presentano tali frangimenti vocalici al di fuori dell'area tipica è riscontrabile proprio nella mia zona, a Belvedere Marittimo.
Per chi può consultarne l'opera, pare ne abbia parlato anche il Rohlfs (Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino, Einaudi, 1949-1951, ai §§ 10, 12, 31, 39, 58, 76, 125). ;)
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Millermann ha scritto:Non so quanto abbia attinenza con la sua domanda, però confesso che a me, ricercando mentalmente esempi (spontanei) di dittonghi come quelli che lei cerca, vengono subito in mente alcuni tipi di frangimenti vocalici.

Come è noto, si tratta di un fenomeno diffuso in alcuni dialetti (in particolare quelli alto-meridionali della zona costiera orientale d’Italia), in cui alcune vocali accentate si "frangono" fino a rassomigliare a un dittongo discendente.
Tra i diversi frangimenti vocalici troviamo anche quelli che, dagli esiti di ū, ō latine (e altre), producono il "dittongo" /ou/, ad esempio [ˈsou̯lə] «sole».
Questo però è un fenomeno di dittongamento fonetico estraneo all’italiano letterario di base toscana.
Ligure
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Intervento di Ligure »

Carnby ha scritto:Concorderete che con duunvirato (per non parlare dei nessi esistenti in fonosintassi) siamo nella «periferia» dell’italiano. Austroungarico viene ridotto correntemente in austrungarico (anche se nello scritto si preferisce la prima forma) ed è comunque un composto.
Ovviamente, non posso che concordare con tutto quanto sopra esposto.

Segnalo soltanto che – anche in base al sempre più diffuso dogma secondo il quale l'italiano si pronuncia come si scrive (e, quindi, se si scrive male, andrebbe anche letto altrettanto male!) – risulta molto diffusa, specialmente al Nord, la pronuncia che conserva l'o di austro.

Comunque, anche senza voler tener conto dell'inevitabile pausa che intercorre tra i due termini, in questo tipo di pronuncia, dato che, nel composto, l'accento secondario di ungarico cade sull'u, non si può mai realizzare un dittongo.

Ho provato con diverse persone che adottano questo stile di pronuncia. Nessuna di loro, in questa parola, riesce a dare prominenza accentuale alla o rispetto alla u. Non riescono, poi, a terminare la parola… Quindi, anche prescindendo dall'accento principale della voce esaminata e dal fatto che si tratti di un composto, qui ou non può essere, comunque, dittongo in alcun modo.

Inoltre, come ha fatto notare acutamente Carnby, non è scontato che tutti pronuncino nello stesso modo e, dal momento che l'identificazione di un dittongo implica il riscontro di un contrasto accentuale, nelle sillabe non caratterizzate dall'accento principale la pronuncia può variare.

In questo caso un conoscente – per il piacere di potermi dare torto – pronunciò più volte austrò, affermando di aver pronunciato un dittongo. Ma è pronuncia che, nella realtà, non si riscontra.
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Ligure ha scritto:Comunque, anche senza voler tener conto dell'inevitabile pausa che intercorre tra i due termini…
La pausa è evitabilissima.
Ligure ha scritto:…in questo tipo di pronuncia, dato che, nel composto, l'accento secondario di ungarico cade sull'u, non si può mai realizzare un dittongo.
Nel composto l'accento secondario è più indietro: /,aus.troun'ga.ri.ko/.
Ligure ha scritto:Ho provato con diverse persone che adottano questo stile di pronuncia. Nessuna di loro, in questa parola, riesce a dare prominenza accentuale alla o rispetto alla u.
Senza il sonoro non riesco a capire come pronunciano queste persone, ma all'interno di una sillaba atona il dittongo è realizzabile.
Anzi, in questo caso è certo perché /o/ non può essere approssimante di /u/.
Ligure
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Intervento di Ligure »

Ligure ha scritto:…non è scontato che tutti pronuncino nello stesso modo… nelle sillabe non caratterizzate dall'accento principale la pronuncia può variare…
Credo che l'unica cosa su cui si possa concordare è che la pronuncia della parola può variare.

Mi risultano chiarissime le osservazioni elaborate, che confermano la possibile variabilità della pronuncia, di cui intendevo esporre, appunto, una variante geografica. Come ho scritto. Ben lungi dal proporre un tentativo di norma.

In questa variante – a Genova, ad esempio, praticamente tutti i parlanti pronunciano la parola come ho tentato di descrivere – la pausa, per quanto teoricamente (e praticamente) evitabile, viene osservata da tutti i parlanti. Forse, emerge la consapevolezza della composizione, forse dipende anche dalla lunghezza della parola e, forse, anche dal fatto che oggigiorno il termine non risulta affatto di uso comune. Di fatto anche tutti i docenti pronunciano come ho illustrato.

Mi risulta assolutamente chiaro quale potrebbe essere la posizione dell'accento secondario, ma, siccome intendevo fornire un contributo relativo all'evidenza della variabilità della pronuncia (particolarmente in questo genere di voci), ho riferito le cose esattamente come stanno.

Cioè un numero molto consistente di parlanti, indipendentemente da scolarità e cultura, esegue una pausa (percepibilissima) e pronuncia /ˌun'gariko/ con un accento secondario, relativamente alla voce ungarico, sull'u (non intendo scrivere canonico, ma devo scrivere molto evidente). È in questo stile di pronuncia, ovviamente, che non si può realizzare il dittongo.

La realtà, dotata di un'amplissima variabilità, e quella che è e io, nei limiti evidentissimi delle mie capacità di rappresentarla adeguatamente, ho solamente inteso far presente che essa risulta tutt'altro che univoca.
Ligure
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Intervento di Ligure »

Mi sono rimasti nella penna due ulteriori tipi di considerazioni:
  1. ho menzionato la differenza tra dittongo e iato facendo riferimento a un'adeguata prominenza accentuale e alla posizione dell'accento per determinare a quale delle due categorie dicotomiche attribuire l'incontro vocalico. Non vorrei non essere stato esaustivo e tengo a ricordare che – secondo la definizione del Canepari (una tra le più chiare, mentre molti altri autori rischiano di risultare poco comprensibili perché introducono, nelle definizioni da loro proposte, anche considerazioni di tipo tradizionale, ma incongruenti in quanto attinenti alla metrica poetica) –, se pure non si riscontri una prominenza accentuale su nessuno dei due vocoidi, si ha ancora dittongo.

    In simboli, il dittongo può essere rappresentato come /'VV, VV/, cioè ['VV, ˌVV, VV]. Altrimenti detto, si ha iato solamente se si ha una netta prominenza accentuale sul secondo vocoide. Espresso in simboli, lo iato prevede due sole possibili situazioni: /V'V/, cioè [V'V, VˌV]. Come detto, secondo Canepari, se non si riscontra contrasto accentuale, si tratta sempre di dittongo: il simbolo “ ' ” rappresenta l'accento primario, lo scarsamente leggibile “ ˌ ” quello secondario.
  2. Il motivo del mio interesse personale relativo alla fonologia di voci quali austroungarico è presto spiegato e, assai probabilmente, non riguarderà nessun altro lettore. Dal momento che voci di questo tipo non presentano nella realtà una pronuncia univoca e che più in generale tutto quanto riguarda gli accenti secondari e la loro posizione all'interno delle parole non risulta concordemente codificato né mai (almeno, nella mia esperienza personale) insegnato, risultano ancora molto facilmente evidenziabili interessanti reazioni di sostrato, assai più difficilmente osservabili in voci oggigiorno "normalizzate" dall'acquisizione culturale (non solo scolastica) e dalla ricerca di un livello di lingua comune in cui esprimersi.

    L'accento secondario sull'u di ungarico che ho osato prendere in considerazione è un esempio concreto di quanto ho qui argomentato e riguarda una reazione locale di sostrato – un'ipercorrezione – spiegabilissima nel contesto in cui s'è diffusa. Come dicevo, la generalizzazione geografica è stata favorita dal fatto che, almeno localmente, né la scuola né l'ambiente sociolinguistico hanno mai proposto alcun tipo di normalizzazione in merito.
Qui mi fermo, non soltanto perché eventuali approfondimenti penso non interesserebbero a nessuno, ma anche perché, eventualmente, dovrebbero essere svolti nell'ambito di un diverso filone.
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Ligure ha scritto:
Ligure ha scritto:…non è scontato che tutti pronuncino nello stesso modo… nelle sillabe non caratterizzate dall'accento principale la pronuncia può variare…
Credo che l'unica cosa su cui si possa concordare è che la pronuncia della parola può variare.
Su questo non c'è dubbio.
Ligure ha scritto:Cioè un numero molto consistente di parlanti, indipendentemente da scolarità e cultura, esegue una pausa (percepibilissima) e pronuncia /ˌun'gariko/ con un accento secondario, relativamente alla voce ungarico, sull'u (non intendo scrivere canonico, ma devo scrivere molto evidente).
Che facciano una piccola pausa mi torna, l'accento secondario meno.
Il problema è l'accento primario immediatamente a valle. Non è escludibile una sequenza di intensità piano - mezzo forte - forte - piano, ma il mezzo forte accanto al forte (l'accento secondario immediatamente a monte del primario) è di scarsa percepibilità.

Impuntandosi a dargliela, si rischia di disturbare l'accento primario (non so se questo si può ricollegare al "non riescono a finire la parola").
Ligure ha scritto:È in questo stile di pronuncia, ovviamente, che non si può realizzare il dittongo.
Non è necessario l'accento secondario per escludere il dittongo: la micro pausa basta.
Ligure
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Intervento di Ligure »

Sembra siano emersi tre punti.

Il primo sembrerebbe scontato. Ma, ovviamente, non intendevo sottrarre tempo a nessuno proponendo ovvietà. Evidentemente, non sono riuscito a comunicare con chiarezza che intendevo collegare l'ovvia variabilità della pronuncia – particolarmente in merito agli accenti secondari in una parola composta – al fatto che stavo descrivendo una pronuncia specifica, concretamente esistente, in cui, se non si effettua una pausa significativa, non si può che realizzare uno iato, guardandomi bene dal proporla come consigliabile o canonica. Tutt'altro! Ora spero di essere riuscito a chiarire meglio il mio pensiero.

Sono d'accordo anche sul terzo punto. Infatti, avevo parlato sia della pausa quanto della prominenza accentuale sul secondo vocoide, ma, probabilmente, anche in questo caso, non sono riuscito a essere chiaro.

La frase sulla quale, sostanzialmente, non posso essere d'accordo, alla luce dell'esempio riferito, è la seguente:
  • Che facciano una piccola pausa mi torna, l'accento secondario meno.
Qui rimango più perplesso. O, forse, non sono riuscito a capire. Ho premesso che non sto proponendo una pronuncia come consigliabile o corretta. Ho chiarito che ho soltanto descritto/accennato a una pronuncia reale molto diffusa in un certo contesto geografico. Che essa possa non rientrare nell'esperienza diretta di una persona che vive in un contesto diverso mi pare assolutamente scontato (e si torna nell'ambito dell'ovvietà). Che essa non sia pronunciabile così come ho tentato di descriverla un po' meno.

Certamente non risulta impossibile sotto l'aspetto articolatorio. Altrimenti – pur nella loro inconsapevolezza linguistico-articolatoria – le persone non riuscirebbero a produrla e non si sarebbe potuta generalizzare in un determinato ambito geografico.

P.S.: Non intendevo entrare nel merito del perché la u di [un'gariko] – in questo stile di pronuncia – venga caratterizzato da accento secondario, dal momento che, come ho scritto, si dovrebbero esaminare aspetti di sostrato, che esulano dall'argomento in questione. Articolatoriamente mi sembrerebbe assolutamente possibile. Inoltre, tengo a chiarire che lo stile di pronuncia riferito, ovviamente, non ha nulla a che vedere col fatto che la voce /un'gariko/ si trovi in composizione. I locutori del contesto cui ho accennato, inclusi insegnanti, allievi e docenti universitari, se richiesti (dal momento che la voce non è proprio di uso comune), pronunciano anche isolatamente /un'gariko/ con un percepibilissimo accento secondario sull' u.

P.P.S.: Per altro, il taglio del mio intervento (forse, anche in questo non sono riuscito a essere chiaro) non verteva tanto sul riferire, in modalità più o meno felici, un determinato tipo di pronuncia quanto segnalare, come ho già fatto, l'esperienza personale di dover riscontrare, quasi quotidianamente, il semplicismo culturale, assolutamente tetragono rispetto a qualsiasi tipo di provocazione intellettuale, di allievi e docenti rispetto alle cose di lingua. L'uso della voce cose è assolutamente voluto. In base a questo approccio chiunque si ponga problemi è un perditempo.

L'italiano è una lingua trasparente. Affermazione intesa come Si legge come si scrive. Basta, non c'è altro da sapere. Cioè tutto quello che non è direttamente segnalato dalla grafia non esiste o è lasciato ai singoli.

È qui che credo si possa ben comprendere quanto ho riferito in merito al fatto che, relativamente agli accenti secondari, alla fonosintassi, all'elisione e alla pronuncia dei clitici, oltre all'inevitabile idiosincrasia dei singoli, non possano che emergere in modo generalizzato evidenti reazioni di sostrato o pseudonorme.

Risulta quotidiana l'evidenza di docenti universitari che pronunciano il gatto colla stessa identica prominenza accentuale sull'i e sull'a e trattano coll'atteggiamento riservato agli ebeti chi ha posto la questione, rispondendo letteralmente ”Ma non vede che è scritto staccato?” [sic] (forse dovrei scrivere sigh! come nei fumetti), sentendosi oltretutto compassionevoli di fronte a chi ha dato prova di un labile equilibrio nel sapersi comportare. Viene da chiedersi come vada correttamente pronunciato il gatto o un carico. Non soltanto il ben poco frequente ungarico. Docenti così non si rendono minimamente conto che, in realtà, tutto quanto non risulta direttamente segnalato dalla grafia viene in questo modo in buona parte direttamente gestito dagli automatismi inconsapevoli del sostrato locale e sottratto a qualsiasi possibilità di opportuno approfondimento.
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Ligure ha scritto:[S]tavo descrivendo una pronuncia specifica, concretamente esistente – in cui, se non si effettua una pausa significativa, non si può che realizzare uno iato…
Questo passaggio non l'ho capito.
Ligure ha scritto:…guardandomi bene dal proporla come consigliabile o canonica.
Neanch'io stavo parlando di consigliabile o canonica.
Ligure ha scritto:Che facciano una piccola pausa mi torna, l'accento secondario meno.

Qui rimango più perplesso. O, forse, non sono riuscito a capire. Ho premesso che non sto proponendo una pronuncia come consigliabile o corretta. Ho chiarito che ho soltanto descritto/accennato a una pronuncia reale molto diffusa in un certo contesto geografico. Che essa possa non rientrare nell'esperienza diretta di una persona che vive in un contesto diverso mi pare assolutamente scontato, e si torna nell'ambito dell'ovvietà.

Che essa non sia pronunciabile così come ho tentato di descriverla un po' meno.
Non dico che non sia pronunciabile, ma che sia una pronuncia in equilibrio instabile.
Una pronuncia di notevole intenzionalità, che vorrei vedere quanto regge in un discorso fluido fatto pensando agli argomenti.
Ligure ha scritto:Certamente non risulta impossibile sotto l'aspetto articolatorio. Altrimenti – pur nella loro inconsapevolezza linguistico-articolatoria – le persone non riuscirebbero a produrla e non si sarebbe potuta generalizzare in un determinato ambito geografico.

P.S.: Non intendevo entrare nel merito del perché la u di [un'gariko] in questo stile di pronuncia venga caratterizzato da accento secondario, dal momento che, come ho scritto, si dovrebbero esaminare aspetti di sostrato, che esulano dall'argomento in questione.
Potrebbero comunque essere interessanti, in un filone apposito.
Ligure ha scritto:È qui che credo si possa ben comprendere quanto ho riferito in merito al fatto che, relativamente agli accenti secondari, alla fonosintassi, all'elisione e alla pronuncia dei clitici (oltre all'inevitabile idiosincrasia dei singoli), non possano che emergere in modo generalizzato evidenti reazioni di sostrato o pseudonorme.

Risulta quotidiana l'evidenza di docenti universitari che pronunciano il gatto colla stessa identica prominenza accentuale sull'i e sull'a
C'è anche una cosa da verificare, però. Capire quali sono le pronunce spontanee o intenzionali ma interiorizzate (e quindi regolarizzate, ormai di fatto spontanee) e quelle "intenzionali sul momento". Quando si inizia a discutere su come si pronuncia non è da escludere che qualcuno risponda A mentre nel parlato usa B.

Faccio un esempio: delle persone, che usano la (canonica, ma non è rilevante ai fini del discorso) doppia zeta nella parola "azione", se gli si pone la questione dicono che la zeta è singola.
E a volte si impuntano a metterne una, in quel momento, proprio per non mettere in discussione quella convinzione che "l'italiano si legge come si scrive".
Poi parlando spontaneamente riprendono a mettere le due che hanno sempre messo.
Ligure
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Intervento di Ligure »

Qui sembrano emergere cinque punti.
  1. Riguardo al primo, stavo semplicemente scrivendo (ma, probabilmente, non sono riuscito a risultare chiaro) ciò che anche lei condivide. La pausa esime dalle verifiche relative all'attribuzione alle categorie mutuamente esclusive di iato o dittongo. Ho semplicemente affermato che, nello stile di pronuncia menzionato, si verifica iato, purché non vi sia pausa. Tutto qui.

    A meno di non intendere ricorrere agli artifici metrici, quale, in questo caso, la sinalefe, tanto detestati dal Canepari.
  2. Anche sul secondo punto non posso che essere totalmente d'accordo.
  3. Qui sembra riemergere il fatto che si sta considerando un fenomeno linguistico concreto da due diversi punti di vista e sulla base di esperienze personali diverse. Il che non può che essere assolutamente normale. La mia opinione è che, quando si pensa e si afferma, semplicisticamente e scorrettamente, che tutto quanto riguarda la pronuncia risulta direttamente segnalato dalla grafia e che ciò che non è esplicitamente indicato è ad libitum, si dà via libera alle reazioni di sostrato. Perché si tratta degli unici automatismi posseduti – per quanto, nella maggioranza dei casi, inconsapevolmente – dai parlanti che non amano porsi problemi e ai quali nessuno ha mai insegnato nulla. Quindi, intervengono nella pronuncia della lingua processi che risultano sì canonici, ma in un diverso sistema linguistico. Quando ciò si verifica, in primis, con scarsissima consapevolezza, s'inizia col parlare la lingua cogli stessi fonemi dell'inventario del dialetto, ma si procede ben oltre come ho tentato di mostrare.

    Per altro, nei due diversi sistemi linguistici, oltre ai fonemi anche le regole, per così dire, risultano contrastivamente diverse.

    Un solo esempio.

    Anche a chi attualmente non s'avvale più abitualmente del sistema linguistico locale e non ne conosce più moltissimi vocaboli riesce piuttosto facile pronunciare ['kiŋ-u] o, meglio, ['kĩŋ-u] (il circonflesso segnala la nasalizzazione del vocoide) se non, addirittura, nel socioletto più popolare, ['kĩ-u]. L'accezione semantica è quella di scendo, ma l'origine etimologica non può che risultare quella stessa di chino, da chinare: clīnāre, a sua volta, dal verbo greco κλίνω. Anzi, a voler essere corretti, occorrerebbe parlare di italianismo perché cl- etimologico non può dare [k(j)-]. Infatti, da clāmō si ebbe ['ʧammu], non il mai esistito (e impossibile per il sistema linguistico locale) ['kjammu] ***.

    Quanto sopra soltanto per dimostrare il limite estremo del processo.

    Quando ancora le voci italiane venivano assunte nel sistema linguistico locale rispettandone pienamente i vincoli indipendentemente dal fatto che non vi fosse, ovviamente, accordo colle strutture della lingua.

    Infatti, a ['ki:no] venne fatta corrispondere una voce caratterizzata da nasalizzazione, durata vocalica breve anziché lunga, la resa mediante [ŋ] di [n] etimologico e la pausa canonica tra [ŋ] e , attestata anche dal Canepari, nell'ambito di una combinazione, ['-ŋV], peraltro non ammessa in italiano. E senza valutare né aver indicato nella trascrizione il fenomeno linguistico costituito dallo sdoppiamento vocalico né altri aspetti troppo di dettaglio.
  4. In merito a questo punto avevo chiesto una conferma sulla corretta accentazione di, ad esempio, il gatto o un carico, ma non ho riscontrato esempi riferiti nella risposta.
  5. Mi trovo assolutamente d'accordo con tutto quanto lei scrive ed è, infatti, per le motivazioni che lei adduce che, più spesso di quanto abitualmente non si pensi, gli esiti riportati negli atlanti dagli esploratori linguistici, nonostante le loro caratteristiche e le loro competenze, non corrispondono alla realtà oggettiva del sistema linguistico indagato. Nel forum esiste anche un filone in cui viene trattato questo aspetto. Ovviamente, non possiedo personalmente nessuna delle caratteristiche né le competenze di un esploratore, ma la pronuncia da me riferita e sempre da me ascoltata risulta troppo uniforme, diffusa e generalizzata nel relativo contesto geografico nel quale può ancora essere riscontrata perché risulti ragionevole attribuirla a idiosicrasie personali dei parlanti o ad aberrazione acustica del raccoglitore.

    Come secoli fa – quando il 98 (e più) percento dei parlanti era dialettofono e analfabeta e non esisteva affatto (almeno, per loro) il vincolo della grafia – ['ki:no] potè entrare nel sistema linguistico locale soltanto come ['kĩŋ-u], cioè rispettandone le strutture interne (come già evidenziato non può trattarsi di voce di tradizione diretta perché in questo caso si sarebbe avuto il mai attestato ['ʧĩŋ-u]), oggi, proprio perché, in questi casi, l'accentazione non risulta normata esplicitamente dalla grafia (complice il semplicismo culturale e l'automatismo inconsapevole delle reazioni di sostrato, in carenza d'altro), si può ancora avere la generalizzazione, in ambiti geografici specifici, di pronunce quale quella riferita.
Ultima modifica di Ligure in data lun, 10 set 2018 15:48, modificato 1 volta in totale.
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