Inte[r]legere

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Ladim
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Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 14:36

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Che cosa s’intenda per uso intelligente del linguaggio è ancora da chiarirsi, specie in chi veda nella complessità del ‘nostro’ argomento una professione [peraltro, nella parola «professione» scopriamo esemplificato tutto il concetto e l’uso di questo intervento – chi, dico, ricondurrebbe «professione» alla sfera semantica del «sentimento», oggi?!]. Ma tentiamo da qui: l’umiltà del sapiente è stata formulata nel modo che [quasi] tutti ‘sappiamo’ [molti secoli fa – e che non ripeto]; ancora oggi, attraverso l’intelligenza della citazione, possiamo dire moltissimo in poche parole, appetto allo sproloquio senz’altro [al chiasso esterofilo!], allo «snobismo» – aggiungo io – incolto [ecco un chiarimento che mi sentirei di opporre a chi caramente esprime la propria personale opinione: la distaccata superiorità è passibile di letture plurime]. A una condizione, mi pare: che si conosca sempre quanto si dice.

La lingua vive nello stile, nella stratificazione sociale, nella dimensione storica, nella cultura: nella monumentale intertestualità letteraria, ancora nell’emotività e nell’espressività – in ultimo, nella resistenza del mezzo. Sono opportunità pressoché infinite che spiegano, e bene, la comune sorte di pensiero e lingua. Ma chi fa un uso ‘abile’ della parola non sempre è onesto, o meglio: è di frequente sprovvisto di un quadro assiologico accettabile [responsabile, consapevole etc.]. Nelle piazze, ad esempio, aduse al consumo di concetti e parole per scopi non trasparenti, forse si spiega oggi che cosa celi il detto accademico «L’attuale re di Francia è calvo» per illustrare alcuni meccanismi linguistici su cui tutti noi vorremmo lanciare le nostre scomuniche – l’‘inganno’ è svelato per difenderci da esso o per imparare a riprodurlo consapevolmente [così tramutiamo i lupi in agnellini e gli agnellini in lupi!]?

Chi pensa sia solo un gioco – tutto questo – incontrerà un’intera folla [etimologicamente «ignorante»] pronta a dargli ragione.

Saltando qua e là [come ho già fatto]: come giudicare la severità di Canepari sulla «giusta» pronuncia, e le sue premesse che guardano a un uditorio scettico, inconsapevole? Ricordo male o in certe sue espressioni vi è quel piglio di chi, umoristicamente, pensa al nemo propheta in patria?

Chiudo ricordando [ancora] la più sana funzione del concetto di arbitrarietà: se nulla è determinato da nulla (e lascio fuori, e cioè do per scontata la convenzione condivisa e, questa sì, storicamente determinata), le responsabilità delle scelte, quindi le scelte stesse, sono solo nostre – e penso al frequentatore di questo forum, passato e ‘attuale’, prossimo e futuro (e soltanto a lui, disgraziatamente).
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