Aiuto: a chi appartengono questi versi?

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Luca86
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Intervento di Luca86 »

Marco1971 ha scritto:Mai sentito nominare questo poeta. :? Non dev’essere di grande momento nella storia della letteratura (e a giudicare da questi versi, non aveva molte doti poetiche :D).
Riporto quanto dice la Storia generale della
letteratura italiana
(a cura di Nino Borsellino e Walter Pedullà, Milano, Motta-L'Espresso, 2004, L’ottava delle meraviglie. Sviluppi della poesia cavalleresca di Paolo Procaccioli, vol. V, pp. 189-90 e 194):

Ma fu soprattutto ai 45 canti del Mambriano, composto sul finire del Quattrocento e edito postumo nel 1509, del ferrarese Francesco Cieco, un affabulatore instancabile e avveduto, padrone della tradizione e del mestiere, che si guardò per allora con maggiore simpatia (13 le edizioni finora note della prima metà del Cinquecento). Non raffinato ed elegante come invece il Furioso, e privo anche della passione dell'Innamorato e della forza espressiva del Morgante, il Mambriano era comunque un poema fresco e vivace, condotto, specialmente nella prima parte, con mano sicura, in grado di sollecitare le varie anime del suo composito uditorio.
La vicenda narrata è complessa; semplificando, si può dire che nella prima parte (canti I-XXVI) le azioni ruotano intorno alla spedizione in terra di Francia del re moro Mambriano, intenzionato a uccidere Rinaldo per vendicare lo zio Mambrino; negli altri canti, dopo che Mambriano, sconfitto, è divenuto amico di Rinaldo, dominano invece le figure di Orlando e Astolfo e, con Malagigi, si verificano efficaci incursioni del sovrannaturale e del burlesco. Il Cieco non sdegna la mistione di elementi magico-orrorosi e ridicoli, con effetti riduttivi che in qualche modo sembrano anticipare le parodie folenghiane (canto XXXVI). Tutto burlesco il finale, con il finto combattimento di Rinaldo e Calcabrino orchestrato da Malagigi.
La lingua è varia, con latinismi, voci gergali, dialettalismi, francesismi; la metrica è spesso a effetto, con l'ormai tradizionale ricorso alle rime sdrucciole o tronche; l'ottava sa essere mossa, con un uso non insistito dell'enjambement; la sintassi è scorrevole e piana, con tutti gli automatismi propri del genere (le coppie di aggettivi; gli appelli al lettore; lo stereotipo “lancia / Francia” in rima), che però, usati con discrezione ammiccante, caratterizzano ironicamente il dettato senza appesantirlo, ma con in piú una memoria classica (Virgilio, Stazio, Ovidio) e volgare (Dante, Petrarca) non peregrina. Gli episodi si succedono con grande rapidità, e anzi l'autore teorizza una poetica delle “poche parole” e delle “cose inusitate e nove” (IV, 1, 5 e X, 2, 8). I personaggi hanno le caratterizzazioni consuete, che il poeta accentua e ripropone: Astolfo, “inimico del tacere” (IV, 94, 4), “ha la lingua pronta e 'l cervel lieve” (XXXV, 39, 8) ed è sempre pronto ai motti salaci e alle vanterie; Mambriano, il pagano malvagio, “non cura esser percosso / d'infamia, pur che resti vincitore” (VI, 96, 3-4); Bradamante “avea il riposo a sdegno” (IX, 44, 5); Orlando è facile all'ira, instancabile nel combattere e animato da uno straordinario anelito missionario che è anzi vero e proprio “offizio apostolico” (XI, 12, 3). Tra i temi che il Cieco tratta con particolare cura, si vedano le sei fortunate novelle inserite nel testo, il comico (di ascendenza pulciana) e l'erotico; e quest'ultimo riconduce a una legge generale: “qualunque cosa ha in sé bellezza, / naturalmente ogni uom la desia” (IV, 97, 3-4). L'ironia è costante; la si coglie nel riferimento divertito alle fonti antiche, nel gusto del paradosso e nell'iperbole, nel grottesco. [...]
[...]
Parlare, per il Mambriano, di sapienza compositiva sarebbe fuori luogo; pure vanno riconosciute la piacevolezza del dettato (opera “gioconda” secondo Folengo)* e la funzionalità della costruzione di questo romanzo d'azione che si conferma indispensabile premessa al Furioso, e che anzi Ariosto di certo gustò e che per piú di un episodio e di un personaggio non sdegnò di prendere a modello.**

_____________________________________
* Orlandino, I, 19, 5.
** Si veda R. Alhaique Pettinelli, Tra il Boiardo e l'Ariosto: il Cieco da Ferrara e Niccolò degli Agostini, (1975), in Ead., L'immaginario cavalleresco nel Rinascimento ferrarese, Roma, 1983, pp. 152-230.
Ultima modifica di Luca86 in data ven, 21 ott 2011 3:32, modificato 1 volta in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Io non ho letto quest’opera; il mio personale e motivato giudizio si fonda soltanto sulla citazione da lei riportata. Si tratta comunque d’un poeta minore.

Penso che la digressione possa esaurirsi qui. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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