Aiuto: a chi appartengono questi versi?

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Moderatore: Cruscanti

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Luca86
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Aiuto: a chi appartengono questi versi?

Intervento di Luca86 »

Sono due-tre giorni che mi ronzano in testa questi versi, che potrei ricordar male (nel qual caso, abbiate pazienza):

...mentre s'apparecchia(va) a vendicar l'ingiuria...
...muta(va)/trasforma(va) quelle lagrime in furia...


Ho provato a cercarli nella BibIt, ma la ricerca non ha prodotto risultati. Amici di Cruscàte, chiedo il vostro aiuto.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Con a vendicar l’ingiuria, la BIZ[a] dà questo solo risultato, dell’Ariosto (Orlando Furioso, canto 26, vv. 120 e sgg.):

Tosto che ’l buon Ruggiero in sé ritorna,
e che Vivian la spada gli appresenta,
a vendicar l’ingiuria non soggiorna,
e verso il re d’Algier ratto s’aventa,
come il leon che tolto su le corna
dal bue sia stato, e che ’l dolor non senta:
sì sdegno et ira et impeto l’affretta,
stimula e sferza a far la sua vendetta.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Luca86
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Intervento di Luca86 »

Grazie della risposta, Marco. Purtroppo non sono questi i versi che ricordo io: sono quasi sicuro che ingiuria facesse rima con furia.
Ultima modifica di Luca86 in data mer, 19 ott 2011 4:42, modificato 2 volte in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

È sicuro che non si tratti di un testo popolare o di una canzone che magari prenda spunto da un testo letterario? Sa, le citazioni errate nel mondo della canzone sono legione, e quindi forse forse... Lo dico perché la BIZ[a] contiene tutti i classici e ora fino a Oriani e Deledda. E nessun risultato...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Luca86
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Intervento di Luca86 »

Mah, non saprei... Eppure ricordo di averli letti...
Ultima modifica di Luca86 in data mer, 19 ott 2011 4:44, modificato 2 volte in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Se fosse un classico, ci sarebbe. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Luca86
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Intervento di Luca86 »

Alla fine, grazie a Google Libri, li ho trovati i versi che cercavo. Riporto l'intera ottava:

Con quel sol colpo il trasse di sé stesso
Talmente che per morto in terra cade.
Bradamante mirando il danno espresso
Del suo cugin e la calamitade
Ne la qual il gigante l'avea messo,
Lagrimò sotto l'elmo per pietade;
Ma volte quelle lagrime in furia,
S'apparecchiò per vendicar l'ingiuria.
(Francesco Cieco da Ferrara, Il Mambriano, VIII.46)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Mai sentito nominare questo poeta. :? Non dev’essere di grande momento nella storia della letteratura (e a giudicare da questi versi, non aveva molte doti poetiche :D).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Dario Brancato
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Intervento di Dario Brancato »

Marco1971 ha scritto:Mai sentito nominare questo poeta. :? Non dev’essere di grande momento nella storia della letteratura (e a giudicare da questi versi, non aveva molte doti poetiche :D).
Probabilmente oggi non è fra i poeti più conosciuti (se si escludono gli studi di A. Stussi e J. Everson); eppure nel Cinquecento il Cieco di Ferrara veniva annoverato fra i principali autori di poemi cavallereschi. Ma non voglio sconfinare nella teoria della letteratura e tediarvi con la storia dei canoni in costante evoluzione.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Nella sua ottima Storia della letteratura italiana in quattro volumi, Giulio Ferroni fa menzione di questo poeta in una sola frase:

Altri autori conciliarono invece il modello del Boiardo con quello dei cantari: cosí Francesco Bello, detto il Cieco da Ferrara, autore del Mambriano, composto intorno al 1490 e stampato nel 1509. Ma nella prima metà del secolo XVI si scrissero numerosi altri romanzi in versi e poemetti, di scarso valore, che narravano episodi delle guerre contemporanee servendosi del linguaggio della letteratura cavalleresca.

Dubito quindi della sua importanza e dell’originalità della sua lingua e stile (certo non brillante, in questo breve passo, secondo qualsiasi canone. :))
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Dario Brancato ha scritto:Ma non voglio sconfinare nella teoria della letteratura e tediarvi con la storia dei canoni in costante evoluzione.
Beh, se aprisse un filone a parte, avrebbe invece la mia completa attenzione. :D

Forse però quest'argomento, benché per me assai interessante, esulerebbe dal tema del fòro…
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Intervento di edoram »

Marco1971 ha scritto:Mai sentito nominare questo poeta. :? Non dev’essere di grande momento nella storia della letteratura (e a giudicare da questi versi, non aveva molte doti poetiche :D).
Gentile Marco, mi ha molto incuriosito questo suo intervento. Esiste davvero un metro così immediato per giudicare le doti di un poeta? Le sue parole non sembrano lasciare spazio alla soggettività ed è proprio questa sua certezza ad incuriosirmi. Ho riletto più volte quei versi, ma non ne vengo a capo; ci deve per forza essere qualcosa che mi sfugge.
Mi ha sempre affascinato sentire un esperto giudicare l'arte che conosce e mi farebbe un grosso regalo se potesse essere più preciso. ;)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ci sono criteri oggettivi per valutare un’opera d’arte. Analizzando il ritmo, le scelte lessicali, la distribuzione delle vocali sotto accento ritmico, la sintassi stessa, le allitterazioni (quasi sempre in L), che non rispondono al contenuto (le allitterazioni dovrebbero servire a sottolineare e suggerire quanto descritto), e tante altre cose, ci si accorge della povertà evocativa, e della convenzionalità d’una lingua imbalsamata, all’epoca vincolata certo a determinati stereotipi, ma qui imprigionata nel suo inanimato irrigidimento.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di edoram »

Ecco appunto, mi pareva che mi fosse sfuggito qualcosa ;)
Grazie Marco.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Di nulla! :) Si potrebbe aggiungere anche che l’inarcatura Bradamante mirando il danno espresso Del suo cugin e la calamitade non ha alcuna funzione espressiva (e anche l’inarcatura deve, nella grande poesia, rispondere a una necessità).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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