Elenco delle regole fantasma

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Moderatore: Cruscanti

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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

PersOnLine ha scritto:Ho l'impressione che spesso il confine tra «opinione» e «convinzione» sia (o è?) talmente sfumato che è davvero difficile usare tale differenza come guida: nel dubbio trovo il congiuntivo sempre preferibile e più elegante.
Con ho l’impressione che si deve usare sempre il congiuntivo.
PersOnLine ha scritto:Io credo che allora invece un poco mi amassi

In questa frase, invece, sentirei meglio l'imperfetto, ma forse è (questa è è opportuna?) perché è fuori contesto.
Non c’è bisogno di questo è, che rende la frase pesante.

È naturalmente buona norma usare il congiuntivo con tutto quel che riguarda opinioni. Qui stiamo esaminando casi limite. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:Io direi che in questa frase la «chiave» è proprio fare finta di avere quella convinzione, cioè mostrarla come realtà; senza, avremmo regolarmente Dobbiamo credere che sia stata rapita.
Sí, Marco, credo che tu abbia (:mrgreen:) còlto la vera «chiave di lettura» della questione.

Non è tanto la «convinzione», mi pare, quanto la fattualità a rendere possibile, se non preferibile, l’indicativo: ecco perché, in dipendenza da credere, questo modo sembra comparire di preferenza nei tempi passati.

La stessa «professione di fede» diviene cosí un sottocaso, essendo l’esistenza di Dio un fatto per il credente.
Fausto Raso
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Intervento di Fausto Raso »

All'elenco delle regole fantasma aggiungerei: Dopo il punto interrogativo o quello esclamativo è d'obbligo l'iniziale maiuscola.

Se n'è parlato qui.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Tutto molto chiaro. Vi ringrazio delle risposte. M'è affiorato in mente, però, un altro dubbio, che vi espongo qui sotto, affine a quello di PersOnLine.
Infarinato ha scritto:Non è tanto la «convinzione», mi pare, quanto la fattualità a rendere possibile, se non preferibile, l’indicativo: ecco perché, in dipendenza da credere, questo modo sembra comparire di preferenza nei tempi passati.
Mi chiedo se ci sia un modo per stabilire oggettivamente la fattualità di un enunciato. Un criterio è quello da lei suggerito: laddove nella subordinata retta da credere ci sia un tempo passato, che denota un'azione, un evento o uno stato conchiuso, non piú in fieri (perciò piú «fattuale»), potrebbe essere impiegato il modo indicativo (a patto che credere esprima una convinzione piú che una valutazione personale, mi sembra di capire).

Se invece siamo di fronte a un tempo presente, pare aprirsi uno spazio di maggiore arbitrarietà, in cui il parlante può giustificare a posteriori il suo uso dell'indicativo. Ricordo, ad esempio, che in una pubblicità di qualche anno fa la voce fuori campo diceva: «noi di Vattelapesca crediamo che i cani sono belli fuori quando sono belli anche dentro». Gli autori dell'annuncio si giustificarono del presunto errore dicendo che la ditta Vattelapesca aveva la ferma convinzione che il corretto funzionamento degli organi interni dell'animale si nota anche all'aspetto.

La scelta dell'indicativo sarebbe dunque stata ponderata dai pubblicitari e non potrebbe essere criticata, giacché il confine fra convinzione (soggettiva) e opinione è sottile e sfugge all'analisi dell'interlocutore. Insomma, non si potrebbe mai criticare l'uso dell'indicativo al posto del congiuntivo in dipendenza da credere, perché potrebbe intervenire l'interpretazione ad hoc del parlante; e questo anche al passato (es. «credo che sia stata una bella partita» / «credo che è stata una bella partita»). Al contrario, l'uso improprio del congiuntivo potrebbe essere additato con relativa facilità, come nel caso d'una professione di fede.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Mi chiedo se ci sia un modo per stabilire oggettivamente la fattualità di un enunciato. Un criterio è quello da lei suggerito: laddove nella subordinata retta da credere ci sia un tempo passato, che denota un'azione, un evento o uno stato conchiuso, non piú in fieri (perciò piú «fattuale»), potrebbe essere impiegato il modo indicativo (a patto che credere esprima una convinzione piú che una valutazione personale, mi sembra di capire).
…E soprattutto a patto che l’evento in questione si sia effettivamente verificato. Ad esempio, io trovo accettabilissimo il primo esempio [di Bocca?] («Non crede che Colombo scoprí l’America» —anzi, qui il congiuntivo passato striderebbe), ma non il secondo («Ma credo che il movente vero fu un altro»).

Parimenti, trovo accettabili, ma marginali (e quindi non raccomandabili in un contesto formale), l’esempio citato di Salvalaggio, il primo di Mannuzzu e quello di Marabini.
Ferdinand Bardamu ha scritto:Se invece siamo di fronte a un tempo presente, pare aprirsi uno spazio di maggiore arbitrarietà, in cui il parlante può giustificare a posteriori il suo uso dell'indicativo.
Sono d’accordo: col presente è pienamente accettabile solo la professione di fede. Raccomanderei molta cautela in ogni altro caso.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Possiamo forse circoscrivere i casi in cui l’indicativo in dipendenza da credere è possibile:
  1. Nel caso raro e limitato della professione di fede: Credo che Dio è.
  2. Per esprimere la posteriorità: Credo che verrà ≠ Credo che venga.
  3. Nei casi in cui si nega che un fatto si è verificato, per esempio eventi storici: Non crede che Cristoforo Colombo scoprí l’America.
  4. Obbligatoriamente dopo l’imperativo (e espressioni consimili): Creda che sono davvero mortificato.
  5. Con dare a credere, far credere (e sinonimi): Vuole farmi credere che non è cosí.
  6. Per esprimere la compiutezza di un’azione passata al passato remoto: Credo che dormii due ore = Credo di aver dormito due ore ≠ *Credo che dormissi due ore (il congiuntivo imperfetto non può esprimere la compiutezza).
Esistono forse altri casi, e se me li segnalerete, li aggiungerò. Sottolineo che qui si considera l’italiano normale non colloquiale.
Ultima modifica di Marco1971 in data ven, 16 mar 2012 20:44, modificato 1 volta in totale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Propongo un’esemplificazione letteraria (omettendo il punto uno).

Dell’andare a Roma, credo che Dio per sua grazia vi ci manderà, perocché veggo la volontà di Frate Tomaso inchinata a ciò. (Caterina da Siena, Lettere) (2.)

\FER.\ Come! È forse impazzito? \BEL.\ Dice, in una parola,
Non voler la ragazza conoscer per figliuola.
Che non sa, che non crede che in questa casa è nata,
E accusa donna Placida di femmina sfacciata.
(Goldoni, Il padre per amore) (3.)

Ma creda che sono rimasto atterrato da questo scoppio inatteso che ha costernato tutta la città. (Pirandello, Il dovere del medico) (4.)

Al primo offerente si doveva dare a credere che si stava ad ascoltare la sua offerta per sola curiosità. (Svevo, Una vita) (5.)

Tuttavia perché mai sí grande sonno
mi venne sopra il cuore ismemorato?
Io credo che dormii settecent’anni.
(D’Annunzio, La figlia di Iorio) (6.)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Carnby
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Re: Elenco delle regole fantasma

Intervento di Carnby »

Marco1971 ha scritto:Non si può avere l’apostrofo in fin di rigo nell’andare a capo.
Guardate che bella cosa che ho trovato in un'edizione del racconto «Bastardo» di Jack London:

Immagine
Bastava dividere dal/l'husky se non si voleva l'apostrofo in fin di rigo, peraltro legittimo.
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Quindi è un'altra regola fantasma?
Quella che non si può andare a capo con l'apostrofo, e quindi si deve scrivere una
a capo: amica

oppure lo
a capo: albero

A scuola insegnano cosí...
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sí, è la numero 11 nella lista.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ho aggiunto un’altra regola fantasma, quella secondo la quale si deve dire prima e non piú presto, che pure da sempre è nella nostra lingua. Ho scelto questi tre esempi (fra i 1221).

L’altro giorno a presso mi fu portato un cartello di disfida per combattere seco, il quale io accettai molto lietamente, dicendo che questa mi pareva impresa da spedirla molto piú presto che quelle di quella altra arte mia... (Cellini, Vita)

...perché una certa persecuzione contro ai libri fortemente e luminosamente veraci, costituisce per lo piú la base della loro prima fama; e quindi maggiormente e piú presto propagandogli, assai piú utili in minor tempo li può rendere. (Alfieri, Del principe e delle lettere)

Ma in questo mezzo io vorrei che tu da buona sorella, m’aiutassi a ottenere il contrario piú facilmente e piú presto che non ho fatto finora. (Leopardi, Dialogo della Moda e della Morte)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Marco1971 ha scritto:Sí, è la numero 11 nella lista.
Chiedo scusa! :oops:
Avevo letto le ultime pagine del filone, ma non la prima.
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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Sandro1991
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Intervento di Sandro1991 »

A me è stato insegnato che si deve dire composto di [due parti] e non composto da [due parti]. Non so a voi; in tal caso, s’inserisca pure nella lista:
Devoto−Oli ha scritto: agg. Costituito, formato (con le prep. di, da): un appartamento c. di (o da) sette vani; una commissione c. di (o da) cinque membri.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

E in questo caso le hanno insegnato bene. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Fausto Raso
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Intervento di Fausto Raso »

All'elenco delle regole fantasma aggiungerei quella che vieta di accentare il su.
Si può accentare, invece, quando non è in veste di preposizione ma in quella avverbiale: vieni (avverbio di luogo);
poggia il libro su (preposizione) quel tavolo.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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