«L'italiano è bello, così ci difendiamo dall'inglese»

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Moderatore: Cruscanti

Andrea Russo
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«L'italiano è bello, così ci difendiamo dall'inglese»

Intervento di Andrea Russo »

Vi segnalo quest'articolo tratto dal «Corriere della sera» circa un libro di Massimo Birattari:

«L'italiano è bello,
così ci difendiamo dall'inglese»


Non è che l'articolo dica molto, e non so quanto il libro sia valido dato che non l'ho letto, ma almeno cerca di difendere la lingua italiana (e speriamo che lo faccia davvero!). :D
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Giulia Borghese ha scritto:E si definisce anche ghost writer e copywriter, e lo fa – nel risvolto di copertina – senza usare le virgolette e neppure il corsivo, quasi che quelle parole inglesi siano ormai del tutto italiane.
Non ci siamo proprio: «del tutto italiane»? Ma per piacere!
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

A dire il vero, la considerazione della giornalista mi sembra esprima perplessità verso quest’abuso di anglicismi («quasi che…»). (Alla fine, poi, muove una critica bella e buona all’autore.) Siamo sicuri però che il risvolto di copertina sia stato scritto dall’autore e non sia invece il frutto beffardo del lavoro di un redattore?
Giulia Borgese ha scritto:Esempi presi dai nostri più grandi: Galileo, tanto per cominciare, e poi Gadda, Meneghello, Campanile, Svevo, Montale, Ungaretti, Gianni Brera, Bianciardi, Tognazzi e Vianello, Primo Levi, Leopardi, Montanelli naturalmente...
Trovate gli intrusi. :lol:
Andrea Russo
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Intervento di Andrea Russo »

Carnby ha scritto:
Giulia Borghese ha scritto:E si definisce anche ghost writer e copywriter, e lo fa – nel risvolto di copertina – senza usare le virgolette e neppure il corsivo, quasi che quelle parole inglesi siano ormai del tutto italiane.
Non ci siamo proprio: «del tutto italiane»? Ma per piacere!
Secondo me è una provocazione, almeno cosí l'ho inteso io (piú che altro lo spero!)... Probabilmente l'autore ne parla nel libro, mostrando già dalla copertina quanto può stonare un anglismo buttato lí senza motivo.
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Modna
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Intervento di Modna »

Di Birattari ho acquistato il libro "Italiano. Corso di sopravvivenza", che si propone di fornire "suggerimenti" di scrittura.
Riguardo all'uso dei forestierismi la posizione dello scrittore si potrebbe definire come "moderata/italofila debole", anche se anglofili "radicali" potrebbero comunque trovare da ridire. Riporto alcuni minimi stralci tratti dal Cap.7 "Parole straniere", par.5 "L'uso delle parole straniere":
Massimo Birattari, in «Italiano. Corso di sopravvivenza», 2010 ha scritto:Sull'uso delle parole straniere in italiano non trovo di meglio che rimandare, con un colpo al cerchio e uno alla botte, al sano buon senso. È ridicolo italianizzare a tutti i costi, o tradurre l'intraducibile; però è altrettanto grottesco riempire di inutili parole straniere un testo italiano.
[...]Ecco un uso grottesco delle parole straniere: al posto di una parola italiana immediatamente comprensibile ne viene impiegata una in inglese che, per molti lettori, resta oscura perfino quando viene usata nel suo ambito naturale [...].
Nel suo esempio l'autore si riferisce a broker, che non viene tradotto come mediatore. Non riporto di più per ragioni di tempo e di Diritto d'autore, ma sottolineo che Birattari non affronta, in seguito, quale siano le linee di demarcazione tra il traducibile e l'intraducibile e il ridicolo e il non ridicolo.

Personalmente credo che in questi casi non si consideri a dovere il fattore psicologico: per la maggioranza dei termini, il cosiddetto "ridicolo" citato è un fattore dovuto all'assenza di abitudine per un termine nuovo e all'autorevolezza della fonte che lo usa; riguardo alle parole inglesi, il senso del ridicolo viene inibito dalla mancata conoscenza della lingua da parte di molti italiani, che non li porta a giudicare criticamente il contesto in cui il termine viene inserito in italiano (almeno la metà delle volte errato o limitato), e da complessi di inferiorità, mentre le parole italiane vengono pregiudizialmente tacciate di traduzione ignorante e di basso potenziale espressivo, a fronte del potere assoluto della monoreferenzialità del prestito.
Allora, risponderei io, chiamiamo ogni concetto nuovo con il suo nome straniero? Così raggiungeremo la monoreferenzialità perfetta, in cui non saranno possibili fraintendimenti: il "solo" prezzo sarà la distruzione dell'italiano, che ad alcuni probabilmente pare economico e desiderabile.
Massimo Birattari
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Rispondo alla chiamata in causa

Intervento di Massimo Birattari »

Sono l'autore del libro di cui si parla, e provo a far valere le mie ragioni (o a discolparmi), a partire dalla questione dell'inglese.

Il titolo della recensione è fuorviante. I miei libri toccano solo marginalmente il problema dei forestierismi. Il primo (Italiano. Corso di sopravvivenza) è una grammatica pratica, e ha lo scopo di aiutare a risolvere i dubbi dell'italiano. Questo è un manuale di scrittura. Nel primo, il breve capitolo sulle parole straniere era più dedicato ai dubbi sulla grafia, i plurali ecc. che all'uso dei termini stranieri in italiano. In È più facile scrivere bene che scrivere male sono tornato proprio su quel tema, ma solo in appendice (intitolata "L'italiese"). All'inizio di questa appendice, dico che siccome non sono un linguista (lavoro nell'editoria da più di 25 anni, e dunque ho semplicemente una certa esperienza di italiano scritto e pubblicato) non ho l'obbligo (anzi non ho il permesso) di prendere posizione sulla difesa dell'italiano assediato dalle truppe corazzate dell'inglese. Mi limito ad affrontare alcuni problemi pratici (per esempio: qual è il verbo dello scanner?) e a illustrare, in maniera del tutto aneddotica, una serie di usi e abusi.
Tutto qua. Non ho gli strumenti teorici per definire le «linee di demarcazione tra il traducibile e l'intraducibile e il ridicolo e il non ridicolo». Mi limito a trovare ridicolo (non mi vengono altre parole) sia l'uso di broker nella frase su Boris Eltsin come «leader di un paese che è riuscito a imporsi come broker onesto per la ricerca di soluzioni diplomatiche» sia il purismo novecentesco di chi sosteneva che giocare era un francesismo da evitare (bisognava preferire baloccarsi). Dunque può darsi benissimo che la mia posizione possa essere definita "italofila debole" (ma leggete il mio libro e l'appendice per controllare se la definizione è calzante).

E adesso veniamo al ghost writer e al copywriter. Certo, l'autore non è responsabile dei testi di copertina. Ma quelle righe le ho scritte io. Ghost writer e copywriter non sono parole italiane, ma non le scriverei mai tra virgolette o in corsivo, come non si scrivono tra virgolette o in corsivo sport o film. Sono termini tecnici, che indicano cose precise. Per ghost writer l'unico sinonimo sarebbe "negro" (un francesismo, tra l'altro), che oltre a presentare altre controindicazioni forse non indica nemmeno la stessa cosa (un negro è l'aiutante di uno scrittore; il ghost writer è soprattutto chi scrive libri firmati da chi di solito fa tutt'altro). Per copywriter avrei dovuto scrivere "redattore di testi pubblicitari"? Mah.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Salve, e benvenuto, gentile Massimo Birattari! :)

Prima di tutto, le faccio i miei complimenti per l’unico dei suoi libri che ho letto, Italiano. Corso di sopravvivenza, che mi sembra molto ben fatto (l’ho anche citato qui a proposito delle subordinate dipendenti da un condizionale :)).

Per quanto riguarda copywriter, il GRADIT (Grande Dizionario Italiano dell’Uso) dà come sinonimo redattore pubblicitario e per ghost writer i sinonimi dati sono negro e scrittore fantasma. Sottolineo che il GRADIT si fonda unicamente sull’uso e non fa proposte di sostituzione.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Massimo Birattari
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Intervento di Massimo Birattari »

Prima di tutto ringrazio Marco per i complimenti. Poi, passando ai sinonimi/definizioni del GRADIT: in un testo discorsivo potrei benissimo usare le parole negro o anche scrittore fantasma per definire quel lavoro (a redattore pubblicitario preferirei forse autore di testi pubblicitari). In una biografia di tre righe pubblicata sulla bandella di un libro, scrittore fantasma sarebbe una bizzarria, quasi come scrivere topo per indicare il mouse (qui parlo non da autore, ma da redattore consapevole delle convenzioni editoriali).

Insomma, io autore-redattore, al momento di scrivere quelle righe, avevo di fronte due possibilità: o dare l'informazione che ho fatto (anche) il ghost writer e faccio (anche) il copywriter pubblicitario, usando parole inglesi; o non dare quell'informazione per non usare delle parole inglesi.
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Ferdinand Bardamu
Moderatore
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Le do anch'io il benvenuto e la ringrazio per essere intervenuto e aver chiarito la sua posizione.
Massimo Birattari ha scritto:in un testo discorsivo potrei benissimo usare le parole negro o anche scrittore fantasma per definire quel lavoro (a redattore pubblicitario preferirei forse autore di testi pubblicitari). In una biografia di tre righe pubblicata sulla bandella di un libro, scrittore fantasma sarebbe una bizzarria, quasi come scrivere topo per indicare il mouse (qui parlo non da autore, ma da redattore consapevole delle convenzioni editoriali).
Lei esprime una preoccupazione che è anche mia: in quanto giornalista, mi trovo spesso in difficoltà a usare traducenti inusitati di anglicismi ormai entrati nel lessico comune e, perciò, non piú virgolettati o scritti in corsivo. E se il lettore non capisce?

Nel mio intervento sopra ho parlato con troppa facilità. Nel risvolto di copertina di un libro, in cui il paratesto è rivolto a un pubblico il piú ampio possibile, negro per ghost writer non è accettabile, perché l'accezione piú conosciuta è quella riferita a una classificazione «razziale» dispregiativa. Il calco scrittore fantasma potrebbe essere, per me, una soluzione migliore. (Ma va da sé che quest'opinione personale lascia il tempo che trova, e l'infrazione di una convenzione editoriale non è senza conseguenze.)

In quanto a redattore pubblicitario o autore di testi pubblicitari per copywriter, invece, non vedo personalmente nessun problema.
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GianDeiBrughi
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Intervento di GianDeiBrughi »

Da profano troverei "redattore" o "autore di testi pubblicitari" più comprensibile ed intuitivo di "copywriter".
In più, se devo esprimere un giudizio in termini pubblicitari, la parola "copywriter" mi suscita persino una reazione negativa, in quanto mi evoca spiacevoli assonanze con il diritto d'autore "copyright"; sebbene io sappia bene che con quest'ultimo non c'entra granché. :oops:
Anzi, in sincerità prima di aver letto questa discussione non ero a conoscenza né del termine, né del suo significato. :idea:

Per quanto riguarda invece "ghostwriter": secondo me sulla copertina di un libro è accettabile. Riconosco che questa parola mi conferisce più l'idea di ciò che è quel mestiere che non "scrittore fantasma", forse anche grazie a questo. Mentre le storie gotiche che ho letto probabilmente mi fanno associare più intuitivamente all'altra espressione eventuali apparizioni spettrali di qualche famoso scrittore. Sul piano estetico ed armonico ovviamente la penso diversamente, ma riguardo alla comunicatività questo è quanto.

Ribadisco che si tratta assolutamente di giudizi da profano ed esterno al settore.
Avatara utente
Modna
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Iscritto in data: lun, 22 ago 2011 20:09
Località: Modena

Intervento di Modna »

Un salve e un benvenuto anche da parte mia a Massimo Birattari! ;)

Gentile Massimo, spero non abbia frainteso il mio precendente intervento nel filone: la mia definizione come "italofila debole" della posizione da lei assunta nell'opera citata non ha alcuna connotazione negativa; infatti era debitamente preceduta da un "moderata", in riferimento alle posizioni di italofilia e anglofilia estreme. Quel "debole" è proprio in contrapposizione al "forte" che designa -secondo la mia personale tassonomia- le posizioni estreme.
Per quanto mi riguarda, dunque, non c'è nulla di cui lei debba discolparsi, tantomeno per un testo che personalmente apprezzo e uso in alcune sue parti: mi sono limitato a riportare frasi che indicassero, sempre a mio parere, la sua posizione riguardo agli anglicismi, e contribuissero perciò a spiegare la sua scelta dei termini ghost writer e copywriter. :D
Le considerazioni sull'aspetto psicologico legato al ridicolo e al non ridicolo intendono essere un discorso più generale, e non riferito alla sua opera; l'ultima affermazione (riguardo la monoreferenzialità) era idealmente rivolta alle posizioni "anglofile radicali", e non a lei. Non era a lei che rivolgevo le considerazioni sui complessi di inferiorità, dato che non credo che qualcuno che ne soffra potrebbe mai scrivere manuali che propongano suggerimenti di buona scrittura, né avrebbe una posizione come la sua riguardo agli anglicismi.
Rileggendo il mio intervento, però, capisco che abbia potuto intenderlo come un attacco personale e me ne scuso profondamente, perché non era quella l'intenzione: voleva semplicemente essere un apporto utile a spiegare il perché lei si definisca in quel modo.

Riguardo alla definizione delle linee di demarcazione tra ridicolo e non ridicolo, non credo che esistano linee di demarcazione univoche a livello teorico, quanto diverse considerazioni sull'immutabilità delle stesse a livello pratico: traduzioni che oggi possono suonare ridicole perché percepite come artigianali, in bocca a locutori illustri e influenti possono eguagliare, se non superare, il prestigio attribuito ai loro corrispondenti inglesi.
Mi auguro, in ogni caso e a prescindere da divergenze di opinioni, che lei decida di partecipare alle discussioni di Cruscate, poiché credo che l'attività del forum ne guadagnerebbe molto.
Massimo Birattari
Interventi: 5
Iscritto in data: mar, 28 feb 2012 18:21

Intervento di Massimo Birattari »

Scrivo subito per ricambiare i saluti e per chiarire che non ho preso affatto gli interventi precedenti come attacchi personali. Anzi, sono intervenuto solo per mettere le mani avanti e precisare il senso del mio libro e il contesto di alcune mie scelte, oltre che per ripetere che mi considero (e sono) più un pratico che un grammatico.

Aggiungo che la discussione mi ha messo davanti a una domanda che non mi ero posto: e se il lettore a cui è rivolto il libro non sa chi sono e cosa fanno un ghost writer e un copywriter? È una domanda che, almeno per ghost writer, prescinde dall'uso dell'inglese. Ormai avrete capito che sono più attento alla chiarezza, all'efficacia e anche all'eleganza della lingua che alla sua purezza.

Ah, dimenticavo: in effetti mi riconosco abbastanza nella definizione di italofilo moderato...
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
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Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Massimo Birattari ha scritto:Aggiungo che la discussione mi ha messo davanti a una domanda che non mi ero posto: e se il lettore a cui è rivolto il libro non sa chi sono e cosa fanno un ghost writer e un copywriter? È una domanda che, almeno per ghost writer, prescinde dall'uso dell'inglese. Ormai avrete capito che sono più attento alla chiarezza, all'efficacia e anche all'eleganza della lingua che alla sua purezza.
La sua non sarà attenzione alla purezza, ma apprezzo (e, credo di poter dire, apprezziamo) che abbia citato la chiarezza, l'efficacia e l'eleganza. Spesso nella scelta tra un anglicismo e il suo corrispondente italiano c'è una questione di trasparenza comunicativa.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Massimo Birattari ha scritto:Aggiungo che la discussione mi ha messo davanti a una domanda che non mi ero posto: e se il lettore a cui è rivolto il libro non sa chi sono e cosa fanno un ghost writer e un copywriter?
Che si tratti di parole italiane o forestiere, chi non ne conosce il significato se le cerca in un buon dizionario. ;)

P.S. Alla voce fantasma, si legge nel Treccani: scrittore f. (traduz. dell’ingl. ghost writer), scrittore che, rimanendo anonimo, si presta a scrivere per un’altra persona, consentendole di apparire come il vero autore.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Carnby
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Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
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Intervento di Carnby »

Un benvenuto anche da parte mia a Massimo Birattari: spero di non essere sembrato troppo brusco. Qualche volta mi faccio un po' prendere la mano nella mia difesa delle parole italiane. :)
Suggerisco caldamente di usare «scrittore fantasma» o anche «criptoscrittore»/«crittoscrittore» invece di un più coerente, ma ambiguo, «criptografo»/«crittografo» (del resto ghost writer è un termine specialistico e il 90% della popolazione italofona non sa che cosa sia). Eviterei «negro», benché si trovi già su alcuni dizionarî con lo stesso preciso significato, perché è un termine considerato razzista (non proprio come l'inglese nigger, ma quasi); al limite si potrebbe usare «negretto»/«negrotto» con un suffisso vezzeggiativo, ma anche queste proposte non sarebbero immuni da problemi.
Per quanto riguarda copywriter, suggerirei senza dubbio di sostituirlo con un termine italiano: troppo facile la confusione con copyright; tutti i dizionarî che ho consultato lo traducono con «redattore pubblicitario», che forse è un po' lungo; si potrebbe usare un sinonimo come «estensore» ma probabilmente non sarebbe troppo chiaro.
Sulla presunta «bizzarria» di «topo» per mouse, bisogna insistere sul fatto che un traducente per questa periferica esiste in tutte le altre lingue europee.
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