I costumi degl’italiani

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Marco1971
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I costumi degl’italiani

Intervento di Marco1971 »

Proseguendo nella stesura del DiNo e usando l’archivio BIZ[a], mi sono imbattuto in questo passo dello Zibaldone di Leopardi, come sempre, mi pare, di straordinaria attualità. Che ne pensate?

Gl’Italiani hanno piuttosto usanze e abitudini che costumi. Poche usanze e abitudini hanno che si possano dir nazionali, ma queste poche, e l’altre assai più numerose che si possono e debbono dir provinciali e municipali, sono seguite piuttosto per sola assuefazione che per ispirito alcuno o nazionale o provinciale, per forza di natura, perchè il contraffar loro o l’ometterle sia molto pericoloso dal lato dell’opinione pubblica, come è nell’altre nazioni, e perchè quando pur lo fosse, questo pericolo sia molto temuto. Ma questo pericolo realmente non v’è, perchè lo spirito pubblico in Italia è tale, che, salvo il prescritto dalle leggi e ordinanze de’ principi, lascia a ciascuno quasi intera libertà di condursi in tutto il resto come gli aggrada, senza che il pubblico se ne impacci, o impacciandosene sia molto atteso, nè se n’impacci mai in modo da dar molta briga e da far molto considerare il suo piacere o dispiacere, approvazione o disapprovazione. Gli usi e i costumi in Italia si riducono generalmente a questo, che ciascuno segua l’uso e il costume proprio, qual che egli si sia. E gli usi e costumi generali e pubblici, non sono, come ho detto, se non abitudini, e non sono seguiti che per liberissima volontà, determinata quasi unicamente dalla materiale assuefazione, dall’aver sempre fatta quella tal cosa, in quel tal modo, in quel tal tempo, dall’averla veduta fare ai maggiori, dall’essere stata sempre fatta, dal vederla fare agli altri, dal non curarsi o non pensare di fare altrimenti o di non farla (al che basterebbe il volere); e facendola del resto con pienissima indifferenza, senz’attaccarvi importanza alcuna, senza che l’animo nè lo spirito nazionale, o qualunque, vi prenda alcuna parte, considerando per egualmente importante il farla che il tralasciarla o il contraffarla, non tralasciandola e non contraffacendola appunto perchè nulla importa, e per lo più con disprezzo, e sovente, occorrendo con riso e scherno di quel tal uso o costume. (1824)

E tutto questo si riflette nell’atteggiamento nei confronti della lingua...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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.Silvia.
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Intervento di .Silvia. »

Molto interessante... a metà del passaggio mi sentivo quasi lontana dal suo pensiero (parlando di pericolo), ma proseguendo chiarisce bene che il pericolo è soltanto ipotetico :) e (quasi) mai reale. Senz'altro attuale.
A te ricorro; e prego ché mi porghi mano
A trarmi fuor del pelago, onde uscire,
S'io tentassi da me, sarebbe vano.
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