Dei calchi semantici

Spazio di discussione su questioni che non rientrano nelle altre categorie, o che ne coinvolgono piú d’una

Moderatore: Cruscanti

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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Nel caso specifico, io avrei scritto «Facebook non è una moda passeggera» oppure «Facebook è ormai una certezza».
domna charola
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Intervento di domna charola »

Andrea Russo ha scritto:Non mi pare che in italiano se ne faccia un uso cosí abbondante. Non credo che lei stia tutto il giorno a dire: buongiorno signore.
Anche in questo caso, farei delle distinxzioni.
A me viene in mente innanzitutto una serie di produzioni anglosassoni, realtive al mondo anglosassone e magari a romanzi dei secoli scorsi, in cui una certa "cerimoniosità" caratterizza proprio lo stile di un'epoca e dei personaggi. E lì lo tradurrei pari pari, con la medesima ossessiva ricorrenza.
O ad esmpio inquei casi anche americani in cui c'è un sottoposto che si rivolga a un superiore che richieda quel grado (es. nell'ambito militare, o in un convitto-scuola etc.). E anche qui avrebbe senso riprodurlo.

Come sopra, deve essere legato al contesto e avere finalità espressive proprie, non una semplice traduzione passiva.
Andrea Russo
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Intervento di Andrea Russo »

Ma infatti non ho mai detto di non tradurlo. Ho solo fatto notare che in italiano non se ne fa un uso cosí ampio.
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Manutio
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Intervento di Manutio »

Souchou-sama ha scritto:
d’un termine scherzoso si tratta, e come tale va valutato.

Andrea Russo ha scritto:
Si tratta d'un termina ludico, non scientifico.

Questo strizzacervelli sembra aver suscitato un mezzo vespaio. Mi concedo un’ultima breve replica e poi basta. Che non fosse un termine scientifico, ma scherzoso o ludico, me l’ero immaginato. Credo però che gli scherzi felici siano quelli che riescono a dire con leggerezza in due parole (o in una sola, come nel nostro caso), qualcosa di serio e vero. Per me, strizzacervelli resta un’espressione di superficialità. Ma non pretendo che tutti condividano la mia antipatia per l’innocente paroletta…
Piú interessante è la discussione in corso su traduzioni e doppiaggio. Mi sembrano giuste le considerazioni (vedi da ultimo Domna Charola) sull’inopportunità di far parlare dei personaggi stranieri in un italiano troppo idiomatico, ‘troppo italiano’. Vorrei aggiungere l’osservazione (mi scuso se è stata già fatta) che il doppiaggio è un prezioso ‘termometro’ di quella che è la pronuncia italiana sentita oggi dalla maggioranza come normale o standard, o com’è meglio dire. Il confronto col doppiaggio di vecchi film stranieri oggi accessibili facilmente attraverso You Tube o i ripescaggi in televisione, è istruttivo. Sessant’anni fa (o settanta?) era possibile far dire a un personaggio inglese «vengo da Llondra», oggi no.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Manutio ha scritto:Sessant’anni fa (o settanta?) era possibile far dire a un personaggio inglese «vengo da Llondra», oggi no.
Non mi esprimo su /dal'londra/ ~ /da'londra/ ma quando sento /da'roma/ in un contesto più o meno «neutro» penso subito che sia una pronuncia «romana». Non so se prevalga l'assenza del raddoppiamento fonosintattico o la degeminazione di /rr/ tipica della fascia mediana, fatto sta che la mia impressione è quella.
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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Manutio ha scritto:Mi sembrano giuste le considerazioni (vedi da ultimo Domna Charola) sull’inopportunità di far parlare dei personaggi stranieri in un italiano troppo idiomatico, ‘troppo italiano’.
Io farei un'ulteriore distinzione tra l'uso di un italiano idiomatico e quella che, in questi contesti, mi pare venga chiamata "localizzazione" (sarà sicuramente un anglicismo, ma visto che probabilmente loro lo sentono come un latinismo, lasciamo correre...). "Localizzazione" significa, ad esempio, sostituire quei riferimenti che nel paese d'origine sono di immediata comprensione per il pubblico (ma altrove relativamente oscuri) con altri più trasparenti, senza snaturare il "testo" o introdurre elementi vistosamente estranei e improbabili. Ovviamente, i casi reali in cui questo è avvenuto adesso non mi vengono in mente (ma ce ne sono eccome...), quindi ne inventerò uno sul momento. In un film americano dei primi anni '90 un genitore bacchettone rimprovera la figlia per il suo abbigliamento che giudica troppo trasgressivo (ma in realtà piuttosto castigato, almeno per i parametri odierni), e le dice: "Ai miei tempi non saresti uscita di casa conciata così neanche per andare a vedere i Guess Who". Ora, i Guess Who sono stati un gruppo di rocchettari di una certa fama, in America, a cavallo tra gli anni '60 e '70, ma da noi sono quasi materia per specialisti. Il riferimento è quindi chiaro per il pubblico americano, e perfettamente contestualizzato (un genitore che parla dei divi dei suoi tempi), ma da noi sarebbe appena intuibile. Se però a "Guess Who" si sostituisse "Jimi Hendrix", anche gli italiani capirebbero e la battuta non sarebbe snaturata. Capirebbero anche con "Vasco Rossi" (un po' anacronistico, ma è per fare un esempio), però sarebbe una mossa maldestra, che non terrebbe conto del contesto originale. Insomma, la "localizzazione" è un intervento più drastico della traduzione, ma allo stesso modo deve salvare capra e cavoli. Tutto questo per dire che secondo me, in un film tradotto bene, i personaggi dovrebbero parlare un buon italiano, senza indietreggiare di fronte all'espressione idiomatica, ma stando attenti a non varcare quel confine, a tratti sfumato, che separa (o collega?) l'espressione idiomatica dal riferimento puntuale a fatti e situazioni incompatibili con il contesto generale.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Animo Grato ha scritto:Ovviamente, i casi reali in cui questo è avvenuto adesso non mi vengono in mente (ma ce ne sono eccome...)
In un episodio di Twin Peaks, la Cherry Coke, non venduta in Italia, diventò «succo di ciliegia» (ma esiste davvero?).
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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Carnby ha scritto:In un episodio di Twin Peaks, la Cherry Coke, non venduta in Italia, diventò «succo di ciliegia» (ma esiste davvero?).
Ecco, bravo! Non so risponderle ma me ne ha fatto venire in mente uno: nel film del 2010 The social network, quando il suo socio gli dice che è venuto il momento di sfruttare il potenziale commerciale della loro diabolica invenzione (facebook), lo Zuckerberg della finzione gli risponde che non sarebbe più così "fico" se la intasassero di "pubblicità della Pepsi": nell'originale era "pubblicità della Mountain Dew" (un altro beverone, sottoprodotto della stessa Pepsi, diffusissimo là ma sconosciuto qua).
O ancora: in Ritorno al futuro la madre del protagonista, quando lo incontra nel passato, lo chiama Levi perché pensa che si chiami così, avendo visto scritto su tutti i suoi vestiti "Levi Strauss". Nell'originale invece era Calvin (da "Calvin Klein"), ma questa marca all'epoca era troppo poco diffusa da noi.
domna charola
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Intervento di domna charola »

Concordo sulla precisazione di Animo Grato.
Al solito, il traduttore automatico genera mostri... occorre collegare il neurone (o i neuroni, nel caso gli operatori del settore ne posseggano più di uno).
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Un esempio celebre e riuscitissimo di localizzazione è la caratterizzazione dialettale di certi personaggi dei Simpson nella versione italiana. In alcuni casi, ricalca effettive differenze di pronuncia dell’originale (es. il giardiniere Willy che parla con accento scozzese in inglese, sardo in italiano; il mafioso Tony Ciccione parla col solito accento siciliano, ecc.); in altri è solo colore (il commissario Winchester parla in napoletano, ma l’originale chief Wiggum non ha nessuna inflessione; Carl, il collega afroamericano di Homer, ha un improbabile ma azzeccatissimo accento veneziano; Otto l’autista del pulmino ha una cadenza milanese, ecc.). [A proposito della versione italiana dei Simpson, vi consiglio questo interessante saggio.]
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Un altro esempio di adattamento riuscito è il famoso lupo ululà, castello ululí in Frankenstein Junior. Tradurre gli originali were(where/there)wolf, there castle non era un'impresa facile.

Forse non c'entra granché con questo filone, ma ci sono casi in cui la versione italiana d'un dialogo è superiore all'originale: in Voglia di vincere (Teen Wolf) un banale where's the wolf? venne reso con uno spassoso dónde está el lupo?

Lupi e licantropi devono portar bene ai nostri traduttori... :D
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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Jonathan ha scritto:Un altro esempio di adattamento riuscito è il famoso lupo ululà, castello ululí in Frankenstein Junior. Tradurre gli originali were(where/there)wolf, there castle non era un'impresa facile.
Ha ragione, è celeberrimo. Però - apro una breve parentesi - quel film non mi è mai piaciuto, e anche la versione italiana di quella battuta mi è sempre sembrata stupida, non comica, al contrario dell'originale. Come ha detto lei, non era un'impresa facile: infatti è fallita. :wink:
Chiusa parentesi.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Ricordo a questo proposito un vecchio episodio di Beverly Hills 90210 nel quale una protagonista (non ricordo se Jennie Garth o Tori Spelling) citava l'144, famigerato servizio italico di telefonate a pagamento dell'epoca. Chissà come sarà stato nell'originale.
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Zabob
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Intervento di Zabob »

Un'altra interiezione frequente nel doppiaggese (ma anche in libri tradotti dall'inglese) è "andiamo". Es.: «Andiamo, amico, non vorrai farmi credere che non conosci un sito come Cruscate!». :wink:
Immagino sia adoperato come traducente di come on, ma ci vorrebbe un DVD bilingue per averne conferma.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Zabob ha scritto:ci vorrebbe un DVD bilingue per averne conferma.
No, mi creda, non è una conferma necessaria. :D
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