Di «d» eufoniche, uso e adattamenti

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Marco1971
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Di «d» eufoniche, uso e adattamenti

Intervento di Marco1971 »

Apro questo filone per rispondere a Freelancer nel posto che reputo acconcio.
Freelancer ha scritto:Continuo a non capire: se è questione di gusto, mi sa spiegare o no in base a quale criterio cassa la la d eufonica nel caso in oggetto? Stride forse? O che altro? Se invece lo fa solo per applicazione automatica di una regola appresa da un insegnante (vedi sotto) allora mi accontento di questa spiegazione.
Davvero l’ho cassata? Ho solo detto che a me non suona bene. Punto. Nessuna fantomatica regola, se non quella del buon senso e dell’orecchio, che variano da individuo a individuo. È stato lei a ingigantire una mia parentesi.
Freelancer ha scritto:Mi sembra che assomigli a uno di quelle tante regole senza fondamento che venivano (vengono?) insegnate: non si comincia un periodo con il gerundio, non si comincia con una E e così via.
L’ho detto sopra, non si tratta d’una regola.
Freelancer ha scritto:Non bisogna mai essere assolutisti. Migliorini non ha detto che la d eufonica non si deve mai usare, bensì ha suggerito - e concordo con lui - che sarebbe bene usarla solo nell'incontro tra vocali uguali. Ripeto, Migliorini stesso la usa ogni tanto, sembra quindi che non riuscisse a conformarsi sempre alla regola da lui stesso proposta!
Non sono assolutista e conosco bene gli scritti di Bruno Migliorini.
Freelancer ha scritto:Invece la maggior parte dei parlanti è senz'altro un punto di riferimento, quando la maggior parte si identifica con l'uso. Lo diceva - sono sicuro che lei lo sa - lo stesso Manzoni che lei porta a esempio.
La maggior parte, per quanto riguarda l’uso scritto, non s’identifica con l’uso (a meno che lei pensi che le molte persone che scrivono *Se l’avrei saputo, non sarei venuto siano rappresentative dell’uso al quale si riferisce). Manzoni tolse quasi tutte le d eufoniche nella versione definitiva dei Promessi sposi rifacendosi all’uso vivo di Firenze, in cui questo “dieggiare” non esiste, o è ridotto al minimo. Non si riferiva all’uso panitaliano, ma a quello, ben circoscritto, dei parlanti fiorentini dell’epoca.
Freelancer ha scritto:E lo scomparsa dell'adattamento non è una moda, è una tendenza, rilevata e riconosciuta da tutti - o dovrei dire quasi tutti? - gli osservatori della lingua.
Preferendo tendenza a moda, forse lei cerca d’alludere alla credenza secondo la quale le mode sono passeggere e le tendenze immutabili e eterne? Per quanto riguarda gli osservatori della lingua, osservino pure; per me l’osservazione dev’essere il fondamento d’una valutazione critica, e non una semplice costatazione fine a sé stessa.
Freelancer ha scritto:Non confonda la scomparsa dell'adattamento con l'abuso degli anglismi, so che ha questo in mente, certamente tra i due esiste una relazione, ma è di causa ed effetto, di influenza reciproca o di semplice concomitanza? Ecco qualcosa che varrebbe la pena di studiare, anziché lanciarsi in geremiadi sulla povertà linguistica e spirituale dei parlanti.
Non mi pare d’aver confuso le due cose. Sulla seconda, conosce bene il mio punto di vista e non mi ripeterò. Quanto alla «scomparsa» dell’adattamento, parlerei piuttosto di disattivazione o intorpidimento di sane reazioni naturali; basterebbe riattivarle. E in realtà i parlanti lo fanno parlando; il problema risiede nello scritto: nessuno ha il coraggio d’un Pratolini, che scriveva, ad esempio ;), mecce.

E per finire, lascio aperta la questione relativa alla relazione tra la disattivazione del processo assimilativo e l’abuso d’anglicismi. Solo una cosa: nell’Ottocento, quando si abusava di francesismi, i termini erano adattati (to[e]letta, cadò, ecc.); ma allora chi scriveva era perlopiú letterato, con una viva coscienza della lingua. Oggi, perlopiú, chi scrive non ha questa coscienza (e spesso non per colpa propria, ma perché non ha ricevuto questa cultura), e la fretta dei nostri tempi concede poco spazio alla riflessione, specie nel mondo dei mèdia, che tanto influisce su come parla la gente.
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Re: Di «d» eufoniche, uso e adattamenti

Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Apro questo filone per rispondere a Freelancer ...
Confesso di non avere molta voglia di discettare sulla d eufonica, ma per cortesia le rispondo. Anch'io la trovo disfonica in tanti casi, però nel caso di cui parlavamo, ossia a aquilone, non riesco a vedere la disfonia e quindi le ho chiesto perché la volesse eliminare. Desideravo una risposta sul tipo: è meglio evitare razionalizzazione perché è una mitragliata di z (Migliorini docet). Ma lei dice soltanto "per motivi di gusto, di orecchio" ma dice anche "perché mi è stato insegnato che la d eufonica va sempre evitata", ossia la motivazione è puramente meccanica. Insomma non ha saputo o potuto chiarirmi perché nel caso in oggetto sarebbe disfonica.

Riguardo agli adattamenti, dato che lei conosce gli scritti di Bruno Migliorini, sa quello che lui ne diceva. Ne parla qua e là, mi limito a riportare due passi dalla La lingua italiana nel Novecento, scritti quando ancora non si parlava di invasione degli anglismi:
È debolissima, insomma, nella lingua d'oggi la capacità d'assimilazione fonetica; troppo fortemente ha lavorato a sminuirla la predominanza della lingua scritta sulla lingua parlata. Le forme normali per il nostro occhio sono Voltaire e Cavour: chi scrive Voltèr o Cavurre arcaizza o toscaneggia; ugualmente vermut s'è imparato, attraverso la scrittura, a pronunziare con la t finale, e vermutte suona paesano o strapaesano.
[...]
Ma per chifel / chifelle, rum / rumme, gas / gasse, vermut / vermutte, ecc., la lingua è ancor oggi davanti a un dilemma non risolto; essa, pur sentendo il disagio che le recano voci non conformi al ritmo generale della lingua (meglio tollerabili riescono le voci fonosimboliche come crac, picnic, zigzag), non sa decidersi ad accettare le forme toscane, che le sembrano limitate da un punto di vista territoriale, e popolari o addirittura plebee da un punto di vista sociale.
Spero di averle dato qualche spunto di riflessione, ma non ci conto molto.
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:Confesso di non avere molta voglia di discettare sulla d eufonica, ma per cortesia le rispondo.
Ah, io pensavo invece, vista la lungagnata, che proprio di questo volesse discorrere, e non del tema allora in oggetto. La ringrazio della cortesia.
Freelancer ha scritto:Anch'io la trovo disfonica in tanti casi, però nel caso di cui parlavamo, ossia a aquilone, non riesco a vedere la disfonia e quindi le ho chiesto perché la volesse eliminare. Desideravo una risposta sul tipo: è meglio evitare razionalizzazione perché è una mitragliata di z (Migliorini docet). Ma lei dice soltanto "per motivi di gusto, di orecchio" ma dice anche "perché mi è stato insegnato che la d eufonica va sempre evitata", ossia la motivazione è puramente meccanica. Insomma non ha saputo o potuto chiarirmi perché nel caso in oggetto sarebbe disfonica.
No, lei qui distorce le mie parole con una falsa citazione (la seconda). Non ho detto che la d eufonica vada sempre evitata, ho detto (o voluto dire) che io ne faccio a meno il piú delle volte. Nel caso specifico come in molti altri, la disfonia è d’ordine percettivo personale: ad aquilone mi suona semplicemente affettato (anche se cosí non è per lei o per altri, ma io ho espresso un mio parere, da cui, ripeto, lei ha tratto conclusioni piú o meno normative). Per me fluisce meglio tavola a aquilone, senza l’intralcio consonantico e con un legato di callassiana e immemore memoria.
Bruno Migliorini ha scritto:È debolissima, insomma, nella lingua d'oggi la capacità d'assimilazione fonetica; troppo fortemente ha lavorato a sminuirla la predominanza della lingua scritta sulla lingua parlata. Le forme normali per il nostro occhio sono Voltaire e Cavour: chi scrive Voltèr o Cavurre arcaizza o tascaneggia; ugualmente vermut s'è imparato, attraverso la scrittura, a pronunziare con la t finale, e vermutte suona paesano o strapaesano.
[...]
Ma per chifel / chifelle, rum / rumme, gas / gasse, vermut / vermutte, ecc., la lingua è ancor oggi davanti a un dilemma non risolto; essa, pur sentendo il disagio che le recano voci non conformi al ritmo generale della lingua (meglio tollerabili riescono le voci fonosimboliche come crac, picnic, zigzag), non sa decidersi ad accettare le forme toscane, che le sembrano limitate da un punto di vista territoriale, e popolari o addirittura plebee da un punto di vista sociale.
Il mio punto di vista l’ho espresso chiaramente in molti luoghi di questo fòro e anche recentemente in una risposta a un articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, che forse lei non ha letto. Penso che vi si trovino le risposte al passo miglioriniano che lei mi cita come «spunto di riflessione», quasi a insinuare che io non ci abbia mai riflettuto.

Ma, a differenza di lei, che risponde solo a quel che sembra farle comodo ignorando il resto, voglio commentare anche questo brano, evitandole la lettura del mio scritto. I primi due esempi sono nomi propri, e quindi rientrano nelle “mie” eccezioni. Le considerazioni su come la gente percepisce le parole sono senz’altro giuste; si dimentica soltanto che quel che è socialmente inaccettabile in un dato periodo può essere accettabile in un altro (e viceversa), e che questa percezione può cambiare se ci si muove con cautela nella giusta direzione.

J’ai fondé sur l’abîme et l’embrun et la fumée des sables. Je me coucherai dans les citernes et dans les vaisseaux creux,
En tous lieux vains et fades où gît le goût de la grandeur.
(Saint-John Perse, Exil)
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Per me fluisce meglio tavola a aquilone, senza l’intralcio consonantico e con un legato di callassiana e immemore memoria.
Uffa, ce n'è voluto per tirarle fuori una ulteriore spiegazione. Quanto più semplice sarebbe stato se quando le ho chiesto "perché è disfonica?" mi avesse subito risposto così invece di partire per la tangente mettendosi a parlare degli adattamenti.
Marco1971 ha scritto: Il mio punto di vista l’ho espresso chiaramente in molti luoghi di questo fòro e anche recentemente in una risposta a un articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, che forse lei non ha letto.
L'ho letto, però non ho letto la replica di Maria Luisa Altieri Biagi. Quando arriverà?

Comunque sono d'accordo con lei sui tre rimedi da lei proposti.
Marco1971 ha scritto: J’ai fondé sur l’abîme et l’embrun et la fumée des sables. Je me coucherai dans les citernes et dans les vaisseaux creux,
En tous lieux vains et fades où gît le goût de la grandeur.
(Saint-John Perse, Exil)
Ma perché si mette a parlare francese? Me lo traduca per favore. E poi critica chi introduce anglismi nei suoi discorsi!
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:L'ho letto, però non ho letto la replica di Maria Luisa Altieri Biagi. Quando arriverà?
Questo non lo so. Ma se lei sa come contattarla, le invii pure l’articolo.
Freelancer ha scritto:Comunque sono d'accordo con lei sui tre rimedi da lei proposti.
Mi fa piacere trovare un terreno d’intesa. :)
Freelancer ha scritto:Ma perché si mette a parlare francese? Me lo traduca per favore. E poi critica chi introduce anglismi nei suoi discorsi!
La cosa è ben diversa: una citazione è una citazione, non è una lingua ibrida. ;)

Traduzione:

Sull’abisso ho fondato, sugli equorei spruzzi e il fumo delle sabbie. Nelle cisterne mi coricherò e nei cavi vascelli,
In ogni luogo vano e sciapo ove del grande giace il sapore.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:
Freelancer ha scritto:L'ho letto, però non ho letto la replica di Maria Luisa Altieri Biagi. Quando arriverà?
Questo non lo so. Ma se lei sa come contattarla, le invii pure l’articolo.
Non spetta a me. Ma insegna a Firenze, giusto? Penso che il suo amico giornalista conduttore del blog non dovrebbe avere difficoltà a reperirla e a farle avere l'articolo.

Sa che Maria Luisa Altieri Biagi è stata allieva di Giacomo Devoto? Forse si potrebbe anche chiederle cosa ne pensa del terzo sistema fonologico.

:-)
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Intervento di Marco1971 »

Non so se M. L. Altieri Biagi insegni a Firenze. Sarà sicuramente un’adepta del terzo sistema fonologico. Sistema, beninteso, del tutto inaccettabile per l’italiano. Però in effetti sarebbe interessante avere una risposta argomentata da chi lo difende e lo propugna.

Della mia traduzione, invece, nessun cenno? :(
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Della mia traduzione, invece, nessun cenno? :(
Se mi chiede un commento sulla qualità della traduzione, non sono in grado di darglielo. Se mi chiede un commento sull'appropriatezza della citazione, me la deve prima commentare, confesso che credo di non afferrarne tutti i significati che lei forse vuole trasmettere.
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Intervento di Marco1971 »

Me l’immaginavo... lei traduce testi tecnici e la poesia è tutt’altra cosa... Non le chiedevo né l’uno né l’altro. Grazie comunque per la risposta.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Me l’immaginavo... lei traduce testi tecnici e la poesia è tutt’altra cosa... Non le chiedevo né l’uno né l’altro. Grazie comunque per la risposta.
Per tradurre poesia occorre essere poeti. Ecco cosa dice Franco Buffoni in merito:
In questa ottica, la dignità estetica della traduzione appare come il frutto di un incontro poietico tra la poetica del traduttore e la poetica del tradotto; un incontro tra pari destinato a far cadere i tradizionali steccati della "bella infedele" e della "brutta fedele", in quanto mirato a tagliere ogni rigidità all'atto traduttivo, fornendogli una intrinseca dignità autonoma di testo.
[...]
Il sonetto 33 di Shakespeare, ritradotto da Alessandro Serpieri per Rizzoli nella monumentale edizione critica che, nelle intenzioni, doveva fornire al pubblico italiano la stesura esemplare dell'opera, resta assolutamente lontano da qualsivoglia forma di arte poetica

Così il mio sole rifulse una volta di primo mattino
con pieno trionfale splendore sulla mia fronte


se raffrontato alla traduzione di Eugenio Montale

Anch'io sul far del giorno ebbi il mio sole
e il suo trionfo mi brillò sul ciglio


dove effettivamente si realizza l'incontro poietico.
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Intervento di Marco1971 »

Grazie per la citazione. Come saprà, io sono un poeta. :)
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Grazie per la citazione. Come saprà, io sono un poeta. :)
Dato che lei parla francese, conoscerà senz'altro l'espressione de main de mâitre. Se guarda in rete osserverà un certo numero di calchi con mano da maestro. Questo è solo un esempio. Come vede, non solo l'inglese fa sentire il suo effetto sulle strutture dell'italiano.
Ultima modifica di Freelancer in data mer, 13 set 2006 4:30, modificato 1 volta in totale.
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Intervento di Marco1971 »

No, in verità conosco solo de main de maître. ;) E vede com’è facile errare quando non si conosce la lingua che si vuole citare... Cosí accade anche e soprattutto coll’inglese...

Mah, non credo che i calchi alterino le strutture dell’italiano, o ha in mente una definizione particolare di “strutture”?
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:No, in verità conosco solo de main de maître. ;) E vede com’è facile errare quando non si conosce la lingua che si vuole citare... Cosí accade anche e soprattutto coll’inglese...

Mah, non credo che i calchi alterino le strutture dell’italiano, o ha in mente una definizione particolare di “strutture”?
Ho scritto "strutture" in senso generale. Comunque la scelta, sia del termine sia dell'argomento, è infelice. Volevo prendere lo spunto da un articolo letto di recente su Lingua nostra, ma avrei dovuto aprire un altro filone. Lo farò appena trovo il tempo. A presto.
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Intervento di bubu7 »

Ho come l’impressione che questa discussione sulla d eufonica si sia prolungata tanto più che altro per un malinteso, nato dalla poco corretta denominazione del fenomeno.
In questo caso, infatti, di eufonico c’è veramente poco, se noi intendiamo per eufonia quelle modifiche che si adottano nel parlato per evitare l’accostamento di suoni inconsueti per una data lingua.
Questo è quanto accade, ad esempio, nella pròstesi in cui, per eufonia, s’inserisce un suono o una sillaba ad inizio di parola (es. per iscritto).
Nel caso della d cosiddetta eufonica, non avviene nulla di tutto questo. Questa d in realtà è una d etimologica, che risale ad una ‘d’ o a una ‘t’ latine.
Dare quindi una giustificazione eufonica alla sua presenza è veramente difficile.

L’Accademia della Crusca si è occupata a più riprese della questione (La Crusca per voi, n. 7 p. 8, n. 15 p. 10, n. 19 p. 11, n. 21 p. 10, n. 27 p. 4) nelle persone di Giovanni Nencioni e Luca Serianni.
Mi sono riguardato questi interventi e, sostanzialmente, coincidono con quanto espresso dalla Grammatica del Serianni (XIV.13). A quanto detto in quel luogo, si possono solo aggiungere i casi in cui non è lecito usare la d eufonica (i primi due sono anche parzialmente riportati nel Glossario dell’edizione Garzantina della stessa Grammatica [p. 521]):

• non si usa davanti ad h aspirata (es. davanti ai nomi stranieri: Heine, Hitler, Haydn, …) salvo che non si tratti di un prestito straniero ormai assimilato (es. hobby, handicap,…);
• non si usa davanti a una pausa (es. davanti a una virgola);
• non si usa nella preposizione articolata ai, nella forma ad i.

In tutti gli altri casi l’uso è facoltativo e non potrà considerarsi errore.

Rimane il fatto che nell’italiano moderno parlato (e scritto) si tende a limitarne l’uso, perfino nell’incontro tra vocali uguali.

In quanto alla spiegazione richiesta da Crivello per il caso specifico, questa è già stata data da Marco1971.
Quella consonante, infatti, intralcia il fluire della sequenza fonica, costringendo la lingua ad un notevole spostamento tra le due a. Siamo di fronte ad un normale fenomeno di economia linguistica.

Infine, perché questa economia non viene applicata per la pròstesi la quale è in estremo regresso nello scritto (e nel parlato)?
Perché qui l’economia, diciamo così eufonica, è contrastata dall’economia grafica.
Con la diffusione dell’alfabetizzazione sono aumentati di molto coloro che leggono, che vedono la parola scritta. Aumentati in senso diastratico verso il basso. Sono stati coinvolti, cioè, lettori con una cultura meno profonda. Soprattutto per questi era fastidioso vedere forme diverse della stessa parola (es. scritto, iscritto) e quindi la tendenza ad uniformare lo scritto e, in un secondo tempo, a parlare come si vede scritto, ha preso il sopravvento sull’eufonia.
Invece, nel caso della d eufonica, l'economia grafica (completa eliminazione della d) va nella stessa direzione di quella fonica.
Ultima modifica di bubu7 in data mer, 13 set 2006 16:05, modificato 1 volta in totale.
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