Scientificità

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Scilens
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Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Scientificità

Intervento di Scilens »

Essendo ignorante parlo da ignorante.
Dal tempo trascorso su questo fòro traggo il metodo, giudicato 'scientifico', usato per stabilire cosa sia corretto nei diversi registri della lingua italiana. Non dubito del fatto che la mia visione sia parziale, ma provo ad esporre i dubbi.
Il lessico è la componente meglio documentata della Lingua e a questo son deputati i dizionari e vocabolari che non hanno intenti e scopi normativi, servono a sapere che vuol dire una parola.
La pronuncia considerata corretta è quella toscana, depurata dalla gorgia e corretta in senso etimologico, cioè rifacendosi al latino. Se questo rifarsi sia o non sia artificioso lo lascio per ora in sospeso.
Le coniugazioni verbali sono stabili ormai da secoli, almeno nelle linee generali, e non pongono nessun problema.
Le costruzioni della frase invece sono la parte del discorso che più si presta ad interpretazioni, errori e abusi, soprattutto a causa delle traduzioni "a occhio e croce" dai vernacoli e dialetti.
La grammatica "generativa" tratta la lingua come se questa fosse un organismo autonomo e coerente, come se fosse un "funzionamento naturale", alla stessa stregua dell'etologia degli insetti o del movimento dei corpi celesti, e si basa sugli stessi strumenti che vengono usati nelle scienze naturali, il primo dei quali è l'osservazione.
Ora mi fermo un momento e mi chiedo che cosa ci sia di "naturale" nell'Italiano. Non nella lingua umana in generale, ma soltanto nella nostra Lingua, che non ha una genesi confrontabile con le altre lingue romanze.
L'Italiano finisce di nascere del tutto con la codifica cinque-secentesca dell'Accademia della Crusca, istituto volontario fiorentino che si propone di normare la Lingua italiana (che dovrà unificare tutti i dialetti o lingue italiane) fondandola sulla lingua toscana del XIV secolo i cui prototipi vengono individuati in tre scrittori-simbolo che sono Dante, Boccaccio, Petrarca.
Quel che scrivono questi tre resta esemplare per secoli, fino alla seconda triade importante ed estratoscana, composta da Foscolo, Leopardi e Manzoni. La Lingua riceve da questi ultimi tre autori una nuova spinta che contempla ora un lessico rinnovato e un'accresciuta possibilità compositiva ed espressiva. È proprio questa l'epoca in cui si sogna un'unione anche politica dei popoli italiani che arriverà nel 1861. Nel frattempo l'italiano viene usato, bene o male, da scrittori di ogni regione che da una parte eccedono nei toscanismi, dall'altra tendono ad usare costruzioni del discorso tradotte o comunque mutuate dal dialetto. In prosieguo di tempo, a cavallo tra XIX e XX secolo, mentre l'uso dei toscanismi si attenua, la tendenza eccentrica segue al Sud gli esempi ampollosi della burocrazia borbonica e della retorica statale che nel complesso rappresentano un italiano correttto, mentre al Nord, più industrializzato, più svelto e con minori interessi umanistici (perché tutto è volto alla modernità e praticità), le costruzioni tendono ad essere meno auliche e più elastiche. Ma anche meno aderenti alla toscanità.
Verga e D'annunzio sono reazioni a questo stato di fatto.
Chi legge mi scuserà il largo uso della scure che m'è imposto dalla necessità d'essere breve e salto al 'dunque'. In questo fòro impazza Serianni. L'obbedienza-cieca-pronta-e-assoluta a qualunque cosa scriva Serianni mi ricorda più la fede che la decantata "scienza". Una "scienza" che si basa sul numero delle occorrenze d'uso, più o meno antico, non è diversa dall'attività tanto criticata della Crusca, che ammette tutto, anch'essa in base all'uso. Qualunque posizione si prenda, cercando, si troverà sempre qualcuno che ha sbagliato prima, che ha usato in modo improprio una costruzione, una frase senza madre né padre, anche se ha un nome famoso. Critico questo metodo, che non ha di scientifico altro che una parziale statistica malamente usata. Per me i grandi e celebrati scrittori del Novecento sono stati pompati e foraggiati più da forze politiche che da grammatici. Il 'mitico' 68 (che qui in Italia è stato uno strascico, un'eco amplificata, anch'esso a forte matrice politica (anzi soprattutto pseudo-ideologica, più che politica), di una decina d'anni e più, come in ogni moda provinciale e arcaica italiana (per gl'italiani l'essere italiano non è sentito come uno stato culturale proprio da valorizzare, ma rappresenta principalmente la negazione della propria cultura e la necessità di aderire e assorbirne un'altra estranea e diversa) ha teso soprattutto ad una "diversità", una qualsiasi, un'affermazione qualunque di una individualità incompleta che era scelta in modo superficiale e basato su vaghe impressioni emotive. Solo emotive e immaginative. Per esempio rifiutare il passato, rifiutare il fascismo nelle sue linee più superficiali ed evidenti era accettare gli americanismi, poi accettare le costruzioni delle frasi dialettali e trasporle in italiano, e subito dopo, il passo successivo, rifiutare la rigidissima grammatica italiana, caratteristica delle lingue artificiali, in nome di un'espressività "del popolo". Di quel popolo che non si sentiva italiano. Sì, era anche italiano, ma soprattutto Salentino, Irpino, Bresciano, Napoletano, Veneziano o Vicentino, Torinese, Ternano e così via, non parliamo poi dei toscani che già a due chilometri non si possono vedere e parlano in modi diversi. Non c'è e non c'è mai stata un'identità italiana e il Toscano è stato strappato ai toscani, uniformato e snaturato, eppoi imposto agl'italiani in una forma scolastica/formale poi in una forma viva, ma di quella vita del neofita, di colui che l'ha imparato come una lingua straniera.
Di una lingua straniera s'imparano le regole. Della propria lingua non si sanno le regole, si parla e basta.
Ecco questo forum, che cerca di stabilire quali siano le forme corrette di una lingua morta e mai stata viva, una lingua da tavolo che oggi è usata come se fosse viva da un lombardo, da un calabrese, da un romano, da un ligure, un veneto, un siciliano. Ognuno usa le competenze linguistiche proprie e le attribuisce alla lingua comune.
Io sono toscano. Quel che è oggi l'italiano è la mia lingua, la lingua dei miei padri che si trova ad essere stravolta e corrotta. E qui qualcuno invoca la scienza perché ricerca il parlare dei miei antenati e lo mescola, attribuendogli la stessa autorevolezza e dignità, con quello di chi imparò qualcosa (non tutto) del mio dialetto e l'usò per scrivere, qualche secolo addietro.
E questi scritti fanno testo. E quanti sbagli ci sono! E quanti di questi sbagli son giudicati italiano legittimo.
Ma come faccio ad accettare questo genere d'italiano, dopo aver accettato una depurazione dialettale, un'eliminazione della gorgia e d'ogni altro accento regionale come dialettali, volgari, anti italiani, e oggi gli accenti dialettali sono una ricchezza (pare qualcosa di simile alla "biodiversità").
È vero, non vorrei mai l'eliminazione dei dialetti, ma non voglio una commistione dialetti-italiano. Sono una ricchezza se si tengono separati. Eppure radio-TV-internet non possono essere arginati.

Spero che da questa confusione possa essere tratto qualcosa.
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
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