Diritto d'autore sulle parole?

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Animo Grato
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Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11

Diritto d'autore sulle parole?

Intervento di Animo Grato »

Per una volta, non è una cosa di cui siamo noi a doverci vergognare. Però, visto che quest'aberrazione proviene da quella culla di amenità dalla quale siamo fin troppo pronti a importare qualsiasi "moda", non c'è da stare tranquilli. Troverete tutti i dettagli nel collegamento in calce, ma vi anticipo brevemente il punto fondamentale: Taylor Swift (una cantante molto popolare tra gli adolescenti) ha brevettato le parole delle sue canzoni. Per intendersi: non parole di sua invenzione (come potrebbe essere, tanto per dire, un ipotetico "tulipercolo") e nemmeno l'intero testo (già protetto dal diritto d'autore, come accade in tutto il mondo). No. La graziosa Taylor s'è concentrata sul livello intermedio: singole frasi estrapolate dalla canzone. E pare che nessuno abbia obbiettato che spesso si tratta di frasi di uso comune e plurisecolare ("Nice to meet you, where you been?").
Com'è stato possibile arrivare a questo punto? C'è il rischio che di fronte a una casa sventrata io non possa più dire che "questa stanza non ha più pareti"? Può sembrare una questione oziosa, ma a ben guardare non lo è poi tanto.

http://www.repubblica.it/spettacoli/mus ... ef=HRERO-1
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domna charola
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Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Intervento di domna charola »

Bisognerebbe vedere il contratto effettivo per pronunciarsi.
Certo che un conto è il parlare corrente, comune, o la sequenza di sintagmi inserita funzionalmente in un testo (ovvero nella sua sequenza logica, cioè giustificati), e un altro la singola frase estrapolata dal contesto, e stampata su di un supporto.

In questo caso, due sono le possibilità:

- si può avere il singolo oggetto più o meno futile (*gaggetto, per dirla alla moda) che si distingue dagli altri e viene acquistato preferenzialmente solo in virtù del recare scritta proprio quella frase, che gli acquirenti riallacciano all'artista e alla sua opera.
È chiaro che in realtà sul mercato è posta la frase in sé, che come effetto collaterale genera l'acquisto di un prodotto che altrimenti sarebbe rimasto al fianco di tanti altri simili, senza balzare in primo piano.
In questo caso, la sua riproduzione deve essere autorizzata dalla persona alla quale la frase stessa rimanda direttamente, perché è palese che tutto il giro commerciale è indotto da questa persona e dalla sua capacità di divenire per il pubblico un'icona di un qualche valore.

- oppure la frase può essere su di un cartellone, per richiamare l'attenzione su di un oggetto reclamizzato. In questo caso, sarebbe proprio la sua riconoscibilità, e il collegamento mentale che il lettore fa - quasi in automatico - con il suo artista preferito, a spingere all'acquisto.
Qui secondo me saremmo quasi al limite del lecito, se ci fosse correttezza in questo campo, perché in effetti fai abboccare il consumatore usando qualcosa di totalmente svincolato dal prodotto che offri e che lui andrà ad acquistare. Ma dato che questa è prassi normale e consentita, soprassiedo su tale aspetto.
Quello che resta rilevante è che il pubblicitario di turno - che peraltro emette la sua salata parcella alla ditta produttrice - in effetti non vende un prodotto delle sue meningi, bensì ricicla qualcosa che acquista forza in virtù di essere stato predigerito e ributtato fuori da "sacre" - per i consumatori - meningi altrui... ergo, il compenso va a queste ultime, e non al pubblicitario.
Potrebbe essere in fondo un buon modo per guadagnare un po' di creatività nella comunicazione pubblicitaria, evitando anche aberrazioni come il sin troppo banale "chi mi ama mi segua" che negli '70 consacrò un mostro sacro della grafica pubblicitaria, capace di "far parlare" generando scandalo... troppo facile, signori creativi... qualche ideina in più, suvvia...

D'altra parte, abbiamo vissuto anche la situazione contraria, frasi normali, correnti, di cui mi sento assieme a tutti gli italiani "proprietaria", scippate come frase-simbolo di parte, non necessariamente condivisibili; nessuno aveva vietato di usarle comunemente, ma di fatto ogni volta che qualcuno lo faceva, automaticamente ripeteva anche il messaggio di parte, e faceva pubblicità gratuita a chi se ne era appropriato.
È un po' la storia del simbolo solare indoeuropeo della croce uncinata, ormai tabù, o di un più recente inneggiare alla Nazionale di una qualsiasi disciplina sportiva...
Forse i primi a dover brevettare le frasi del linguaggio comune come "proprietà dell'Umanità" siamo proprio noi comuni cittadini...
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