Soltanto il cognome?

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Moderatore: Cruscanti

Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Alcuni anni fa lessi un articolo di una associazione inglese per la lotta contro le discriminazioni razziali dove si diceva che non è necessario accertare quale sia il significato delle parole e dell'agire del presunto offensore; l'opinione e la condanna di chi si ritiene vittima di una discriminazione razziale basta a far scattare la censura. Mi sembra che, purtroppo, alcuni applichino un ragionamento del genere alla questione sull'uso dell'articolo davanti ai cognomi delle donne.

Non ho mai conosciuto nessuno che abbia detto o scritto 'la Moratti' o 'la Bonino' (o la piú un qualsiasi altro cognome) con intento denigratorio. Se di casi ce ne sono stati, sono certamente rarissimi.
L'esempio di Giulia Tonelli secondo me non è davvero indicativo: il suo interlocutore con 'la' Giulia forse intendeva semplicemente la 'cara' Giulia, come a sottolineare che amico suo non è e non vuol essere (ricordo un mio professore al liceo che a volte, rivolgendosi a noi studenti, si soffermava un attimo sull'articolo in maniera affettuosa: ma tu guarda, la Francesca, e anche, scherzosamente, il Paolo).

È inoltre interessante notare come lei, Giulia, usi con disinvoltura la parola negro, termine considerato oggigiorno molto offensivo se riferito a una persona di colore. Anche qui, pur essendo il suo intervento non razzista, qualcuno si sarebbe potuto offendere parecchio. Ne avrebbe avuto il diritto, visto che lei era chiaramente in buona fede?
Ferdinand Bardamu ha scritto:Ma, a mio modesto avviso, la discriminazione sta altrove, come nell'accettazione, da parte delle donne, del maschile nelle cariche pubbliche o nelle professioni, es. «il ministro Fornero» o «l'avvocato Bongiorno».
Concordo in pieno e aggiungo: secondo me è attraverso l'esaltazione delle caratteristiche che le differenziano dagli uomini che le donne possono sperare di raggiungere una vera (cioè gratificante) 'parità'. Continuando a voler essere trattate da uomini (specie in ambito ufficiale) dimostrano che purtroppo non hanno ancora superato quel terribile complesso d'inferiorità che è stato loro inculcato in secoli di emarginazione sociale.

P.S. Mi scusi Giulia se l'ho chiamata in causa riguardo a dei suoi interventi vecchi di quasi sette anni, ma ho visto che lei è sempre attiva in questo fòro.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Jonathan ha scritto:Non ho mai conosciuto nessuno che abbia detto o scritto 'la Moratti' o 'la Bonino' (o la piú un qualsiasi altro cognome) con intento denigratorio. Se di casi ce ne sono stati, sono certamente rarissimi.
L'esempio di Giulia Tonelli secondo me non è davvero indicativo: il suo interlocutore con 'la' Giulia forse intendeva semplicemente la 'cara' Giulia, come a sottolineare che amico suo non è e non vuol essere (ricordo un mio professore al liceo che a volte, rivolgendosi a noi studenti, si soffermava un attimo sull'articolo in maniera affettuosa: ma tu guarda, la Francesca, e anche, scherzosamente, il Paolo).
L'uso dell'articolo davanti ai nomi femminili è piuttosto comune in Toscana e anche altrove (specialmente al Nord); il parallelismo con i cognomi regge fino a un certo punto: nel mio italiano regionale dico il Rossi e la Bianchi (se sono due persone che conosco) ma Monti e la Merkel e sempre Luigi e Monica, mai la Monica. La distribuzione del la prima dei nomi di battesimo femminili è a macchia di leopardo: a Firenze e nell'area fiorentina è comune; andando da Montelupo verso Pisa l'uso scompare; riappare invece in Valdinevole e anche nel Grossetano. L'uso davanti ai nomi di battesiimo maschili invece in Toscana è alquanto raro mentre al Nord è comune. L'origine di questo pleonasmo, secondo Gabrielli, è dovuto al fatto che la figlia femmina era considerata «proprietà» del padre.
Aldo Gabrielli ha scritto:“La” Maria sí, “il” Mario no

Non si tratta di un’imposizione femminista, ma di una consuetudine linguistica che, come succede, i grammatici hanno poi codificato sino a farne una norma:
• davanti a nomi propri di persona (s’intende, “nomi di battesimo”, cioè prenomi, non cognomi, né soprannomi o nomignoli) non si mette l’articolo; per esempio:

Carlo, Pietro, Maria e non il Carlo, il Pietro, la Maria.

Tuttavia, poiché nel “parlar familiare” in quasi tutte le regioni italiane, ma particolarmente in Toscana, si suole mettere l’articolo davanti ai nomi propri di persona di genere femminile, e cosi hanno fatto e fanno anche i migliori scrittori, le grammatiche concedono la licenza di scrivere, come del resto si dice:

la Maria, la Caterina, la Geltrude, la Sofonisba, eccetera.

Però in non poche regioni settentrionali, specialmente in Lombardia — ma l’uso si va sempre piú estendendo anche alle altre regioni — si usa metter l’articolo anche davanti ai nomi maschili. E questo è contro la grammatica.

[...]

C’è un motivo storico

Badate bene, questa distinzione nei riguardi dell’uso dell’articolo, coi nomi femminili sí, coi maschili no, non rappresenta un capriccio senza senso, cosi come a tutta prima potrebbe sembrare; c’è un motivo storico che spiega e giustifica questa distinzione. Un motivo storico che ci pesa un po’ ricordare, perché tra chi ci legge ci saranno certamente numerose lettrici. La donna, in tempi antichi, e in particolare presso i Romani, entrava nel numero delle “cose” appartenenti al padre, e, dopo il matrimonio, al marito. Il suo nome proprio, perciò, nacque propriamente come appellativo che si foggiava sul nome gentilizio mediante una desinenza femminile: da Tullio, Marzio, Giulio, per esempio, si foggiarono gli appellativi Tullia, Marzia, Giulia, cioè “la figlia di” Tullio, Marzio, Giulio. Cosí come, in tempi piú prossimi a noi, da un Morosini, da un Foscari si foggiarono gli appellativi la Morosina, la Foscarina, per capirci. Gli appellativi, come i soprannomi (lo vedremo qui sotto) hanno sempre bisogno di un articolo determinativo; diciamo, infatti:

Alessandro il Grande, Isotta la Bionda, il Tonto, lo Sciancato.

Il nome maschile no; esso era veramente un nome proprio, in quanto nell’uomo era la rappresentazione assoluta di sé stesso e di quelli che facevano parte della sua famiglia, di cui era signore e padrone.
Anche nel volgare italiano, che, come sappiamo, discese dritto dritto dal latino, i nomi femminili ebbero valore di appellativo; e l’uso dell’articolo davanti ai nomi di donna è, come s’è detto, soprattutto comune in Toscana, dove piú tenace è la tradizione linguistica. La riprova di tutto questo sta nel fatto che l’articolo tende sempre piú a cadere via via che la donna acquista una personalità piú spiccata. Infatti, parlando di una donna illustre, nessuno dirà la Maria, la Francesca, la Grazia volendo alludere a Maria Stuarda, a Francesca da Rimini o a Grazia Deledda. E anche nell’uso di tutti i giorni l’articolo coi nomi propri femminili è sempre un distintivo di umiltà, o anche di familiarità, di benevola confidenza.
Quanto all’articolo davanti ai nomi maschili, si capisce che tutto è nato per semplice analogia: a forza di ripetere la Carla e la Mariuccia, i Settentrionali, e i Lombardi in specie, si son messi a dire il Carletto e il Mario. Oggi, tempo di maniche larghe, anche quella grammaticale s’è dilatata non poco, non sappiamo con quanto vantaggio della nostra lingua. Ma in passato, soprattutto al tempo del cosiddetto “purismo”, il Carlo e il Vincenzo in un libro stampato sarebbero apparsi un errore grave.

Aldo Gabrielli (a cura di), Come parlare e scrivere meglio, Milano, 1974, p. 220–222.
L'uso sembra ancora produttivo: in qualche occasione, alla televisione, ho sentito dire la Belén (Rodríguez) e simili.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Aggiungo che in Veneto – almeno per quanto riguarda l'area veronese, a me nota – l'uso ricalca quello toscano: i prenomi femminili sono preceduti dall'articolo, quelli maschili no (es. «ghe vegnú la Maria», ‘è venuta Maria’, ma non «ghe vegnú *el Giani», ‘è venuto Giovanni / Gianni’).
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Modna
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Intervento di Modna »

Confermo che anche l'Emilia Romagna, a parte il piacentino (del quale non ho conoscenza), ricalca l'uso toscano, quantomeno da Parma a Rimini, passando per Ferrara. :D
A quanto ne so anche il mantovano, che ha un dialetto e delle consuetudini associati alla famiglia emiliano-romagnola, ricalca tale uso. ;)
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Serianni si è espresso a questo riguardo sulla Lettura, supplemento culturale del Corriere della Sera, di domenica 19 febbraio (pag. 4). Nella sua rubrica L'incursione, prendendo spunto dall'invito della ministra Fornero, sostiene la piena legittimità dell'omissione dell'articolo davanti al cognome d'una donna:

Quanto all'uso dell'articolo, non ci sono controindicazioni all'omissione, e quindi alla piena parificazione con i cognomi maschili: «Fornero ha dichiarato», «Monti ha visto Cancellieri». L'articolo può restare, come per gli uomini, in riferimento al passato: la Deledda come il Verga.

Questa sua presa di posizione mi porta a rivedere parzialmente la mia idea: se è vero che l'articolo davanti al cognome di una donna, per me, non comporta alcuna discriminazione, è altrettanto vero che 1) il parere della donna in questione prevale sul mio; 2) l'omissione dell'articolo non configura alcuna violazione grammaticale, come gli orridi «la ministro» e «la sindaco».
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Intervento di PersOnLine »

Ma come si comportano le altre lingue romanze?
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Carnby
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Intervento di Carnby »

PersOnLine ha scritto:Ma come si comportano le altre lingue romanze?
Da quello che ho potuto notare premettono spesso il titolo di rispetto: Mme Du Bois, Mlle Blanc, Sra. López, Srta. Martínez.
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