Jonathan ha scritto:Non ho mai conosciuto nessuno che abbia detto o scritto 'la Moratti' o 'la Bonino' (o la piú un qualsiasi altro cognome) con intento denigratorio. Se di casi ce ne sono stati, sono certamente rarissimi.
L'esempio di Giulia Tonelli secondo me non è davvero indicativo: il suo interlocutore con 'la' Giulia forse intendeva semplicemente la 'cara' Giulia, come a sottolineare che amico suo non è e non vuol essere (ricordo un mio professore al liceo che a volte, rivolgendosi a noi studenti, si soffermava un attimo sull'articolo in maniera affettuosa: ma tu guarda, la Francesca, e anche, scherzosamente, il Paolo).
L'uso dell'articolo davanti ai nomi femminili è piuttosto comune in Toscana e anche altrove (specialmente al Nord); il parallelismo con i cognomi regge fino a un certo punto: nel mio italiano regionale dico
il Rossi e
la Bianchi (se sono due persone che conosco) ma
Monti e
la Merkel e sempre
Luigi e
Monica, mai
la Monica. La distribuzione del
la prima dei nomi di battesimo femminili è a macchia di leopardo: a Firenze e nell'area fiorentina è comune; andando da Montelupo verso Pisa l'uso scompare; riappare invece in Valdinevole e anche nel Grossetano. L'uso davanti ai nomi di battesiimo maschili invece in Toscana è alquanto raro mentre al Nord è comune. L'origine di questo pleonasmo, secondo Gabrielli, è dovuto al fatto che la figlia femmina era considerata «proprietà» del padre.
Aldo Gabrielli ha scritto:“La” Maria sí, “il” Mario no
Non si tratta di un’imposizione femminista, ma di una consuetudine linguistica che, come succede, i grammatici hanno poi codificato sino a farne una norma:
• davanti a nomi propri di persona (s’intende, “nomi di battesimo”, cioè prenomi, non cognomi, né soprannomi o nomignoli) non si mette l’articolo; per esempio:
Carlo, Pietro, Maria e non il Carlo, il Pietro, la Maria.
Tuttavia, poiché nel “parlar familiare” in quasi tutte le regioni italiane, ma particolarmente in Toscana, si suole mettere l’articolo davanti ai nomi propri di persona di genere femminile, e cosi hanno fatto e fanno anche i migliori scrittori, le grammatiche concedono la licenza di scrivere, come del resto si dice:
la Maria, la Caterina, la Geltrude, la Sofonisba, eccetera.
Però in non poche regioni settentrionali, specialmente in Lombardia — ma l’uso si va sempre piú estendendo anche alle altre regioni — si usa metter l’articolo anche davanti ai nomi maschili. E questo è contro la grammatica.
[...]
C’è un motivo storico
Badate bene, questa distinzione nei riguardi dell’uso dell’articolo, coi nomi femminili sí, coi maschili no, non rappresenta un capriccio senza senso, cosi come a tutta prima potrebbe sembrare; c’è un motivo storico che spiega e giustifica questa distinzione. Un motivo storico che ci pesa un po’ ricordare, perché tra chi ci legge ci saranno certamente numerose lettrici. La donna, in tempi antichi, e in particolare presso i Romani, entrava nel numero delle “cose” appartenenti al padre, e, dopo il matrimonio, al marito. Il suo nome proprio, perciò, nacque propriamente come appellativo che si foggiava sul nome gentilizio mediante una desinenza femminile: da Tullio, Marzio, Giulio, per esempio, si foggiarono gli appellativi Tullia, Marzia, Giulia, cioè “la figlia di” Tullio, Marzio, Giulio. Cosí come, in tempi piú prossimi a noi, da un Morosini, da un Foscari si foggiarono gli appellativi la Morosina, la Foscarina, per capirci. Gli appellativi, come i soprannomi (lo vedremo qui sotto) hanno sempre bisogno di un articolo determinativo; diciamo, infatti:
Alessandro il Grande, Isotta la Bionda, il Tonto, lo Sciancato.
Il nome maschile no; esso era veramente un nome proprio, in quanto nell’uomo era la rappresentazione assoluta di sé stesso e di quelli che facevano parte della sua famiglia, di cui era signore e padrone.
Anche nel volgare italiano, che, come sappiamo, discese dritto dritto dal latino, i nomi femminili ebbero valore di appellativo; e l’uso dell’articolo davanti ai nomi di donna è, come s’è detto, soprattutto comune in Toscana, dove piú tenace è la tradizione linguistica. La riprova di tutto questo sta nel fatto che l’articolo tende sempre piú a cadere via via che la donna acquista una personalità piú spiccata. Infatti, parlando di una donna illustre, nessuno dirà la Maria, la Francesca, la Grazia volendo alludere a Maria Stuarda, a Francesca da Rimini o a Grazia Deledda. E anche nell’uso di tutti i giorni l’articolo coi nomi propri femminili è sempre un distintivo di umiltà, o anche di familiarità, di benevola confidenza.
Quanto all’articolo davanti ai nomi maschili, si capisce che tutto è nato per semplice analogia: a forza di ripetere la Carla e la Mariuccia, i Settentrionali, e i Lombardi in specie, si son messi a dire il Carletto e il Mario. Oggi, tempo di maniche larghe, anche quella grammaticale s’è dilatata non poco, non sappiamo con quanto vantaggio della nostra lingua. Ma in passato, soprattutto al tempo del cosiddetto “purismo”, il Carlo e il Vincenzo in un libro stampato sarebbero apparsi un errore grave.
Aldo Gabrielli (a cura di), Come parlare e scrivere meglio, Milano, 1974, p. 220–222.
L'uso sembra ancora produttivo: in qualche occasione, alla televisione, ho sentito dire
la Belén (
Rodríguez) e simili.