Condizionale: modo o tempo?

Spazio di discussione su questioni che non rientrano nelle altre categorie, o che ne coinvolgono piú d’una

Moderatore: Cruscanti

ann
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Iscritto in data: ven, 04 feb 2005 10:59

Intervento di ann »

Non si capisce come sia possibile dissociare l’approccio sincronico da quello diacronico: lo «stato» d’una lingua in un determinato periodo è il frutto degli stadi precedenti e il passato continua a influire sul presente. L’analisi linguistica non può quindi, a parer mio, prescindere dalla storia (soprattutto per quanto riguarda l’italiano!).
Credo che il cuore della nostra discussione si trova infatti nel modo in cui i diversi linguisti/grammatici hanno guardato e guardano ancora le nostre lingue (compresi noi) ed è anche per questa ragione che ho citato la conclusione di Wagner sui rapporti fra “diacronisti” e “sincronisti”, dei rapporti “sbiaditi” spesso in tali discussioni. Per me la lingua è certo il frutto di una storia di cui però si può fare a meno quando viene il momento di descriverla tale come funziona in un momento, dello stesso modo che non ignoro che è la mia storia che mi ha fatto diventare come sono ma che qualcuno che non conosce questa storia mi può giudicare e descrivere senza sapere né da dove vengo né come ero a 7 anni e farlo forse meglio di persone che, conoscendo la mia storia e tutte le fasi per cui sono passata non riusciranno a vedermi oggi prescindendo dalle mie battute da scolara. Forse il fatto per me di essere “sincronista” risulta pure di questa storia e della nostra cultura francese – e sopratutto della nostra educazione scolastica dove il latino appare come un’opzione anche per chi si dirige verso studi “letterari”, in quanto lingua morta –, intendo dire che non posso essere “diacronista” visto che non conosco il latino (dello stesso modo che per voi italiani che passate anni ed anni di studio del latino è difficile rinunciarci) ma è stato anche una decisione mia non studiarlo (sfortunatamente non si può conoscere tutto e abbiamo tutti fatto delle scelte, ho scelto le lingue “vive”, ho scelto materie più “scientifiche”...) ed orientarmi verso uno studio della lingua che si gira verso le altre scienze sociali – ed “esatte” -. Mi piace molto da qualche anno leggere anche degli studi storici sulla lingua, interessarmi alla parte storica che appare nei nostri dizionari, ma lego queste storie come degli “aneddoti” che uso qualche volta durante le mie lezioni perché permettono di ricordare meglio certe differenze che esistono fra le nostre due lingue (giustificate, certo, dalla loro origine comune).
Non voglio per niente porre un punto finale alla nostra discussione, né a tante altre che potremmo avere in futuro, perché sono sicura che essere “sincronista” non significa non avere niente da imparare dai colleghi “diacronisti”, dizionari come il “TLF” sono stati fatti con tanti linguisti di cui certi erano pure generativisti, che hanno lasciato però ai loro colleghi filologi la parte storica. Tutte e due le prospettive si possono completare...
Per concludere quindi (conclusione mia, spero però che altri avranno qualcosa da dire sull’argomento) dirò che aderisco alla classificazione del condizionale come tempo anche se trovo le vostre critiche perfettamente pertinenti (ed è stato un piacere per me leggerle e pensarci) semplicemente perché queste discussioni hanno già avuto luogo (e credo che abbiamo citato già il pro e il contro, che valgono sicuramente tutti e due). Ci sono state delle tesi, degli articoli su questo argomento che non ho tempo di leggere, e quindi mi fido delle scelte fatte che appaiono oggi nei nostri manuali e grammatiche. Forse questo cambio dal modo al tempo non sarà definitivo, forse nel futuro altri studiosi ci ripenseranno ed anch’io ci ripenserò e mi dirò “ Marco ed Incarcato avevano ragione, la tesi del condizionale come tempo dell’indicativo è una tesi che non si può difendere” !
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Ecco, su questo siamo d’accordissimo: l’approccio diacronico e quello sincronico si completano a vicenda e anzi, per me, sono indissociabili (direbbe Saint-John Perse che hanno «stretto un patto inestricabile» ;)).

Solo una cosa a proposito dei manuali francesi. Il mio Bescherelle (edizione 1997) dice: «Le conditionnel, longtemps considéré comme un mode spécifique, est aujourd'hui rattaché à l’indicatif, pour des raisons de forme et de sens». Ma allora perché, nelle tabelle di coniugazione, non lo mette tra i tempi dell’indicativo?

Mi permetto di correggerle due errori ricorrenti nei suoi messaggi:

«..., de la même manière que je n’ignore pas...» = «..., cosí come non ignoro...» (non *dello stesso modo che);

«... résulte de...» = «... risulta/deriva da...» (non di).

Cordialmente.
ann
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Iscritto in data: ven, 04 feb 2005 10:59

Intervento di ann »

secondo me è lo stesso problema di Grevisse, sono state cambiate le parti in cui si parlava del condizionale ma nessuno ha pensato a guardare dapertutto (forse)
grazie per le correzioni (come inteso..., la prima non sapevo fosse un'errore e mi vergogno adesso di usarla molto spesso anche all'orale)
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