Del sociolinguisticamente accettabile

Spazio di discussione su questioni che non rientrano nelle altre categorie, o che ne coinvolgono piú d’una

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Decimo
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Intervento di Decimo »

bubu7 ha scritto:"Mi passi la manopola della playstation?" Una richiesta di questo tenore, rivolta a mio nipote, magari accompagnata da un gesto che indica l'oggetto, forse potrebbe sortire qualche effetto.
Spero di tranquillizzarla, se faccio notare che diffusione globale ha il neutro comando, o più spesso al plurale i comandi (anche nell'indicarne solamente uno).
Inoltre nei libretti d'istruzione sul funzionamento dei videogiochi per PS2, si alternano regolarmente comandi e controller, con l'esclusione totale di joystick.

Da quanto apprendo dalla lettura di questi libretti, il termine tecnico per indicare il dispositivo di controllo per PS2 è controller analogico o comando analogico. È anche contemplato un comando digitale, non supportato da alcuni videogiochi, di cui però non conosco morfologia né caratteristiche.

Quindi, chieda un comando analogico per PS2 (adoperi la sigla, come molti fanno, così da evitare anche il forestiero e ostico playstation :wink: ) o semplicemente i comandi per PS2, e vedrà che la capiranno subito, senza che i commessi storcano le orecchie e la bocca! :)
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Avrà capito che non sono un esterofobo integralista. Evito però quando posso il forestierismo.
Mi fa piacere che abbia indirettamente confermato una parte della mia precedente analisi: comando era l'altra possibile sintesi della locuzione.
Questa conferma della reattività dell'italiano mi rincuora.
Grazie per le sue osservazioni, caro Decimo. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Intervento di Federico »

bubu7 ha scritto:Mi fa piacere che abbia indirettamente confermato una parte della mia precedente analisi: comando era l'altra possibile sintesi della locuzione.
Questa conferma della reattività dell'italiano mi rincuora.
Non so però quanto sia reattività dell'italiano e quanto cieca traduzione da parte di stranieri del termine controller (e non joystick), come topo per mouse in quel famoso testo della Microsoft (credo).
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non è forse inutile ricordare una volta ancora che topo nel senso di mouse è registrato nel Sabatini-Coletti (accezione 4). Scusate la parentesi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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LUDOMANETTA per JOYSTICK: analisi strutturale.

Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:...mi permetto di citare il giudizio che l’Accademica della Crusca Ornella Castellani Pollidori ha espresso su alcune mie neoformazioni. Ritiene accettabili, fra quelle che menzionavo nella mia lettera [...] ludomanetta...
Marco1971 ha scritto:A me gli unici criteri validi paiono quelli individuati dalla professoressa Castellani Pollidori nella risposta alla mia lettera, ossia la dignità di struttura...
bubu7 ha scritto:Strutturalmente ludomanetta va benissimo, nel senso che soddisfa i criteri per la formazione di una parola italiana...
Le prime due citazioni servono a inquadrare l'argomento la terza, la mia, va rettificata perché inesatta.

Cercherò di aggiungere un altro tassello alla nostra comprensione delle regole onomaturgiche.
I miei precedenti interventi erano tutti a braccio e tentavano di riportare conoscenze digerite in anni di studi.
Il seguente invece è frutto della meditazione sul capitolo della Grande grammatica italiana di consultazione relativo alla formazione delle parole (vol. III). Si tratta quindi di citazioni letterali che mi sono limitato a collegare per adattarle, spero in maniera oggettiva, al caso nostro.

Cominciamo con un paio di definizioni:

Le regole per la formazione delle parole composte agiscono in accordo con le regole di costruzione sintattica.

Si definisce 'testa' di una parola composta quella componente che ne definisce il significato e la categoria grammaticale. Gli altri costituenti della parola possono modificare/restringere il significato della testa. Per determinare la testa di un composto il criterio categoriale e quello semantico devono essere concordi, devono cioè cadere sullo stesso elemento. Per questo motivo non necessariamente un composto è provvisto di testa. Un composto provvisto di testa è definito endocentrico. Si dicono composti di subordinazione quei composti endocentrici in cui è possibile identificare un elemento modificato, la testa morfologica, e un elemento modificatore subordinato: ad es. in camposanto, la testa campo viene modificata dall'aggettivo santo ad essa subordinato.

Prendiamo la nostra ludomanetta.

I componenti sono ludo (che si può considerare un confisso, termine semindipendente, oppure un sostantivo maschile, indipendente; ma nel nostro caso possiamo sicuramente assegnarlo alla prima categoria) e manetta (sostantivo femminile). La parola composta è un sostantivo femminile che si riferisce a un particolare tipo di manetta. Come si vede sia il criterio categoriale (sostantivo femminile) sia quello semantico (manetta; tipo di manetta) convergono sul secondo componente della parola composta. Possiamo quindi dire che ci troviamo di fronte a un composto endocentrico (provvisto di testa) di subordinazione (perché il primo elemento modifica/restringe il significato del secondo) con la testa a destra (la testa è il secondo elemento: manetta).

Dice sempre la Grande grammatica:

«Un altro tipo di composti che si sta imponendo nell'italiano contemporaneo è il tipo scuolabus.
Questi composti, con testa a destra, sono calchi dall'inglese, che ha sempre testa a destra. [Il nostro è un caso ovvio di calco di questo tipo, se confrontiamo ludo-manetta con joy-stick]
Possiamo dunque distinguere tre diversi tipi di composti:
a) composti di origine latina, con testa a destra;
b) composti produttivi oggi, con testa a sinistra;
c) calchi (soprattutto) dall'inglese, con testa a destra.

I tipi a) e c), pur avendo entrambi la testa a destra, non rappresentano lo stesso 'tipo'».

Non è che la Grande grammatica abbia scoperto l'America perché queste sono osservazioni presenti in testi linguistici di diversa natura. Ad esempio Berruto, in Sociolinguistica dell'italiano contemporaneo, riferendosi a questi composti dice che "violano il normale ordine dell'italiano, determinato + determinante, su evidente modello anglosassone.

Conclusione.
Nei miei precedenti interventi ho cercato di dimostrare l'inaccettabilità sociolinguistica del termine.
Con quest'ultima analisi voglio dire un'altra cosa.
Cercando di sostituire joystick con ludomanetta facciamo più male che bene alla lingua italiana.
Sostituire un forestierismo crudo (appartenente alla sfera lessicale, la più esterna, la più labile e la meno pericolosa per le caratteristiche fondamentali di una lingua [e queste sono considerazioni condivise dalla grande maggioranza degli studiosi]) con un neologismo contenente un forestierismo sintattico calco dell'inglese (ordine determinante-determinato; posizione della testa a destra), costituisce un attacco ben più pernicioso e profondo alla natura della nostra lingua.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Re: LUDOMANETTA per JOYSTICK: analisi strutturale.

Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Conclusione.
Nei miei precedenti interventi ho cercato di dimostrare l'inaccettabilità sociolinguistica del termine.
…Senza peraltro riuscirci: non che altri sia riuscito a dimostrarne l’accettabilità, ma è bene essere chiari.
bubu7 ha scritto:Cercando di sostituire joystick con ludomanetta facciamo più male che bene alla lingua italiana.
Sostituire un forestierismo crudo… con un neologismo contenente un forestierismo sintattico calco dell'inglese (ordine determinante-determinato; posizione della testa a destra [come anche in greco, in latino e in moltissimi composti «misti», fra cui tantissimi neologismi]), costituisce un attacco ben più pernicioso e profondo alla natura della nostra lingua.
Questo mi sembra francamente esagerato. Esistono comunissimi e pacifici composti del tipo ludoterapia e audiocassetta: non vedo quale armonia [morfosintattica] potrebbe mai sconvolgere [oggigiorno] una parola come ludomanetta:roll:
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Re: LUDOMANETTA per JOYSTICK: analisi strutturale.

Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto:
bubu7 ha scritto:Conclusione.
Nei miei precedenti interventi ho cercato di dimostrare l'inaccettabilità sociolinguistica del termine.
…Senza peraltro riuscirci: non che altri sia riuscito a dimostrarne l’accettabilità, ma è bene essere chiari.
Ho detto che ho cercato di dimostrare... lasciamo ai singoli lettori la valutazione se le mie argomentazioni siano state più o meno convincenti.
L'unica cosa veramente chiara è che non sono riuscito a convincere lei e magari anche altri, ma è normale che non tutti si lascino convincere da dimostrazioni che non siano matematiche. :)
Infarinato ha scritto:Esistono comunissimi e pacifici composti del tipo ludoterapia e audiocassetta: non vedo quale armonia potrebbe mai sconvolgere [oggigiorno] ludomanetta:roll:
Certo, esistono composti comunissimi e accettati come audiocassetta.
Ma non è questo il punto. Anche joystick è accettato.
Il punto, com'è spiegato estesamente nel mio precedente intervento, è che questo tipo di composizione è anomala per l'italiano: è anch'essa un anglicismo e di tipo ben più pericoloso perché meno appariscente e perché altera più profondamente le caratteristiche dell'italiano.
I composti produttivi che rispettano la norma classica dell'italiano hanno la testa a sinistra.
Non pretendo di convincerla ma, secondo me, le citazioni riportate in precedenza dimostrano chiaramente che ludomanetta non rispetta le più genuine regole di formazione di una parola composta italiana. :)
Quindi anche se oggigiorno le parole con testa a destra sono accettate non vedo perché si debba proporre un neologismo che vada contro le regole strutturali della nostra lingua.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Intervento di Ladim »

Premetto che trovo comunque condivisibile la scelta di adottare un sostituto fraseologico, o di estendere il significato di un lessema già esistente (risemantizzazione) etc. Ma vorrei affastellare, con semplicità, alcune domande...

Impostare un discorso su un orientamento sociale e linguistico, per quel che ci riguarda, chiederebbe di coinvolgere le categorie in uso di diamesia, diastratia e diafasia (per quanto mi riguarda, potrei solo auspicarlo)?

Quale di queste tre è maggiormente coinvolta nella neoformazione di un sostituto? Ovvero: è possibile integrare la creazione linguistica con precise considerazioni diastratiche, diamesiche e diafasiche?

Per quanto concerne la diastratia: l'«italiano senza aggettivi», ovvero «comune», è quello a cui dobbiamo rivolgerci per pensare i nostri sostituti (ma allora che senso avrebbe parlare di diastratia?)?

L'espressività e la percezione colta di una parola non subentrano all'uso?

In quale modo è possibile misurare la 'resistenza all'uso' di una parola? Attraverso la distinzione del 'più noto-meno noto', 'più familiare-meno familiare'? Oppure 'più italiano-meno italiano'? (?!) O del diacronicamente recente? Del diatopicamente neutro (Canepari, ad esempio, come ha impostato la sua indagine sulla pronuncia – ma, nel suo caso, si tratterebbe comunque di un'indagine che segue l'uso, e anzi si affida interamente a esso – ?)?

È possibile definire una griglia predefinita che possa riordinare pacificamente i modi sociolinguisticamente accettabili della composizione (dire che l'inversione dei costituenti «fa male» all'italiano che cosa significa? Snaturamento della struttura italiana? Andare contro l'accettabilità senz'altro, quindi contro l'uso?)?

Perché un 'elemento' più diffuso dovrebbe essere sociolinguisticamente più accettabile? Di quale 'diffusione' stiamo parlando? Di quella relativa a una frequenza d'uso? O di quella relativa a un'attendibile produttività morfologica?

Il nostro «ludomanetta» si segnala per essere particolarmente «inaccettabile» dal punto di vista diastratico, diafasico (oppure la diastratia e la diafasia non hanno alcuna attinenza?), o è «inaccettabile» dal punto di vista strutturale (e quindi anche nella morfologia, come nella microsintassi, la struttura può appoggiare valutazioni di natura sociolinguistica?)?

Gentile Bubu7, a me pare di aver capito che cosa intende Lei quando mi parla d'inaccettabilità; eppure quel «sociolinguisticamente» mi pare poco motivato: «ludomanetta», ad esempio, che tipo di variante incarnerebbe? In quale strato della lingua riposerebbe? Infine, quale strato di appartenenza porterebbe il crisma dell'inaccettabilità (le varianti possono essere inaccettabili se confrontate con la norma [l'errore grammaticale], coll'italiano comune: altrimenti l'inaccettabilità sarebbe di volta in volta diafasica, diamesica, non già diastratica)? Insomma, come possiamo – indipendentemente dalla Sua autorevolezza (nessun'ombra d'ironia, per favore) – stabilire linguisticamente l'improbabilità di un uso, specie se dietro a quest'ultimo non vi è, né vi può essere, nessuna spinta culturale reale su cui poter fermare le nostre considerazioni («ludomanetta», al riguardo, non accoglie alcuna forma di spinta culturale proprio perché è nato <qui>, ancora fuori dell'uso)?
Ultima modifica di Ladim in data lun, 19 mar 2007 17:48, modificato 1 volta in totale.
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Intervento di bubu7 »

Caro Ladim. la ringrazio per le sue domande.
Capisco i suoi dubbi che sono, in parte, anche i miei, non creda.
Mi scusi se non le rispondo immediatamente ma ci tengo a darle una risposta più meditata. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Re: LUDOMANETTA per JOYSTICK: analisi strutturale.

Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Non pretendo di convincerla ma, secondo me, le citazioni riportate in precedenza dimostrano chiaramente che ludomanetta non rispetta le più genuine regole di formazione di una parola composta italiana. :)
Quindi anche se oggigiorno le parole con testa a destra sono accettate non vedo perché si debba proporre un neologismo che vada contro le regole strutturali della nostra lingua.
Sí, ma allora Lei, cosí facendo, delegittima di fatto un’immane copia di neologismi della scienza medica, della fisica e di molti altri settori dello scibile umano.

Lei ha ragione: ludomanetta víola «le più genuine regole di formazione di una parola composta italiana», cosí come, e.g., la sequenza fonica per scritto (senza i prostetica) víola le regole della piú genuina fonotassi italiana.

Non mi disgarba, Le confesso, questo suo «purismo strutturale»: semplicemente, mi stupisce. :D
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Re: LUDOMANETTA per JOYSTICK: analisi strutturale.

Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: Non mi disgarba, Le confesso, questo suo «purismo strutturale»: semplicemente, mi stupisce. :D
Fa bene a stupirsi.
Volevo solo mostrare, per amor di discussione, che ludomanetta non ha la dignità strutturale per essere accolta tra le più genuine formazioni dell'italiano.
Se fossi un purista strutturale mi guarderei bene dal proporlo come traducente. :wink:
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Intervento di Marco1971 »

Ultima considerazione, prima di lasciare per sempre questo filone: lungi dallo snaturare la lingua, i composti con testa a destra (rappresentati da un numero non esiguo di parole comunissime, come ferrovia, capogiro o videogioco – e che trovano comunque un’eco strutturale nei composti d’origine latina) costituiscono per la lingua un’ulteriore risorsa creativa che ne arricchisce la sintassi autoproduttiva. Ecco dove il purismo secondo me impastoia una feconda evoluzione. Questo dei composti con testa a destra è uno dei cambiamenti che l’italiano può subire senza danni – diversamente da certe mutazioni fonetiche. Diceva Delfino Insolera:
Naturalmente non si può pensare di sottrarsi al confronto con l’inglese: si tratta solo di affrontarlo con consapevolezza, imparando seriamente l’inglese da un lato e dall’altro svecchiando l’italiano; introducendovi a ragion veduta tutto ciò che serve, e non soltanto vocaboli ma soprattutto nuove costruzioni sintattiche; insomma gareggiando con l’inglese in espressività e agilità.
E la perfettamente foggiata ludomanetta – visto che qui non s’è andato oltre questa mia coniazione – a molti appare agile e espressiva.

E ora lascio svarïar chi n’ha d’uopo.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Ecco le mie risposte al questionario elaborato da Ladim.
Colgo l'occasione per ringraziarlo nuovamente per lo sforzo che ha profuso nella sua stesura. :)
Ladim ha scritto:Impostare un discorso su un orientamento sociale e linguistico, per quel che ci riguarda, chiederebbe di coinvolgere le categorie in uso di diamesia, diastratia e diafasia (per quanto mi riguarda, potrei solo auspicarlo)?
Sì, senza dubbio.
Ladim ha scritto:Quale di queste tre è maggiormente coinvolta nella neoformazione di un sostituto?
Direi le varianti diastratica e diafasica; sicuramente meno la variante diamesica.
Ladim ha scritto:Ovvero: è possibile integrare la creazione linguistica con precise considerazioni diastratiche, diamesiche e diafasiche?
Direi di sì. Direi, anzi, che è indispensabile farlo. Naturalmente quest'operazione presuppone conoscenze linguistiche ampie e profonde. Per la creazione linguistica c'è poi bisogno d'integrare le conoscenze colla creatività: mi viene in mente un Migliorini. Personalmente sono lontano mille miglia da un Migliorini e non posseggo nemmeno quell'ampiezza e profondità di conoscenze tale da permettermi la definizione precisa di una griglia generale di accettabilità strutturalsociolinguistica. Avverto in maniera più o meno intuitiva l'inaccettabilità di un termine o di un procedimento e, in singoli casi felici (o infelici) come quello di ludomanetta, provo a esplicitare queste sensazioni.
Ladim ha scritto:Per quanto concerne la diastratia: è l'«italiano senza aggettivi», ovvero quello «comune», a cui dobbiamo rivolgerci per pensare i nostri sostituti (ma allora che senso avrebbe parlare di diastratia?)?
Dovremmo rivolgerci non all'«italiano senza aggettivi» bensì all'italiano «comune» nell'ambiente di diffusione del forestierismo. In questo modo continua ad avere un senso parlare di diastratia (e di diafasia).
Ladim ha scritto:L'espressività e la percezione colta di una parola non subentrano all'uso?
Anche all'uso, ma non solo. Il materiale grezzo che noi usiamo per costruire il neologismo possiede già una sua espressività e viene percepito, ad esempio, come più o meno colto (ludo, gioco; acqua, idro-; equino, ippico...).
Ladim ha scritto:In quale modo è possibile misurare la 'resistenza all'uso' di una parola? Attraverso la distinzione del 'più noto', 'meno noto', 'più familiare', 'meno familiare'? Oppure 'più italiano', 'meno italiano'? (?!) O del diacronicamente recente? Del diatopicamente neutro?
Sì, sono tutte variabili da tenere in considerazione, come fattori facilitanti. Possiamo valutare gradazioni all'interno di una categoria orientandoci sempre verso il termine con minore resistenza; quindi: più noto, più familiare... Ricordiamoci che dobbiamo combattere contro termini stranieri più o meno radicati, non possiamo permetterci il lusso di trascurare la più piccola arma in nostro possesso.
Ladim ha scritto:È possibile definire una griglia predefinita che possa riordinare pacificamente i modi sociolinguisticamente accettabili della composizione...
È possibile provare a definire una griglia da integrare in tempi successivi. Che la sistemazione al suo interno dei modi sociolinguisticamente accettabili sia sempre «pacifica», anche se la griglia fosse definita da specialisti, ho i miei dubbi.
Ladim ha scritto:Dire che l'inversione dei costituenti «fa male» all'italiano che cosa significa? Snaturamento della struttura italiana?
Sì, sicuramente della struttura classica dell'italiano (ma per me che non sono un purista, snaturamento non ha un senso molto negativo, si avvicina a quello di cambiamento, ampliamento [vedo con piacere e sorpresa che questo tipo di cambiamenti più profondi non disturbano Marco1971]).
Ladim ha scritto:Andare contro l'accettabilità senz'altro, quindi contro l'uso?
Non necessariamente uno snaturamento va contro l'accettabilità sociolinguistica, soprattutto se esso esprime una nuova tendenza nella lingua e soprattutto se (come ci ricordava Infarinato) vi è una convergenza tipologica a livello del gruppo linguistico romanzo o più estesamente dell'Europa occidentale (il famoso gruppo SAE, Standard Average European).
Ladim ha scritto:Perché un 'elemento' più diffuso dovrebbe essere sociolinguisticamente più accettabile? Di quale 'diffusione' stiamo parlando? Di quella relativa a una frequenza d'uso? O di quella relativa a un'attendibile produttività morfologica?
Qui convergono due accezioni di accettabilità. Quasi sicuramente sono in parte responsabile dell'aver provocato una certa confusione tra le due accezioni: accettabilità, come probabilità per un sostituto di essere accettato; accettabilità, come costruzione buona perché potenzialmente produttiva o, meglio, strutturalmente ben costruita... Nella pratica a volte è possibile scindere i due significati, a volte essi si compenetrano.
Ladim ha scritto:Il nostro «ludomanetta» si segnala per essere particolarmente inaccettabile dal punto di vista diastratico, diafasico?

Secondo me sì. Questo è l'aspetto sociolinguistico e, in questo caso, inaccettabile significa che ha scarse possibilità di essere accettato.
Ladim ha scritto:...o è inaccettabile dal punto di vista strutturale (e quindi anche nella morfologia, come nella microsintassi, la struttura può appoggiare valutazioni di natura sociolinguistica?)?
Secondo me è inaccettabile anche dal punto di vista strutturale. Ma in questo caso inaccettabile significa che non risponde ai criteri aurei delle costruzioni italiane ma potrebbe, forse proprio per questo motivo, essere più accettabile sociolinguisticamente, perché le costruzioni all'inglese sanno di moderno.
Ladim ha scritto:A me pare di aver capito che cosa intende Lei quando mi parla d'inaccettabilità; eppure quel «sociolinguisticamente» mi pare poco motivato
Può in parte aver ragione. Sto volutamente abusando del termine, uscendo probabilmente dai classici confini semantici del termine specialistico, sperando di far intendere il suo senso comune: fattori sociali in senso lato che condizionano l'accettabilità di un traducente.
Ladim ha scritto:Insomma, come possiamo [...] stabilire linguisticamente l'improbabilità di un uso, specie se dietro a quest'ultimo non vi è, ne vi può essere, nessuna spinta culturale reale su cui poter fermare le nostre considerazioni («ludomanetta», al riguardo, non accoglie alcuna forma di spinta culturale proprio perché è nato qui, ancora fuori dell'uso)?
Ecco, come già accennavo, non è vero, secondo me, che ludomanetta non possegga alcuna spinta culturale. I suoi componenti, la loro organizzazione sintattica, la sua terminazione, il suo suono, la sua musicalità, sono intrisi di valenze culturali. Per alcuni di questi elementi può giudicare solo l'artista, il bravo onomaturgo; per altri, un dilettante come me, che mastica un po' di linguistica (e questa non è falsa modestia ma reale consapevolezza della pochezza delle mie conoscenze) può provare a imbastire qualche argomentazione e sollevare qualche critica.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Intervento di Ladim »

Gentile Bubu7, grazie a lei – nessuno sforzo.

Ho letto con interesse le Sue considerazioni, e spero possa perdonarmi se qui di seguito stendo un replica un po' secca (scrivo di fretta... mi perdoni anche questo)...

Dunque. Dire «italiano senza aggettivi» o «comune» o ancora standard equivale ad alludere alla stessa cosa: si indica cioè quella forma d'italiano codificato dalle nostre grammatiche, esemplificato sul modello letterario e, in un certo qual modo, rivisto secondo le spinte innovative connesse con l'uso 'sorvegliato' del ceto colto (spesso le grammatiche non ribadiscono a sufficienza questo significativo dettaglio: la lingua insegnata è quella normalizzata e accolta come tale dalla stessa comunità di parlanti – ma non da 'tutti' i parlanti). Sotto questo rispetto la «lingua» non presenta alcuna sfaccettatura diastratica, è anzi la pietra di paragone con cui misurare le valenze sociali della lingua: sicché l'italiano senza aggettivi coincide grosso modo con l'italiano «standard-letterario».

Impegnare il nostro discorso con l'etichetta «sociolinguistica» vorrebbe soprattutto una chiara coscienza di che cosa sia la dimensione diastratica, più propriamente della natura di quella disciplina che studia la lingua dal punto di vista sociale. Se quindi la diastratia non appartiene alla lingua (ché la lingua ha solo da pensare a sé stessa), varrà soprattutto considerare che cosa ci permette di adoperarne il criterio di analisi. Anzitutto dobbiamo disporci a osservare la lingua considerandone le implicazioni sociali (cultura, ceto, lavoro etc.), poi di concentrare la nostra attenzione sugli esempi di lingua realmente attestati. In questo caso la diastratia è come l'occhiale kantiano: ci permette di riordinare gli usi secondo un parametro che di volta in volta intreccia le possibili relazioni con la «lingua comune». Di fatto, specie per la morfologia, la sociolinguistica non ha capacità predittive: si tratta di una disciplina molto attenta agli usi documentati e alle tensioni polivalenti che orbitano intorno a essi.

La percezione colta, con tutta evidenza, dipende dal livello d'istruzione; ma non solo. Un 'classicista', un po' digiuno di studi etimologici, può trovare una levatura dòtta, latina e ancor più greca in un numero notevole di parole italiane: «semaforo» sarà quindi una parola colta almeno quanto «equanime» – per un etimologo solo la seconda sarà un cultismo; per un incolto contadino, diciamo degli anni Cinquanta, entrambe sarebbero soltanto parole senza significato, più o meno impronunciabili, direi 'strane'. Non tutti, com'è ovvio, hanno la stessa percezione linguistica, e ciò dipende proprio dai fattori diastratici; infine, non è detto che un 'classicista' si chieda, per ogni parola che adopera, la relativa origine etimologica; e anzi spesso si sorprenderebbe a riconoscere ciò che fino a quel momento non aveva ancora notato. Per noi, quindi, «ludomanetta» è un composto dòtto; per un giovane ragazzo che trova gratificante trascorre il proprio tempo riprendendo i propri coetanei con il telefono cellulare, «ludomanetta» è una parola sconosciuta (né colta né popolare). Ora poniamo che questa benedetta parola appartenga a quella varietà d'italiano chiamata «italiano trasmesso» (l'italiano usato dai mezzi di comunicazione, televisione e radio in particolare): essa avrebbe finalmente una prima spinta culturale (e, in questo caso, per 'cultura' non s'intenderebbe un eventuale lignaggio etimologico – accessibile soltanto a chi si presta a osservare la lingua nelle sue implicazioni storiche –: semmai si tratta di 'cultura' in senso lato, l'insieme di fattori che permettono la diffusione di una parola, infine ne rendono vivo l'uso in una determinata sincronia storica).

La diastratia ci dice che una parola appartiene più a una fascia sociale, meno a un'altra; ci può dire se un costrutto sintattico è «comune» oppure «popolare», in ultimo «aulico». Escluderei l'ipotesi che ci possa mettere in grado d'indicare se una parola 'senza vita' è riconducibile a questo o a quell'uso, a questo o a quell'individuo sociale (cfr. ancora «semaforo», una parola indubbiamente nobile, che è percepita insieme al proprio denotato: chi la usa non penserebbe al greco, men che meno al francese). Semmai, per quel che ci riguarda, sarebbero più produttive alcune considerazioni di diastratia fonotattica (la capacità di un parlante di pronunciare, memorizzare alcuni suoni, di là dal sostrato dialettale: istruzione, ceto, abitudini articolatorie).

Un latinismo schietto come sapiens può essere diastraticamente centrale, marcato diafasicamente e diacronicamente (negli anni Ottanta era una parola per indicare, nel giovanilese di allora, il padre o la madre): dato l'abbrivio a una moda, non è più necessario che l'utenza prenda questa parola per quello che era o che significava in origine (latinismo, grecismo, anglismo etc.: non so quanti di quelli che incontro ogni mattina sanno che fax è appunto un latinismo, diciamo così, riveduto graficamente). Direi anzi che l'«intervento lungo» di Uri Burton qui sopra mette bene in luce un aspetto diastratico importante, per una sincronia di qualche decennio fa: spiegherebbe persuasivamente perché l'individuo italiano abbia preso viepiù le distanze dalla propria lingua (lì la spinta culturale è giustamente posta, direi anche in modo divertente).

Una parola come «sfiga», nata sulla lingua di un giovane di molti anni fa, oggi ha lasciato il sottocodice del giovanilese per scalare la varietà dell'italiano comune, anche se colloquiale. L'onomaturgo di oggi, quando vuole coniare un neologismo, neanche prenderebbe in considerazione l'ipotesi di adoperare una parola oscena! – quest'ultima, anche se suona un po' come una provocazione, è in realtà una brevissima riflessione che vorrebbe sottolineare la non 'pacificità' della varietà diastratica (non tutto ciò che è colto appartiene alle fasce alte; non tutto ciò che è riconducibile all'«italiano popolare» tradisce una formazione puramente 'popolare': il rimescolamento culturale messo in atto dalla nostra istituzione scolastica ci espone, sul piano sociale, a una polarizzazione linguistica appunto individuabile soprattutto nell'«italiano trasmesso»).

«Alettone», ai primi utenti, forse, nonostante la paternità dannunziana, poteva suonare un po' goffo: ma dire che – poniamo caso – l'accrescitivo è distraticamente marcato non mi pare accettabile (e il fatto che le donne tendono a usare i diminutivi è un'altra cosa): l'uso di un elemento linguistico, sì, è diastratico, non l'elemento in sé (l'espressione «che ci azzecca» spesso è usata con una punta di compiacenza, come se portasse un alone di ricchezza linguistica: la qual cosa, sotto certi rispetti, può essere anche vera; ma di per sé è un'espressione popolare-dialettale...)...
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Ladim ha scritto:Dunque. Dire «italiano senza aggettivi» o «comune» o ancora standard equivale ad alludere alla stessa cosa: si indica cioè quella forma d'italiano codificato dalle nostre grammatiche, esemplificato sul modello letterario e, in un certo qual modo, rivisto secondo le spinte innovative connesse con l'uso 'sorvegliato' del ceto colto (spesso le grammatiche non ribadiscono a sufficienza questo significativo dettaglio: la lingua insegnata è quella normalizzata e accolta come tale dalla stessa comunità di parlanti – ma non da 'tutti' i parlanti). Sotto questo rispetto la «lingua» non presenta alcuna sfaccettatura diastratica, è anzi la pietra di paragone con cui misurare le valenze sociali della lingua: sicché l'italiano senza aggettivi coincide grosso modo con l'italiano «standard-letterario».

Condivido, in linea di massima, queste considerazioni con due puntualizzazioni (seguendo Berruto, Sociolinguistica dell'italiano contemporaneo).
Nell'italiano, è in atto un processo di ristandardizzazione (dovuto alla sua storia recente, dall'Unità d'Italia in poi) che sta portando a un nuovo standard (il neostandard berrutiano, l'italiano tendenziale del Mioni, l'italiano dell'uso medio di Sabatini); quindi sarebbe il caso d'identificare almeno due varietà dell'«italiano senz'aggettivi»: il punto di partenza (italiano standard letterario normalizzato dall'uso) e quello d'arrivo del processo (neostandard = italiano regionale colto medio).
L'italiano a cui lei si riferisce, punto di partenza del processo di ristandardizzazione, presenta un lieve grado di marcatezza diastratica (che si può desumere dalle caratteristiche della piccola comunità di parlanti nella quale è diffuso) a cui si aggiunge un sempre lieve grado di marcatezza diatopica (per la sua base fiorentina).
Quindi l'italiano standard letterario ha una posizione eccentrica in un diagramma in cui s'incrociano gli assi sociolinguistici della diastratia e della diafasia (e della diamesia).
Ladim ha scritto:Impegnare il nostro discorso con l'etichetta «sociolinguistica» vorrebbe soprattutto una chiara coscienza di che cosa sia la dimensione diastratica, più propriamente della natura di quella disciplina che studia la lingua dal punto di vista sociale. Se quindi la diastratia non appartiene alla lingua (ché la lingua ha solo da pensare a sé stessa), varrà soprattutto considerare che cosa ci permette di adoperarne il criterio di analisi. Anzitutto dobbiamo disporci a osservare la lingua considerandone le implicazioni sociali (cultura, ceto, lavoro etc.), poi di concentrare la nostra attenzione sugli esempi di lingua realmente attestati. In questo caso la diastratia è come l'occhiale kantiano: ci permette di riordinare gli usi secondo un parametro che di volta in volta intreccia le possibili relazioni con la «lingua comune». Di fatto, specie per la morfologia, la sociolinguistica non ha capacità predittive: si tratta di una disciplina molto attenta agli usi documentati e alle tensioni polivalenti che orbitano intorno a essi.
Questa sua analisi la condivido meno.
Secondo me non si può prescindere, all'interno di una pura analisi linguistica, da certe considerazioni sociolinguistiche.
Certo, si deve prescindere in prima battuta dal considerare gl'influssi sociali (cultura, ceto...) ma, restando alla formazione delle parole, quando dico che i composti italiani produttivi hanno la testa a sinistra (o dico che un suffisso è produttivo), non sto facendo considerazioni predittive basate su elementi sociolinguistici? Non è importante il numero di termini di una categoria produttiva; quello che importa è che, se conio un neologismo con un suffisso produttivo, ho una certa probabilità che esso venga accolto, se lo conio con un suffisso non più produttivo, a parità di altre condizioni, le probabilità dell'accoglimento precipitano.
Ladim ha scritto:Per noi, quindi, «ludomanetta» è un composto dòtto; per un giovane ragazzo che trova gratificante trascorre il proprio tempo riprendendo i propri coetanei con il telefono cellulare, «ludomanetta» è una parola sconosciuta (né colta né popolare). Ora poniamo che questa benedetta parola appartenga a quella varietà d'italiano chiamata «italiano trasmesso» (l'italiano usato dai mezzi di comunicazione, televisione e radio in particolare): essa avrebbe finalmente una prima spinta culturale (e, in questo caso, per 'cultura' non s'intenderebbe un eventuale lignaggio etimologico – accessibile soltanto a chi si presta a osservare la lingua nelle sue implicazioni storiche –: semmai si tratta di 'cultura' in senso lato, l'insieme di fattori che permettono la diffusione di una parola, infine ne rendono vivo l'uso in una determinata sincronia storica).
Concentriamoci sul nostro obiettivo. Noi vogliamo proporre, a un giovane, un traducente di un forestierismo di successo, perfettamente comprensibile (al di là della sua etimologia e significato nella lingua di partenza, cioè perfettamente associato a un significato). E come traducente proponiamo un termine sconosciuto, invece di una locuzione comprensibile o un'accezione che estenda il significato di un termine conosciuto (soluzione quest'ultima già più impervia, a mio parere).
Lei parla dei mezzi di comunicazione. Dice (estremizzo) che se prendessimo una parola sconosciuta e la utilizzassimo per un bombardamento mediatico essa avrebbe una certa probabilità di essere accolta.
Senza dubbio. Ma perché questo dovrebbe avvenire? Perché i mezzi di comunicazione dovrebbero propagandare questa parola? Solo un'imposizione potrebbe consentire questo e sappiano quanto, alla lunga, questo tipo d'azione risulti inefficace.
Ladim ha scritto:La diastratia ci dice che una parola appartiene più a una fascia sociale, meno a un'altra; ci può dire se un costrutto sintattico è «comune» oppure «popolare», in ultimo «aulico». Escluderei l'ipotesi che ci possa mettere in grado d'indicare se una parola 'senza vita' è riconducibile a questo o a quell'uso, a questo o a quell'individuo sociale (cfr. ancora «semaforo», una parola indubbiamente nobile, che è percepita insieme al proprio denotato: chi la usa non penserebbe al greco, men che meno al francese).
Ripeto: se *ludomanetta fosse stata la parola di battesimo della nuova invenzione, il termine si sarebbe necessariamente diffuso (non escludendo un rigetto in un secondo momento). Ma non è il nostro caso.
Forse ho sbagliato a insistere sul carattere aulico dei componenti della parola. Avrei più semplicemente potuto dire che la parola risulta difficilmente associabile, da parte del giovane utente, all'oggetto. Come dice lei, risulta una parola senza senso, come, che ne so, *cibuba.
L'analisi diastratica ci aiuta a isolare la varietà d'italiano parlato dal sottoinsieme della popolazione dove l'oggetto è più diffuso. Ci può far capire quali siano le strategie più produttive per la diffusione di un traducente.
Ladim ha scritto:quest'ultima, anche se suona un po' come una provocazione, è in realtà una brevissima riflessione che vorrebbe sottolineare la non 'pacificità' della varietà diastratica (non tutto ciò che è colto appartiene alle fasce alte; non tutto ciò che è riconducibile all'«italiano popolare» tradisce una formazione puramente 'popolare': il rimescolamento culturale messo in atto dalla nostra istituzione scolastica ci espone, sul piano sociale, a una polarizzazione linguistica appunto individuabile soprattutto nell'«italiano trasmesso»).
Sulla non pacificità e sugli esempi di sapiens e sfiga sono completamente d'accordo. I fattori che determinano il successo di una parola sono molteplici e in parte imprevedibili. Le considerazioni sociolinguistiche ci spingono solo a non proporre parole latine a un pubblico giovanile e termini volgari a un pubblico colto. Questo non vuol dire che termini appartenenti a questi settori non si possano diffondere in certi ambiti, ma solo che è poco probabile che ciò avvenga.
Vogliamo combattere oltre che contro la virulenza del forestierismo anche contro il calcolo delle probabilità?
Ladim ha scritto:l'uso di un elemento linguistico, sì, è diastratico, non l'elemento in sé (l'espressione «che ci azzecca» spesso è usata con una punta di compiacenza, come se portasse un alone di ricchezza linguistica: la qual cosa, sotto certi rispetti, può essere anche vera; ma di per sé è un'espressione popolare-dialettale...)...
Non ho capito bene il suo pensiero (mi sembra che quel che dice tra parentesi contraddica la frase che precede le parentesi) ma non è importante.
La diastratia, insieme alle altre variabili sociolinguistiche, permette d'identificare delle varianti di lingua. Queste varianti sono caratterizzate dall'uso di un sottoinsieme della lingua (di lessico, di costruzioni sintattiche, ecc.). Il singolo termine, l'elemento in sé, non è monolitico, ma assume significati e presenta frequenze diverse nelle diverse varietà diastratiche. L'espressione «che ci azzecca» è diastraticamente marcata verso il basso, anche se può essere usata con una certa frequenza e con significato probabilmente diverso anche da strati colti della popolazione.
Le espressioni cattivo odore e puzza di merda, riferite alla stessa situazione, sono diastraticamente marcate.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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