Ma che bella parola. Peccato che sia abusiva

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Max
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Iscritto in data: dom, 07 nov 2004 22:31
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Ma che bella parola. Peccato che sia abusiva

Intervento di Max »

Trascrivo un articolo a firma di Maria Luisa Altieri Biagi, pubblicato oggi da La Nazione nella rubrica Cultura & Società.

Cento anni fa usciva a Milano, presso Hoepli, il Dizionario moderno di Alfredo Panzini (Senigallia, 1863 – Roma, 1939): la ricorrenza viene giustamente ricordata oggi a Roma, all’Accademia dei Lincei, con una «giornata» organizzata da Tullio Gregory, in cui alcuni dei più noti linguisti e storici della lingua sottolineeranno l’importanza dell’opera: si può infatti dire che il Dizionario di Panzini ha segnato l’inizio di un filone di ricerca oggi fiorente, quello che si interessa delle «parole nuove» o neologismi. Distinguendosi da altri autori di vocabolari e grammatici “puristi” che – prima di lui – avevano elencato vocaboli “abusivi”, criticandoli e avanzando proposte di sostituzione, Panzini registrava – accanto a parole discutibili – parole nuove che pullulavano in un italiano postunitario in forte subbuglio (perché finalmente parlato, oltre che scritto). Già vivo nella prima edizione dell’opera (1905) l’interesse per neologismi dialettali, tecnici, burocratici, gergali si accentua nelle successive edizioni, rivelando in Panzini un interessato osservatore della vitalità della lingua piuttosto che un censore di veri o presunti “abusi”.

Del resto i neologismi non sono quasi mai invenzioni totali; chi dà vita a una parola nuova sfrutta, di solito, una parola già esistente e applica ad essa le regole della derivazione, foggiando un nuovo derivato. Nasce così rottamare (da rottame), neologismo fortunato, stabilmente insediato nei nostri vocabolari; e nasce «donne rosarianti per la strada», neologismo subito cancellato e sostituito con «donne che dicevano il rosario per la strada» da una maestra ligia (e indifferente alla giustificazione della scolaretta: «rosarianti mi faceva mormorio»…).
Giorgio Forattini, alcuni anni fa, inventò le parole «viaggiosa», «comodosa», «risparmiosa» per la pubblicità di un’automobile. La campagna pubblicitaria ebbe grande successo e qualcuno sparse la notizia (spero vera per l’interessato, ma mai confermata) che – con i proventi di quella campagna – Forattini avesse acquistato un superattico panoramico: particolare che, a modo suo, conferma il «potere della parola». Ma i tre aggettivi – fortunatissimi nell’episodio pubblicitario e nelle sue risonanze immediate – non sono registrati nei vocabolari della lingua italiana perché non sono entrati nell’uso. La stessa sorte hanno avuto la «vita torturosa», gli «spettegolamenti viperosi», il «canto (dantesco) che pure non è dei più buiosi» di Giovanni Papini; i «cadaverosi poemi» di Carlo Emilio Gadda, e potremmo continuare a lungo con il suffisso –oso (e con tutti gli altri suffissi). Altri creatori di parole (o «onomaturghi», come di chiamava Bruno Migliorini) hanno invece avuto fortuna: pensiamo a D’Annunzio, inventore di fusoliera, di velivolo, di Rinascente, ecc. Si calcola che nella nostra lingua le parole nuove siano circa un migliaio all’anno; sono tutte frutto di un atto individuale, ma solo poche di esse – quelle che ottengono il consenso sociale (o si prevede che possano ottenerlo) – vengono ospitate dai vocabolari dell’uso. Dove vanno a finire le altre centinaia di parole? Quelle che magari riescono per un breve periodo ad entrare nelle abitudini dei parlanti come fenomeno di moda, di costume, o come mania collettiva? Hanno vita breve come le farfalle; si spengono quasi subito, come le meteore; insomma, non “attecchiscono”. Traccia di queste parole rimane negli schedari degli storici della lingua o di quelle vere e proprie «officine che sono le redazioni dei vocabolari, nelle case editrici, dove personale altamente specializzato provvede a un aggiornamento continuo dell’opera. Non si tratta di materiali inerti perché documentano fenomeni sociali magari transitori, ma interessanti. Da questi materiali – se recuperati e affiancati ai neologismi vittoriosi nella lotta per la sopravvivenza – emerge nella sua ricchezza e nelle sue contraddizioni il quadro di particolari momenti storici.
È quanto accade in un’opera recentissima, che mi piace segnalare come appartenente alla tradizione ormai secolare di Alfredo Panzini: Le parole dell’Italia che cambia, di Andrea Bencini e Beatrice Manetti (“Officina Linguistica” – Collana diretta da Luca Serianni, Le Monnier). Gli autori utilizzano il materiale accumulato negli ultimi dieci anni per l’aggiornamento del Dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Giancarlo Oli e – servendosi anche dei più recenti repertori – raccontano «in che modo e per quali strade i mutamenti della lingua rispecchino, e talvolta determinino, i mutamenti della vita di chi parla». Ho detto «raccontano» perché questo libro ha la piacevolezza e la vivacità del racconto, nel presentare – all’inizio di ogni capitolo – il fatto linguistico intrecciato a un «tema» di interesse storico-sociale.

A questa parte introduttiva segue, in ogni capitolo, la sezione «Parole dal vivo» che registra alfabeticamente parole e termini. È una documentazione su cui ogni lettore può riflettere; per esempio: tutti sappiamo che l’ambiente è malato e che – nel tentativo di dare una risposta scientifica ed etica al problema dell’inquinamento – pullulano i composti con primo elemento eco-; ma la quantità dei composti (non importa se effimeri) che il terzo millennio ha prodotto testimonia della crescente intensità della preoccupazione ecologica: ecoattivista, eco-auditor, ecoazienda, ecocasa, ecocidio, ecocompatibile, ecodomenica, ecogalateo ecc.
Per concludere con le parole degli autori, il libro «più che una fotografia dell’italiano del XXI secolo, aspira ad essere un diario di viaggio dell’Italia e del mondo a cavallo del nuovo millennio» che può aiutare a «capire attraverso le parole le trasformazioni di un’epoca».
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Saluti,
Max
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Grazie, Max, per la godibilissima lettura. Ben vengano i neologismi formati bene! Ho avuto un attimo di requie non vedendo alcun americanismo nell’articolo (tranne eco-auditor). È rassicurante!
Avatara utente
Incarcato
Interventi: 900
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 12:29

Intervento di Incarcato »

Tra l'altro, auditor è perfettamente inutile. Il suo traducente è revisore.
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