Sul Metro Libero

Spazio di discussione su questioni di retorica e stile

Moderatore: Cruscanti

pocoyo
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Sul Metro Libero

Intervento di pocoyo »

Spero di sollevare in questa piazza una questione che mi ha sempre fortemente coinvolto dacché incominciai ad interessarmi alla scrittura, poetica in questo caso. Mi auguro di poter trarre giovamento dalla vostra esperienza, ma in particolare dal gusto di lettori colti e critici che credo accomuna tutti i partecipanti di questo foro.

Non vorrei dilungarmi sull'argomento forse piú di quanto mi sia lecito fare, ma cercherò invece di introdurre e trattare la questione nei modi piú propri e brevi possibili. Mi scuserete se dovessi inciampare in qualche imprecisione, errore concettuale o improprietà terminologica.

Alcuni prolegomena:

Innanzi tutto mi pare bene precisare una semplice ma importante scelta terminologica, che a mio avviso inquadra con schiettezza il problema che intendo trattare. Secondo l'uso adottato dal Menichetti, chiamerò "[forma-]poesia" il prodotto scritto composto secondo determinati parametri formali riconosciuti dallo scrittore e dal lettore, analogamente la "prosa" sarà il frutto di altre convenzioni estetiche, quale, fra tante, la continuità del testo scritto. Manca da notare l'uso del termine "Poesia" (con iniziale maiuscola), che al contrario dei precedenti non interessa la forma (grafica?) dello scritto, quanto invece l'espressività letteraria.

Spiega efficacemente Maria Corti:

«la prosa dell'Arcadia è addirittura piú poesia delle egloghe da essa incorniciate»

Riprendendo i detti "parametri formali", cito ancora dal lavoro di Aldo Menichetti:

... assumiamo come appartenente all'ambito della poesia (forma-poesia), e dunque passibile di studio metrico, qualsiasi testo prodotto e recepito come letterario il quale si presenti suddiviso in segmenti tali, per estensione e per eventuali altre caratteristiche, da essere identificati come «versi».

Detto questo, non indugerei oltre a porvi la questione che mi preme trattare. Essa è: se, come e perché il cosiddetto metro libero dovrebbe essere considerato “poesia”. Prima di proporvi la mia critica opinione al riguardo, mi piacerebbe interpellarvi come lettori, ancor prima che come esperti in materia.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Partiamo da questa definizione di poesia (del Devoto-Oli 2004-2005, sott. mia): L’espressione metaforica di contenuti umani in corrispondenza di peculiari schemi ritmici e stilistici, tradizionalmente contrapposta a prosa.

Fondamentale per la poesia è la presenza di schemi ritmici (oltre, beninteso, a effetti sonori [allitterazioni, assonanze] e stilistici [figure retoriche]). Ora, la distribuzione degli schemi non dev’essere per forza rigida e seguire i metri canonici; dal momento che sono presenti ritmi e contenuti suggestivi, siamo in presenza d’una qualche forma di poesia, e il verso libero arricchisce questa forma d’espressione artistica di nuove combinazioni, aprendo le porte al nuovo. Tutte le arti si sono svincolate dalle norme classiche senza per questo trasformarsi in altro, poiché ciò che muta è la forma, non la sostanza.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
pocoyo
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Intervento di pocoyo »

Marco1971 ha scritto:Partiamo da questa definizione di poesia (del Devoto-Oli 2004-2005, sott. mia): L’espressione metaforica di contenuti umani in corrispondenza di peculiari schemi ritmici e stilistici, tradizionalmente contrapposta a prosa.
Ma ortografia, sintassi ed enfasi (nel caso in cui venga letta) non costituiscono forse peculiari schemi ritmici e stilistici nella prosa? Io personalmente percepisco nella bella scrittura un'armonia dai congegni nascosti che io chiamo "ritmo sintattico".

Qual è la vera differenza? l'accapo?

Si ricordi solamente la (involontaria?) sequenza di endecasillabi che iniziano il primo capitolo de "I Promessi Sposi".

Vorrei proporre un'altro mio pensiero: non ritenete che terminazioni uguali (rime) e bisticci consonantici (allitterazioni) siano sgradevoli, nella prosa, proprio perché isolati? Non altrimenti, credo, risulterebbero nella poesia in metro libero. D'altra parte, se il metro libero facesse uso di rima e allitterazioni (nella fattispecie) diverrebbe, sine dubio, poesia.

L'Ulisse di Joyce sarebbe in gran parte metro libero, dunque... :roll:
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Mi permetto di dare un esempio estremo (in tutti i sensi) di poesia, una mia traduzione dal francese d’un brano di Amers di Saint-John Perse (premio Nobel 1960 per la poesia):

«Ah! come Colei che ha bevuto il sangue d’una persona regale! gialla del giallo sacerdotale e rosa del rosa delle grandi giare! Tu nasci segnata dal Campione divino. E quale carne riarsa al fuoco di pampini delle terrazze ha reso piú alta testimonanza? Nuca bruciata d’amore, capellatura ove fu l’ardente stagione, e l’ascella fervida come salatura di rose nelle ciotole d’argilla…

«Sei come il pane offerto sull’altare, e rechi l’incisione rituale lumeggiata dal tratto rosso… Sei l’idolo di rame vergine, a forma di pesce, che viene spalmato di miele di roccia o di scogliera… Sei il mare medesimo nel suo lustro, quando il meriggio, ruptile e forte, delle sue lampade rovescia l’olio… […]

«… Ebbro, molto ebbro, cuor regale! d’albergar tanto mareggio, e la carne piú sensibile che alle tuniche dell’occhio… Tu segui il mare ineluttabile e forte nell’opra sua. E senti l’incoercibile stretta, e t’apri – libera, non libera – al dilatarsi dell’acque; e il mare retrattile in te esercita i suoi anelli, le sue pupille, e il giorno restringe, e la notte allarga, quell’occhio immenso chi ti occupa…

«Sommersione! sottomissione! T’inondi il piacere sacro, sua dimora! E il forte giubilare è nella carne, e della carne nell’anima è il pungiglione. Ho visto brillare fra i tuoi denti il papavero rosso della dea. L’amore in mare arde i propri vascelli. E tu ti compiaci nella divina vivacità, come si vedono gli agili dèi sotto l’acqua chiara, ove si recano le ombre che snodano le lievi cinte… Omaggio, omaggio alla divina diversità! Una stessa onda per il mondo, una stessa onda la nostra corsa… Stretta la misura, stretta la cesura, che rompe nel suo mezzo il muliebre corpo come il metro antico… Tu crescerai, licenza! Il mare lubrico ci esorta, e l’odor delle sue vasche erra nel letto nostro… Rosso-da-riccio-di-mare le camere del piacere.

«Tu mi sei l’appressarsi del mattino e la novità del giorno, mi sei freschezza di mare e freschezza d’alba sotto il latte dell’Acquario, quando la prima nube rosea si specchia allo specchio d’acqua delle sabbie, e la Stella verde del mattino, Principessa prescelta del giorno, discende, nuda i piedi, i verdi gradini del cielo per questuare l’infanzia alla fronte riccioluta dell’acque…

«Mi sei la rorida trasparenza del risveglio e la premonizione del sogno, mi sei l’invisibile stesso della fonte nel punto in cui erompe, come l’invisibile stesso della fiamma, la sua essenza, nel punto purissimo e senza offesa in cui il frale cuore della donna è un anello di dolcezza…

«Sei mangiatrice di petali e carne d’amarillide dei greti, il sale hai gustato alle palme dell’Amante e del riso delle tue risaie l’hai nutrito. Sei l’innocenza del frutto in terra straniera; la spiga colta in casa del Barbaro; il seme sementato sulla riva deserta per il viaggio del ritorno…»
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
pocoyo
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Iscritto in data: mer, 07 giu 2006 16:51

Intervento di pocoyo »

Ma cosa rende veramente questo passo (è un passo?) poesia e non una bella e poetica (nel significato dei prolegomena) “prosa spontanea”?

Shrill, with deep laughter, after bronze in gold, they urged each each to peal after peal, ringing in changes, bronzegold goldbronze, shrill-deep, to laughter after laughter. And then laughed more. Greasy I knows. Exhausted, breathless their shaken heads they laid, braided and pinnacled by glossycombed, against the counterledge. all flushed (O!), painting, sweating (O!), all breathless.

James Joyce, Ulysses, episodio XI


Qual è la vera differenza? l'intenzionalità dell'autore? (detto non in modo incalzante, ma curioso :))
Bue
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Intervento di Bue »

pocoyo ha scritto:Qual è la vera differenza? l'accapo?
Conscio che la mia posizione e` da "signora mia" conservatrice e ignorante, della stessa risma dei commenti "questo lo sa fare anche mio figlio" davanti a un quadro di Picasso, la penso proprio cosi`: secondo me l'avvento del verso libero (aiutato dalla diffusione e dalla lettura anche scolastica di poesie straniere "tradotte" in versi liberi) ha fatto si` che ora qualunque adolescente ritenga di essere in grado di scrivere "poesia" semplicemente andando a capo il piu` possibile e preferibilmente dove non si dovrebbe.

Probabilmente
chi scrive righe come
queste
convinto e` davvero di
scriver versi
Specialmente se
di tanto in tanto ci infila
un'inversione inusuale
un insolito
aggettivo
la suggestione d'un termine
desueto.
Avatara utente
Incarcato
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Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 12:29

Intervento di Incarcato »

Però, devo dire che le esternazioni di Bue vanno spesso a sollevare questioni poco discusse, perché ritenute banali, ma che possono creare imbarazzo agli "esperti".

Non voglio fare il qualunquista, però, in effetti, tra gl'insegnanti di storia dell'arte o i professori universitari, spesso è difficile sentir spiegato in modo convincente perché, ad esempio, il quadro di Picasso non lo potrebbe fare un bambino.
Poi, sulla questione del concetto di poesia degli adolescenti, ma non solo, non mi pronuncio, perché sarei anche piú drastico.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Ladim
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Intervento di Ladim »

L'argomento è dei più ricchi, e, per me, tra i più degni di attenzione – vorrei poter impostare un bel discorso in modo ordinato; ma, diversamente, sarò cursorio e ipersensibile.

Ciò che rende un Picasso un Picasso è l'idea, ovvero il confronto storico tra un prima e un dopo. In altre parole, lo scarto da una norma consolidata e diversamente convenzionale; si tratterebbe di uno scarto significativo (per certuni l'arte è vita): se un segno comporta un'idea, allora l'idea ci aiuta a crescere, e il segno è un intermediario (più e meno 'bello'); se un segno è solo un segno ingenuo, allora media sé stesso, senza dire nulla (o meglio: il contenuto di quest'ultimo interesserà soprattutto una madre ansiosa, oppure un pedagogista) – il problema, se vogliamo, è che troppo spesso i 'segni intermediari' sono guardati esclusivamente come segni senz'altro.

Per la poesia: può essere un genere, in cui 'forma e contenuto' si dispongono in un ordine ad ogni modo convenzionale; la poesia può essere uno stato d'animo, e investire alcuni aspetti della sensibilità umana e quindi anche della prosa; può essere un'etichetta metrica, e in questo caso la poesia si segnala per la pregnanza semantica di ogni suo aspetto (musicale, topologico, metrico, semantico etc.).

Sull'a capo: è un modo particolare d'individuare una struttura e un ritmo: ciò che caratterizza e rende la poesia ciò che è, in ultima analisi, è il ritmo, e cioè una certa e regolare ricorrenza di 'eventi' sonori nel tempo. Ciò che distinguerebbe la prosa dalla poesia è proprio il criterio cui s'informano le due diverse strutture: ritmico per la poesia, logico per la prosa (ma le modulazioni miste non sono da cestinare: in questo caso possiamo descrivere una prosa poetica avendo in mente le peculiarità dell'una e dell'altra, in ultimo il risultato finale – e Joyce non pensava proprio al ritmo: sì a questioni formali, ma psicologiche; per Manzoni, o anche per Boccaccio, parliamo invece di 'orecchio': chi si abitua a pensare in endecasillabi può produrne anche senza volerlo; e la poesia del Manzoni romanziere è nella domesticità del cuore, nell'eleganza e nella compostezza strutturanti, là dove i contenuti richiedono una commozione sentita e solidale: l'endecasillabo, al riguardo, è un fatto poco pertinente).

Bisognerebbe poi prendere in considerazione gli animi seri, e non gli scolaretti, che comunque hanno il diritto di usare liberamente la scrittura: i poeti – così ci insegna la storia – sono sempre persone molto serie e impegnate che attribuiscono alla parola un valore che soltanto di rado comprendiamo, noi comuni mortali: un a capo non può che essere significativo, allora (la musicalità può avere uno spessore etico e morale, se davvero pensiamo che la bellezza può aiutarci a vivere meglio; poi vi è chi punta sui contenuti, sull'intervento letterario in ambito sociale, e anche lì il ritmo incornicerebbe un momento peculiare in cui un lettore si dispone ad ascoltare, a farsi trascinare da una segmentazione, da un incantamento che richiede maggiore attenzione (il confronto con la musica è d'obbligo) – ma il rischio della sovra-interpretazione è sempre possibile (qui è il fascino della critica, più che della poesia, direi).

Ma devo fare punto.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: Tutte le arti si sono svincolate dalle norme classiche senza per questo trasformarsi in altro, poiché ciò che muta è la forma, non la sostanza.
Condivido completamente.
Oggi non è poesia quella di Bue come non lo era in passato quella dello "scolaretto" che rispettava formalmente tutt'i criteri metrici allora vigenti.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
pocoyo
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Intervento di pocoyo »

Su Joyce: La mia era senz'altro una provocazione: l'autore stesso tenne a definire il libro “un romanzo”, contro l'entusiasmata dicitura di “anti-romanzo” (figurarsi di “poesia”).
Ladim ha scritto:... e Joyce non pensava proprio al ritmo ...
Al ritmo poetico, certo che no; al “ritmo sintattico”, io credo di sí.
Ladim ha scritto:(ma le modulazioni miste non sono da cestinare: in questo caso possiamo descrivere una prosa poetica avendo in mente le peculiarità dell'una e dell'altra
Quello che la sua parentesi tiene a precisare fende il muro del discrimine che qui
Ladim ha scritto:Ciò che distinguerebbe la prosa dalla poesia è proprio il criterio cui s'informano le due diverse strutture: ritmico per la poesia, logico per la prosa
lei aveva cosí solidamente innalzato. Allora le chiedo: quando è che queste modulazioni miste divengono tali? Quando uno scritto smette di essere poesia o prosa e diventa misto?

D'altra parte vi sono esempi di poesia segnata da una sintassi di rigorosa precisione; ed esempi di prosa in cui il ritmo (a orecchio o a non orecchio, e proprio a questo il mio "involontaria?" si riferiva) è innegabile.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

pocoyo ha scritto:...ed esempi di prosa in cui il ritmo (a orecchio o a non orecchio, e proprio a questo il mio "involontaria?" si riferiva) è innegabile.
E si chiama, per l’appunto, prosa poetica.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di pocoyo »

Ma pare a me che la prosa può essere bella, brutta, poetica*, non poetica, bolsa, leggera... ma pur sempre prosa rimane. :roll:

*nel senso dei prolegomena.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

La differenza, credo, sta nella densità semantica e formale: la poesia è piú densa della prosa poetica (che è un genere letterario a sé, non l’attribuzione d’una qualità, come bolsa o leggera), a sua volta piú densa della prosa tradizionale. Un esempio di prosa poetica sono i Petits poèmes en prose di Baudelaire.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ladim
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Intervento di Ladim »

Ho l'impressione che lei cerchi più di quello che può trovare, caro pocoyo. Ad ogni modo, non si aspetti una descrizione esatta, rigorosamente tecnica di che cosa è la poesia; ascolterà sempre interpretazioni che la persuaderanno più e meno (del resto, quando lei dice che Joyce avrebbe pensato al ritmo sintattico e non a quello poetico ripeterebbe altrimenti quello cui io stesso pensavo).

Per la domanda sul «quando», va bene l'opinione di chi legge, o di chi scrive, se le argomentazioni appaiono condivisibili e, in qualche misura, 'rivelatrici'.

In ultimo: le 'fenditure' sarebbero già nell'occhio di chi vede anche i 'muri' – le direi, allora, che nel mio discorso non avrei messo alcun muro (ché, visto l'argomento, non servirebbero a niente).
pocoyo
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Intervento di pocoyo »

Marco1971 ha scritto:La differenza, credo, sta nella densità semantica e formale: la poesia è piú densa della prosa poetica (che è un genere letterario a sé, non l’attribuzione d’una qualità, come bolsa o leggera), a sua volta piú densa della prosa tradizionale. Un esempio di prosa poetica sono i Petits poèmes en prose di Baudelaire.
Grazie, non sapevo di questa definizione.

Un paio di domande a bruciapelo (se me le permettete), che volontariamente lascerei alla loro semplicità:

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