Sullo stile di Carmelo Bene

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Jonathan
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Sullo stile di Carmelo Bene

Intervento di Jonathan »

Buongiorno a tutti,

Il brano riportato qui di seguito è tratto dall’inizio di Lorenzaccio, un racconto di Carmelo Bene. Mi interesserebbe molto sapere cosa pensano degli studiosi della letteratura e della lingua italiana come voi dello stile e della tecnica di Bene. Io, da profano, trovo il suo modo di scrivere immaginifico e ingegnoso, seppure a tratti un po’ difficile e (perdonatemi la volgarità) al limite della “supercazzola” (a proposito, esiste tale parola in qualche dizionario?).

"Lorenzaccio è quel gesto che nel suo compiersi si disapprova. Disapprova l’agire. E la Storia Medicea, dispensata, non sa di fatto stipare questo suo (?) enigma eroico; ha subìto e glorificato di peggio, questa Storia.
Ma le cose son due: o la Storia, e il suo culto imbecille, è una immaginaria redazione esemplare delle infinite possibilità estromesse dalla arbitraria arroganza dei “fatti” accaduti (infinità degli eventi abortiti); o è, comunque, un inventario di fatti senza artefici, generati, cioè, dall’incoscienza dei rispettivi attori (perchè si dia un'azione è necessario un vuoto della memoria) che nella esecuzione del progetto, sospesi al vuoto del loro sogno, così a lungo perseguito e sfinito, dementi, quel progetto stesso smarrirono, (de)realizzandolo in pieno. Certosini nel lavoro paziente del lucidar la trama dei preparativi, cauti, meticolosi, febbrili dell'angoscia inconfessabile dell'insonnia dell’esserci - onnipresenza inumana intollerabile del sé a se stesso -, precipitarono nell'attimo tutta una vita pensosa: il gesto. E non furono più. Per un attimo. Estromessi dalla godibilità del vuoto dalla felicità sempre invisibile; per svegliarsi subito dopo, nuovamente sovreccitati e infelici, mascherati da zingare a cavallo - turisti o esuli poco importa - per le vie d’acqua putrida a Venezia, città termale del nostro secolo per coloro che vogliono morire.
Non si può assassinare un bel niente. Tutti i Bruti son bruti minerali in quell’attimo, che non è commendevole, non è esecrabile; perchè non è. Dunque questi non è son l’accaduto. Infinito futuro trapassato; mai presente. Non si dà un delinquente. Delinquere è mancare. Delitto è il vuoto del progetto-crimine; la realtà del progetto è la sua vertigine, finalmente impensabile e vuota. Vezzeggiare un progetto è dissuadersene, svogliarlo. Si può azzardare un gesto, non mai compierlo. Ogni azione, per quanto comprensibile, è impensabile, e la Storia è un ipotesi dell’antefatto, o il dizionario del mai accaduto. Resta il “misfatto”, di che va fiero ogni storicismo: il misconoscimento d’ogni fatto, consegnato dal vuoto all’eresia della storia irreale dell’essere. Storia del vicinato. Se davvero criminali e colpevoli, le nostre storie (irruzioni nell’attimo) non ci riguardano; accadono ai vicini e alla loro indignata indifferenza. E non è certamente quello in fiamme l’appartamento che brucia, ma l’occhialuta curiosità dirimpettaia, e quell’altra indispettita adiacente delle finestre.
Numerazione e nominazione è la Storia; storiografia dei morti che mi esclude. Vivente, io sono incomprensibile alla Storia; così come la Storia non mi riguarda.
Lorenzino di Pierfrancesco de’ Medici scelse un volto al disagio giovanissimo d’essere al mondo; una idea sola, ossessiva, sorteggiata dal groviglio chimerico delle speculazioni umanistiche, dal magma troppo eclettico della ricerca etica, perseguìta dai molti al solo scopo di raccontarsela. Un’idea fissa in che identificare un mestiere esigente da sostituire alla propria idea di spettro. Un giorno, forse - pensava o era pensato -, mi basterà disfarmene, per appendere il tragico cappello celebrale all’incoscienza del vuoto. Gli occorse una palestra: Roma e la corte di Clemente VII, per cominciare, simulacro del Dio per eccellenza; la città santa dove si coltiva, gratuito, il sogno d’attentare al Papa. Lorenzino dà prova d’inquietudine e insofferenza per quell’umanesimo che inganna il trauma del nessun presente nel culto dei relitti imperiali, sedicente memoria degli eventi che non furono mai, se non presenti anch’essi e smemorati.
Cominciò a “rovinare le rovine”, quelle dell’arco di quel Costantino che, impugnata la croce dall’elsa, legittimò il ridicolo della fede e la mondanità temporale dell’Essere. Si faceva la mano, Lorenzaccio. S’allenava a disfarsi della mano, disapprovando il gesto. Nella luna romana di quella notte, armato d’un arnese occasionale, prese a infierire su quelle teste pietrificate: il suo gesto veniva anticipato dal rumore prodotto; il tufo frantumava ancora prima d’esser percosso. Lorenzo, interdetto, vibrò un secondo colpo e un terzo, e di nuovo le statue rovinarono in suono amplificato prima d’esser colpite dal suo intento barbarico. L’accaduto sonoro precedeva la dinamica gestuale.
Purtroppo Lorenzo s’accaniva, eccitato non forse dallo scandalo asincrono, ma dalla risonanza comunque spropositata dei colpi inferti: eccessiva, come se ne vibrasse, enorme timpano, la città eterna. E Lorenzino, con la sua brigata, aveva improvvisato e non preordito quello scempio degli uomini di pietra, e lo compiva reduce esaltato dal naufragio del vino. Infieriva sulla irrealtà trascorsa di quei sassi, sognando d’essestare i suoi fendenti sopra il cranio metallico dello zio Pontefice che, impigliato tra il marmo sudaticcio dei lenzuoli, non opponeva resistenza alcuna, ma risuonava, è vero, e quanto alonato!, del rumore ch’è proprio al guscio vuoto delle armature nella sala immensa. Irrappresentabile."

Saluti.
Ultima modifica di Jonathan in data mar, 10 nov 2009 22:00, modificato 1 volta in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Premesso che il personaggio e il suo modo di recitare (che ho parodiato) mi sono insoffribili, il testo che ci propone suscita in me indubbio interesse stilistico (con qualche caduta qua e là). Ciò che mi disturba, in questo genere, è che si ha l’impressione che l’autore voglia «apparire intelligente» facendo un discorso volutamente poco chiaro, involuto. Per celare, forse, un pensiero incompiuto o improfondo.

Ma sarebbe interessante sentire altri pareri.

Per supercazzola, non l’ho trovata nel GRADIT...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Marco1971 ha scritto:Premesso che il personaggio e il suo modo di recitare (che ho parodiato) mi sono insoffribili, il testo che ci propone suscita in me indubbio interesse stilistico (con qualche caduta qua e là). Ciò che mi disturba, in questo genere, è che si ha l’impressione che l’autore voglia «apparire intelligente» facendo un discorso volutamente poco chiaro, involuto. Per celare, forse, un pensiero incompiuto o improfondo.
Sono stato a teatro solo una volta (a vedere proprio Carmelo Bene, al Metastasio di Prato) e non sono in grado di giudicare il suo lavoro in quel settore. Ma come attore e regista di cinema ha fatto alcune cose strepitose, tra tutte Nostra signora dei turchi, la cui visione reputo un'esperienza quasi necessaria.
Tornando a noi, Marco, potrebbe dirmi quali sono le cadute alle quali si riferisce?
Marco1971 ha scritto:Per supercazzola, non l’ho trovata nel GRADIT...
Questo mi dispiace davvero.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Jonathan ha scritto:Tornando a noi, Marco, potrebbe dirmi quali sono le cadute alle quali si riferisce?
Sí, certo. Naturalmente qui entriamo nella soggettività, e quello che dirò scaturisce dalla mia personale sensibilità letteraria.

...è una immaginaria redazione esemplare delle infinite possibilità estromesse dalla arbitraria arroganza dei “fatti” accaduti...

Questa frase mi sembra pesante, sovraccarica di aggettivi, ritmicamente zoppicante e gremita di ‘a’ toniche: allitterazioni e assonanze dovrebbero avere un effetto fonostilistico che sottolinea un’idea, un sentimento. Qui mi crea solo un senso di fastidio.

E non è certamente quello in fiamme l’appartamento che brucia, ma l’occhialuta curiosità dirimpettaia, e quell’altra indispettita adiacente delle finestre.

Anche qui non è molto felice certamente seguito poco dopo da appartamento (si poteva ricorrere a di certo e simili). Si nota ancora un’allitterazione in ‘m’ senza un preciso scopo espressivo e semantico. Infine, non mi resta chiaro l’impiego della preposizione ‘di’ (adiacente delle finestre), ché adiacente si costruisce con a.

...dal magma troppo eclettico della ricerca etica...

Qui avrei preferito – proprio a mettere in luce l’eclettismo e non la monotonia e la ripetizione – ...dal troppo eclettico magma della ricerca etica, con gli aggettivi in distribuzione chiastica, che hanno funzione strutturante e ritmica, oltreché semantica.

L’accaduto sonoro precedeva la dinamica gestuale.

È forse questa la frase secondo me piú goffa dell’intero brano. Per due motivi, anzi tre: 1) accaduto sonoro mi pare davvero poco elegante, sembra piuttosto una definizione scientifica (in un testo che di scientifico non ha proprio nulla); 2) dinamica è parola abusatissima, e servita in tutte le salse; 3) anche qui c’è quell’effetto piatto del susseguirsi di ‘sostantivo + aggettivo’. Cosa si sarebbe potuto scrivere invece? In maniera molto semplice il suono precedeva il gesto, che, volendo renderlo piú poetico, si potrebbe metaforizzare (ma ora non mi viene in mente nulla).

Ma, ripeto, queste sono considerazioni personali; dettate, certo, da una lunga dimestichezza con la tradizione letteraria passata e presente, ma che restano pur sempre manifestazioni del mio gusto.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Marco1971 ha scritto:Sí, certo. Naturalmente qui entriamo nella soggettività, e quello che dirò scaturisce dalla mia personale sensibilità letteraria.
A me la sua opinione personale interessa molto.
Grazie come sempre per la sua disponibilità e precisione.
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chiara
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Intervento di chiara »

"…ma l’occhialuta curiosità dirimpettaia, e quell’altra indispettita adiacente delle finestre."
Secondo me "delle finestre" si riferisce a "curiosità". Si potrebbe riscrivere: "e quell'altra adiacente, delle finestre, indispettita." (Non che sia tanto meglio, ma solo per disambiguare la frase e l'apparente reggenza anomala.)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

chiara ha scritto:Secondo me "delle finestre" si riferisce a "curiosità". Si potrebbe riscrivere: "e quell'altra adiacente, delle finestre, indispettita." (Non che sia tanto meglio, ma solo per disambiguare la frase e l'apparente reggenza anomala.)
In tal caso l’autore misconosce la funzione delle virgole (e ne dà prova nelle sue interpretazioni). ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
CarloB
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Iscritto in data: mar, 01 feb 2005 18:23

Intervento di CarloB »

Supercazzola sospetto sia una citazione da Amici miei, di Monicelli, e fa parte di uno sproloquio di Ugo Tognazzi volto a confondere e prendere per i fondelli uno sprovveduto interlocutore attraverso un accumulo di parole senza senso. A meno che non sia vero l'inverso. Chi precede, Lorenzaccio o Amici miei? E a meno che il vocabolo non circolasse anche prima tra i giovani e in ambienti goliardici.

Quanto al testo di Bene, che non discuto come regista teatrale e attore (oltre a Nostra Signora dei Turchi, su cui concordo con Jonathan, ricordo che mi piacque molto un adattamento del Riccardo III), dal punto di vista storico è un vaniloquio puro e semplice, senza discussione. Dal punto di vista linguistico è così volutamente involuto che suscita curiosità. Ma presto stucca. Volontà di stupire, di apparire mooolto intelligente (come ha osservato Marco) e mooolto profondo. Mah… Forse sono troppo duro, e non vorrei.
Jonathan
Interventi: 228
Iscritto in data: sab, 10 ott 2009 22:43
Località: Almaty

Intervento di Jonathan »

Non so se la parola supercazzola esistesse già all'uscita di Amici miei, ma mi è sempre piaciuta, per la sua vivacità ed efficacia. Fra l'altro, dubito che esista un termine con lo stesso significato nella nostra lingua. Mi sbaglio?

Riguardo a Carmelo Bene, mi viene in mente una frase da lui tanto amata e citata, di non ricordo quale autore, il significato della quale mi è stato oscuro per anni; una di quelle frasi "profondissime" che poi alla fine non si capisce mai cosa voglian davvero dire: Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può. Del genio ho sempre avuto la mancanza di talento. Che sia stato vittima pure lui di una supercazzola? :D
CarloB
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Iscritto in data: mar, 01 feb 2005 18:23

Intervento di CarloB »

Però bisognerebbe sapere che cosa vuol dire supercazzola. Io non lo so. :D
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Mi rassicura, caro Carlo: pensavo di essere l’unico a non conoscerla. :D

Ho trovato questo. :)

Ovviamente non andava bene l’antico nonsenso e si dovette ricorrere al modernissimo nonsense. :?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
CarloB
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Iscritto in data: mar, 01 feb 2005 18:23

Intervento di CarloB »

Mai avrei pensato di trovare supercàzzola in Wikipedia!
Oggi vi ho cercato invano notizie biografiche di alcuni degnissimi studiosi. Non ci sono. Ma c'è supercàzzola.
Grazie della segnalazione, caro Marco.
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