I fiori dell’ulivo

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u merlu rucà
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I fiori dell’ulivo

Intervento di u merlu rucà »

Solo recentemente ho scoperto che i fiori dell'ulivo raggruppati in infiorescenze a grappolo, in italiano, si chiamano mignole. Non essendo certo un frequente argomento di conversazione, se non con agricoltori, per l'uso 'locale' ho sempre impiegato il termine dialettale (ligure del ponente) pane. Sarei curioso di sapere come vengono chiamati in altre regioni.
Daphnókomos
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Re: I fiori dell’ulivo

Intervento di Daphnókomos »

In Umbria si chiamano marzi; in Calabria catanàci; rapue o rusete (a seconda dei casi) nella Liguria orientale; bàhuli nell'area pisana; in Valdichiana, nel viterbese, e anche in Corsica, un altro nome di questa infiorescenza è trama, alcune varianti del quale sono tramma e tràmula in Corsica, tràmula e tràmura nella Sardegna settentrionale; tecchia è il nome abruzzese; zàgara quello siciliano, come il fiore dell'arancio e del limone. In dialetto istrioto, la mignola si dice cadèla.
Ligure
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Re: I fiori dell’ulivo

Intervento di Ligure »

Daphnókomos ha scritto: ven, 31 gen 2020 15:33 In Umbria si chiamano marzi; in Calabria catanàci; rapue o rusete (a seconda dei casi) nella Liguria orientale; bàhuli nell'area pisana; in Valdichiana, nel viterbese, e anche in Corsica, un altro nome di questa infiorescenza è trama, alcune varianti del quale sono tramma e tràmula in Corsica, tràmula e tràmura nella Sardegna settentrionale; tecchia è il nome abruzzese; zàgara quello siciliano, come il fiore dell'arancio e del limone. In dialetto istrioto, la mignola si dice cadèla.
Solo una precisazione. Probabilmente il titolo del lessico dal quale sono state tratte le voci liguri - I dialetti della Liguria orientale odierna: la Val Graveglia - non risulta tra i più felici. Forse, inizialmente, il vocabolario avrebbe dovuto far parte di una collana dedicata alla Liguria orientale. Di fatto, si limita alla val Graveglia. Un territorio molto limitato. Non molto lontano da Chiavari. Ovviamente, sotto l'aspetto linguistico non esiste - e non può esistere - alcuna "Liguria orientale". Le parlate di tipo genovese, sulla costa, giungono fin quasi a Levanto, poi compaiono i dialetti delle Cinque terre, successivamente quelli di tipo spezzino e, infine, quelli di tipo lunigianese ... Nell'interno ci sono le parlate di tipo arcaico della val Trebbia, della val d'Aveto e della val Taro, che sconfinano in territorio amministrativamente emiliano ... L'uniformità linguistica non è mai esistita.

Il dialetto della val Graveglia è, sostanzialmente, di tipo genovese. Le differenze rispetto a Chiavari e al capoluogo non sono di tipo strutturale. Quindi, ammette geminate fonetiche di derivazione etimologica diretta. Ma il "bello" consiste nel fatto che anche il Plomteux - il lessicografo - riteneva che, all'opposto, andasse evidenziata la quantità vocalica. L'ho chiarito molte molte e cercherò di essere breve. Sarebbe come decidere di scrivere - relativamente alla lingua italiana - "fāto" e "făto" anziché "fato" e "fatto". Ma il "bello" non finisce qui. Intervenne un ulteriore vero e proprio "colpo di genio". Perché avvalersi di due segni diacritici antitetici? Risulta sufficiente segnalare soltanto la quantità lunga. Per esclusione i fonemi vocalici accentati non denotati da alcun diacritico vanno intesi brevi! Che genialità! Che facilitazione e immediatezza di acquisizione per l'italiano medio che osasse consultare i lessici di un linguaggio così arcano!

Il quale, in realtà, possiede soltanto un'effettiva differenza rispetto alla lingua italiana. Che consiste nel fatto che la sillaba finale aperta può essere sia breve quanto lunga. Mentre ciò non risulta possibile in italiano, che non ammette, infatti, una variazione di quantità vocalica fonologicamente contrastiva in questa posizione. Mentre in tutte le altre occorrenze anche il dialetto della Graveglia risulta vincolato dall'isocronismo sillabico.

Quindi, in realtà, "rapue" e "rusette" sono termini specifici della val Graveglia - non di tutta la regione ligure orientale - e valgono - non essendo denotati dal "macron" - "răpue" e "rusĕte".

Pertanto, le voci della Graveglia - almeno, per chi non abbia un rapporto così "conflittuale" coll'unica grafia che davvero gl'italiani possiedono (cioè quella della lingua italiana!) - risultano essere "rappue"/'rappwe/ - le mignole in fiore - e "rusette" /ru'sette/ - quelle che cascano dai rami -.

Il termine "rappue"/'rappwe/ potrebbe derivare da "rappu" /'rappu/ = grappolo - o "răpu" (molto più "esclusivo" a motivo della sua totale incomprensibilità per l'italiano e il ligure medio, ben poco abituati a trarre qualche indicazione direttamente operativa dalla quantità dei fonemi vocalici) -.

Per "rusette" /ru'sette/ - o "rusĕte" (almeno, così si desume meno agevolmente l'effettiva geminazione fonetica!) - il lessicografo fa riferimento al colore rosso. Anche se completamente di color rosso non le ho mai viste.

P.S.: per chi volesse sincerarsi direttamente inserisco le pronunce di ciò che il Plomteux avrebbe scritto "gatu".
Senza "macron", quindi "gătu". Cioè "gattu".

Relativamente alla Liguria orientale le geminate etimologiche si sentono a partire dal capoluogo fino a Levanto, Cassana. Il territorio spezzino è, invece, in condizioni "venete", non "genovesi".

Ma le geminate si percepiscono anche a ovest, a Noli, a Borgomaro. Altre località non sono riportate:
https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 37&lang=de

P.P.S.: Quindi, geminate - senz'altro a livello fonetico (a livello fonologico si può anche discuterne) - esistono anche a nord (in tutti i dialetti di tipo genovese, ma anche in altri della Liguria) della famosa isoglossa che si può riscontrare riprodotta o citata in tanti testi e manuali di linguistica:

https://it.wikipedia.org/wiki/Linea_Massa-Senigallia

Certamente, come in italiano “fato” /'fa:to/ e “fatto” /'fat:to/ costituiscono coppia subminima - la quantità vocalica, pur non avendo valore fonologico, risulta, per altro, diversa - nei dialetti di tipo genovese battu /'battu/ = batto si oppone a bâtu /'ba:tu/ = baratto (da /ba'ŕattu/>/ba'attu/>/'ba:tu/). Ma, nel caso dei dialetti liguri, gli studiosi assumono quale valore fonologico distintivo quello costituito dalla quantità vocalica. Da qui sorse l'idea di ricorrere ai diacritici utilizzati, ad es., nei lessici della lingua latina e scrivere “bătu” in contrapposizione con “bātu”. Ma, come risulta evidente nel caso di battu /'battu/ - del tutto conforme a quella che è stata l'evoluzione storica della lingua italiana -, non esiste - né è mai esistito - alcun fonema vocalico inerentemente breve in questa voce - battu /'battu/ -. Esattamente come in italiano l'a non ha potuto subire l'allungamento caratteristico delle sillabe aperte - come direbbe il Loporcaro - semplicemente a motivo della geminazione consonantica successiva. E' la durata consonantica successiva che ha posto un limite alla variabilità della quantità vocalica precedente.
Daphnókomos
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Re: I fiori dell’ulivo

Intervento di Daphnókomos »

Grazie della precisazione. :D
Ligure
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Re: I fiori dell’ulivo

Intervento di Ligure »

Per quanto io abbia effettivamente usato il termine "precisazione", ovviamente non era rivolto a lei.

Mi sono permesso di avvalermi dello spunto lessicale per segnalare - a chi possa essere interessato - le notevoli difficoltà insite nella consultazione di un banale prontuario dialettale della Liguria. Se si vuole davvero conoscere come una voce venga effettivamente pronunciata.

A motivo di tutte le "convenzioni" adottate - perfettamente "controintuitive" in un contesto di lingua e di cultura italiana - e la "ritrosia" a fornire trascrizioni adeguate - di tipo fonologico o fonetico - che ne illustrino chiaramente le relative caratteristiche. Accettate, invece, in altri contesti.

Data anche la notevole variabilità fonetica - e fonologica - facilmente riscontrabile nell'ambito regionale.

Mentre ci si focalizza semplicemente - se non esclusivamente - sulla variabilità lessicale. Ma soltanto perché scarseggiano la comprensione e le competenze occorrenti. Mentre distinguere due parole diverse richiede soltanto capacità attentiva. :)
Daphnókomos
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Re: I fiori dell’ulivo

Intervento di Daphnókomos »

Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano:
FIORI DE L'OLIVO, Mignoli.
BÒCOLI DEI OLIVÈRI, Mignoli, Le bocciuoline degli ulivi.
Mignolo, Bocoleto o Buto dei oliveri.
Gasparo Patriarchi, Vocabolario veneziano e padovano co' termini e modi corrispondenti toscani:
Fior de olivaro. Mignolo, bocciolina dell'olivo.
Bocoli dei olivari. Mignoli, le boccioline degli ulivi. Migna quantità di bocce.
Giuseppe Banfi, Vocabolario milanese-italiano:
Alla voce «Fior» ha scritto:[Fior] di oliv, Mignola, Mignolo, e per lo più al pl. Mignole, Mignoli: le bocciole che gli ulivi mandano fuori in sul fiorire, come in tanti grappoletti, i quali portano fiori monopetali, divisi in quattro parti, ed hanno due stami e due pistilli
Alla voce «Butt» ha scritto:[Butt] di oliv, Mignolo
Alla voce «Oliva» ha scritto:Butt o Fior di oliv, Mignola — Cascià fœura o Fiorì i oliv, Mignolare — Tanti butt d'oliv, Migna
Alla voce «Gemma» ha scritto:[Gemma] di oliv, Migna o Mignola.
Sergio Aprosio, Vocabolario ligure storico-bibliografico. Sec. X-XX (parte II: Volgare e dialetto, vol. II: M-X):
zermina sf. “infiorescenza dell’olivo
ADP, VPL (Pietra).
pannu sm. “infiorescenza dell’olivo
DVA (VArr.).
D pana.
pana sf. “infiorescenza biancastra dell’olivo
ROC 150 (Civezza). ADL (Vent.) pl. pane.
D impanise. pannu.
ràpua sf. “gemma dell’olivo
GO. PVG.
ruseta sf. “boccia dell’olivo in fiore
PVG.
D russu.
para sf. “bocciolo dell’olivo
MP 20.19 (Pigna) (per lo più al plur. pare) < parare “ornare” REW 6224).
Gennaro Finamore, Vocabolario dell'uso abruzzese:
Técchie, Mìgnola. Ved. Attécchie
Attécchie, Mignola = Mignolatura = [Técchie].
Mìgnola, e anco “Migna„ e “Mìgnoli„, m. pl., Attécchie
Luciano Antonellis, Dizionario dialettale cerignolano etimologico e fraseologico:
scèrmete s.f. (lat. ex+gemma) Fiore e gemma di ulivo.
gemma di ulivo Scèrmete.
Giacomo Saracino, Lessico dialettale bitontino:
SCÈRMETE (masc.), quante piante di grano si prendono con una mano nel mietere: Mannello, Manipolo. - (femm.), fioritura dell’ulivo: Mìgnola.
Giustiniano Gorgoni, Vocabolario agronomico con la scelta di voci di arti e mestieri attinenti all'agricoltura e col raffronto delle parole e dei modi di dire del dialetto della provincia di Lecce:
Migna e Mignola. Quantità di mignoli o grappolini delle boccioline che costituiscono la fioritura dell’ulivo.
Mignolatura, Mignolare. Il mettere fuori che fa l’olivo le boccioline le quali restano chiuse tre settimane o da vantaggio, ed allorché aprono dicesi che l’albero sia fiorito. Laonde il fiorire siegue il mignolare.
Mignolo. La bocciolina del fiore dell’olivo.
In Toscana dicesi imbroccatura, imbroccare, mettere i brocchi nel significato di mignolare. Pare che questi vocaboli toscani siano tratti dalla simiglianza che hanno le bocciole degli ulivi con i brocchi o chiodini.

Il dialetto leccese non ha un vocabolo proprio che esprima questo stato dell’ulivo: le migne chiama rappe, ed il mignolare fioritura e fiorire.
Roberto Sottile e Massimo Genchi, Lessico della cultura dialettale delle Madonie. 2. Voci di saggio:
grappa f. (Poll), grappu (Gra), rappa (Poli, Csll, Alim, Bomp, Sop, Sott, Gan, Ger, Smau), rrappa (Scla, Calt, Scill, Coll, Cef, Isn, Cast, Smau, Poll) ◙ grappolo d’uva. anche (Gra) grappu di rracina, (Calt, Sott, Gan, Ger) rappê racina, (Isn, Cast) rrappê rracina, rapp’i racina (Calt). 2. (Cef, Sott, Cast, Smau, Poll) mignola dell’ulivo.
źźàara f. (Isn, Sott, Cast), źźàgara (Scla, Calt, Scill, Coll, Cef, Gra, Isn, Poli, Csll, Alim, Bomp, Sop, Sott, Gan, Ger), źźàghira (Calt), źźàira (Smau) ◙ mignola dell’ulivo.
Antoninu Rubattu, Dizionario universale della lingua di Sardegna. Italiano-sardo-italiano antico e moderno (vol. II: M-Z) (qui il vol. I: A-L):
mìgnola sf. [olive-blossom, fleurs pl., brote del olivo, Olivenblütenstand] tràmula (crs. trámula) (L), càmula, prannuca (N), arramadura (C), tràmura (S), tràmulu m., tràmula (G)
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