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Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

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Carnby
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Intervento di Carnby »

Scilens ha scritto:Per la verità una delle città etrusche più grandi mai ritrovate è a Gonfienti, vicino a Prato. Si parla di una cinquantina d'ettari, ma non si sa dove arrivi
Ero rimasto al fatto che tracce genetiche etrusche si trovano più frequentemente tra Siena e Grosseto (Murlo in particolare) e che c'erano stanziamenti liguri in Toscana nordoccidentale (fino alla piana di Lucca).
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caixine
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Intervento di caixine »

Scilens
è un gusto parlare di lingua umana con lei; non si trovano facilmente studiosi e appassionati con la sua apertura e la sua profondità.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
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Scilens
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Intervento di Scilens »

Caixine, Lei è un adulatore, aspetti di conoscermi meglio :)

I primi Latini erano descritti come piccoli e scuri ed erano un popolo abbastanza omogeneo, ma per gli etruschi è diverso.
Come si può notare dagli affreschi e pitture tombali non si può parlare di un "tipo" anatomico etrusco, essendoci una grandissima varietà di biondi, mori, alti e bassi in più o meno tutte le classi sociali. Di conseguenza la ricerca genetica, che certo può dare importantissimi contributi alla conoscenza dei popoli antichi, va mantenuta entro i propri limiti, che sono piuttosto stretti, a partire dai campioni rappresentati, che obbligatoriamente in questo caso sono di piccole dimensioni.
Quella etrusca è una cultura, relativamente indipendente dalla genetica, il cui arco temporale si estende, in Toscana, dalla fine del Bronzo fino al IV secolo dC, almeno come lingua parlata. In altre zone la cultura etrusca termina prima confondendosi con altre, ma qui c'interessa la Toscana.
Tra la fine dell'impero ed il basso medioevo, la parte occidentale della Toscana, già in forte crisi demografica dovuta al mercenariato, alla malaria e, in piccola parte anche all'avvento del cristianesimo, si spopola quasi completamente mentre si susseguono le ondate degli eserciti che attraversano la penisola. Fuori dalle vie di maggior traffico, prevalentemente costiere, le comunità continuano a sopravvivere, con l'agricoltura e piccoli commerci locali. I maggiori scambi culturali e linguistici tornano ad essere rappresentati, come un tempo molto più antico, dalle transumanze. Il latino, o quel che ne resta, è commisto alla lingua antica che progressivamente viene sempre più diluita fino ad essere quasi del tutto abbandonata anche nell'uso domestico. Isidoro di Siviglia dice che il Tusco è un latino molto arcaico. Anzi, secondo lui il latino deriva dal Tusco.
Con i Longobardi e l'organizzazione ecclesiastica una nuova stabilità favorisce gli scambi, migliorano le condizioni di vita per la diminuzione delle carestie ed è possibile viaggiare sia a nord che a sud quasi senza espatriare. Con Carlo Magno sia i viaggiatori del nord che del sud trovano comprensibile il latino di Toscana, che molto probabilmente è italiano quasi fatto, ma non è documentato a causa del rilancio carolingio del latino. Bisogna varcare le soglie del 1000 per trovare il primo volgare tradotto talmente male in latino da non essere neppure più un "latinorum".

e con questo i ciri sono spariti oltre l'orizzonte
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

La Teoria della Continuità a cui spesso fa riferimento Caixine è la variante estrema, quella di Alinei. Esistono però anche delle varianti più moderate, per esempio la Teoria della Continuità debole, che accetta la presenza di indoeuropei già dal paleolitico, ma non l'ipotesi che le attuali lingue o dialetti neo-latini in realtà non derivino dal latino ma da lingue affini. Io trovo quest'ultima decisamente più ragionevole. Del resto stiamo vivendo un fenomeno simile alla latinizzazione anche oggi, con l'italiano che lentamente, ma inesorabilmente, sta eliminando le altre parlate. Capisco che per idee autonomiste/indipendentiste, sia molto più gradita l'ipotesi estrema, ma qui entriamo nel campo della politica e non della linguistica.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Scilens ha scritto:Quella etrusca è una cultura, relativamente indipendente dalla genetica, il cui arco temporale si estende, in Toscana, dalla fine del Bronzo fino al IV secolo dC, almeno come lingua parlata.
Siamo finiti un po' fuori argomento ma la discussione è comunque interessante. Vorrei chiederle dove ha trovato l'ipotesi della sussistenza dell'etrusco fino ad età relativamente tarda come il IV sec. d.C., io ritenevo che si arrivasse al II.
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Scilens
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Intervento di Scilens »

E noi eviteremo la passione politica e ci atterremo solo alla ricerca della migliore comprensione a noi possibile.

I risultati di ricerche genetiche tenderebbero a far pensare che la popolazione europea si sia rimescolata, ma che complessivamente sia sempre la stessa.
Sul piano linguistico non immagino come si possa risalire così indietro nel tempo. Gli studi sugli idronimi, pur essendo controversi, sembrerebbero, secondo i più, appartenere ad un'epoca 'non indoeuropea'. La controversia consiste anche nel fatto che l'indoeuropeo ricostruito si basa soprattutto sugli 'strati' più recenti, proprio per carenza o assenza di testimonianze più antiche, che potrebbero anche non rientrare nello schema metodologico utilizzato e di conseguenza non essere adeguatamente riconosciute.
L'archeologia d'altra parte mostra flussi di popoli da oriente, sia via terra che via mare e farebbe anche pensare a navigazioni preistoriche anteriori al Rame.

Come sempre le domande sono più numerose delle risposte
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Scilens
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Intervento di Scilens »

u merlu rucà ha scritto:
Scilens ha scritto:Quella etrusca è una cultura, relativamente indipendente dalla genetica, il cui arco temporale si estende, in Toscana, dalla fine del Bronzo fino al IV secolo dC, almeno come lingua parlata.
Siamo finiti un po' fuori argomento ma la discussione è comunque interessante. Vorrei chiederle dove ha trovato l'ipotesi della sussistenza dell'etrusco fino ad età relativamente tarda come il IV sec. d.C., io ritenevo che si arrivasse al II.
Traggo le informazioni da Giovanni Lido, e dall'episodio degli aruspici che si offrono al vescovo di Roma di attrarre i fulmini sulle truppe visigote che stanno per attaccare la città, come avevano fatto qualche tempo prima a Narni. Ci sarebbe anche un libro di Torelli, che non ho sotto mano, ma tutto è sintetizzato da F.Villar, 'Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa' (trad. ital. Bologna 2008, Il Mulino, a pag. 494 Scrive: "...la lingua etrusca continuò ad essere parlata per molti secoli, forse fino al IV secolo d.C."

La religione etrusca, chiamata 'vecchia religione' è stata tramandata fino al 1800 (dC) e studiata da un viaggiatore inglese, ma se vuole dei riferimenti più precisi dovrei cercarli
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caixine
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Intervento di caixine »

u merlu rucà ha scritto:La Teoria della Continuità a cui spesso fa riferimento Caixine è la variante estrema, quella di Alinei. Esistono però anche delle varianti più moderate, per esempio la Teoria della Continuità debole, che accetta la presenza di indoeuropei già dal paleolitico, ma non l'ipotesi che le attuali lingue o dialetti neo-latini in realtà non derivino dal latino ma da lingue affini. Io trovo quest'ultima decisamente più ragionevole. Del resto stiamo vivendo un fenomeno simile alla latinizzazione anche oggi, con l'italiano che lentamente, ma inesorabilmente, sta eliminando le altre parlate. Capisco che per idee autonomiste/indipendentiste, sia molto più gradita l'ipotesi estrema, ma qui entriamo nel campo della politica e non della linguistica.
Caro u merlu rucà

il suo intervento contiene alcune imprecisioni;
in terra veneta dove vi è stata una italianizzazione linguistica forzata e coloniale di massa, ancora oggi oltre il 70% delle genti venete parlano le loro varianti linguistiche venete; e la lingua veneta nelle sue incantevoli varianti sta rimontando grazie all'amorevole dedizione di tanti veneti che la stanno riscoprendo come un patrimonio bellissimo, fondamentale, vitale e imprescindibile.

L'ideologia unitaria dello stato italiano con la sua retorica nazionalista ha fatto danni immensi e ha riempito di idiozie e di falsita i testi scolastici e universitari.

Io sarò anche un indipendentista veneto però ho il massimo rispetto dei fatti e delle cose vere che non piego di certo a "correzioni e falsificazioni ideologiche": quello che è il reale apporto dei latini, dei romani e del latino io non ho alcun motivo di negarlo, come per li apporti degli etruschi, dei celti, dei germani, degli slavi e di altri, ho la massima creanza per la verità storica e per i fatti e non ho alcun rispetto per le menzogne e per chi pratica forme di meta-socio-etno-razzismo.

Per quanto riguarda la derivazione delle lingue dette volgari o romanze o neolatine dal latino non c'è bisogno della Teoria della Continuità (che caso mai aiuta a capire meglio) basta semplicemente applicare un pò di buon senso, la logica e il ragionamento fuori da ogni ambito dogmatico.

Per non disturbare questo filone, sarebbe forse il caso di aprire da qualche parte una discussione apposita, sempre che l'amministrazione di Cruscate non abbia timore di affrontare questo "scabroso tema" in vetrina e alla luce del sole.

Mi pare che anche l'indoeuropeista Francesco Villar, che di venetico non sapeva quasi nulla (ho un suo libro prorio qua davanti), si sta orientando verso la Teoria della Continuità elaborata da Mario Alinei.
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Alberto Pento
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Personalmente non avrei nessun problema a discutere sulla Teoria della Continuità in chiave linguistica. Se ne è già parlato, in verità, qua e là, in diversi filoni, ma in maniera poco organica. Per quanto riguarda Villar, in effetti, mi è stato riferito da amici di ambienti universitari che pare si sia 'convertito' alla Continuità, ma non saprei se alle tesi estreme o a quelle 'deboli'.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Scilens ha scritto:
u merlu rucà ha scritto:
Scilens ha scritto:Quella etrusca è una cultura, relativamente indipendente dalla genetica, il cui arco temporale si estende, in Toscana, dalla fine del Bronzo fino al IV secolo dC, almeno come lingua parlata.
Siamo finiti un po' fuori argomento ma la discussione è comunque interessante. Vorrei chiederle dove ha trovato l'ipotesi della sussistenza dell'etrusco fino ad età relativamente tarda come il IV sec. d.C., io ritenevo che si arrivasse al II.
Traggo le informazioni da Giovanni Lido, e dall'episodio degli aruspici che si offrono al vescovo di Roma di attrarre i fulmini sulle truppe visigote che stanno per attaccare la città, come avevano fatto qualche tempo prima a Narni. Ci sarebbe anche un libro di Torelli, che non ho sotto mano, ma tutto è sintetizzato da F.Villar, 'Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa' (trad. ital. Bologna 2008, Il Mulino, a pag. 494 Scrive: "...la lingua etrusca continuò ad essere parlata per molti secoli, forse fino al IV secolo d.C."

La religione etrusca, chiamata 'vecchia religione' è stata tramandata fino al 1800 (dC) e studiata da un viaggiatore inglese, ma se vuole dei riferimenti più precisi dovrei cercarli
Ipotizzare la sopravvivenza, anche prolungata nel tempo, delle parlate preromane, non è di per sé strana, se pensiamo che i dialetti 'italiani' sono ancora vivi dopo 150 anni dall'unità dell'Italia, in un'epoca in cui i mezzi di informazione e di comunicazione sono cresciuti in maniera esponenziale, e non sono neanche lontanamente paragonabili a quelli dell'epoca romana.
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caixine
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Intervento di caixine »

u merlu rucà ha scritto:Personalmente non avrei nessun problema a discutere sulla Teoria della Continuità in chiave linguistica. Se ne è già parlato, in verità, qua e là, in diversi filoni, ma in maniera poco organica. Per quanto riguarda Villar, in effetti, mi è stato riferito da amici di ambienti universitari che pare si sia 'convertito' alla Continuità, ma non saprei se alle tesi estreme o a quelle 'deboli'.
La Teoria della Continuità è una soltanto con le sue due ipotesi:
lunga che data le specificità linguistiche attuali come aventi radici già nell'Africa pre migrazione del Sapiens Sapiens;
corta che data le specificità linguistiche attuali come aventi radici nel Paleolitico dopo la migrazione in Eurasia del Sapiens Sapiens.

La Teoria della Continuità debole non esiste se non come ipotesi di anacquamento o negazione della Teoria della Continuità stessa elaborata da chi vorrebbe neutralizzare la portata radicale della Teoria della Continuità del glottologo Mario Alinei: fondatore dell'Atlante Linguistico Europeo, opera benemerita e fondamentale promossa dalla UE.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Caro Pento,

le chiacchiere stanno a zero, e anche gli aggettivi qualificativi. Se ha voglia di discutere di Teoria della Continuità – senza insulti, copincolla chilometrici e divagazioni pseudo-politiche – apra un suo filone o si riallacci a quelli già aperti, magari rispondendo alla sezione Critiche che ho scritto sulla pagina di Wikipedia. Ma eviti di continuare a intasare questo filone.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data dom, 11 nov 2012 11:49, modificato 1 volta in totale.
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u merlu rucà
Moderatore «Dialetti»
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Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41

Intervento di u merlu rucà »

caixine ha scritto:La Teoria della Continuità è una soltanto con le sue due ipotesi:
lunga che data le specificità linguistiche attuali come aventi radici già nell'Africa pre migrazione del Sapiens Sapiens;
corta che data le specificità linguistiche attuali come aventi radici nel Paleolitico dopo la migrazione in Eurasia del Sapiens Sapiens.

La Teoria della Continuità debole non esiste se non come ipotesi di anacquamento o negazione della Teoria della Continuità stessa elaborata da chi vorrebbe neutralizzare la portata radicale della Teoria della Continuità del glottologo Mario Alinei: fondatore dell'Atlante Linguistico Europeo, opera benemerita e fondamentale promossa dalla UE.
Non si può partire dal presupposto che la teoria di Alinei sia la Bibbia.
E' un'ipotesi che può anche essere contraddetta o modificata.
PaDaSu
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Iscritto in data: sab, 14 lug 2012 10:45
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Re: [xTSC] «Ciro»

Intervento di PaDaSu »

I vari argomenti sollevati sono estremamente interessanti (teoria della continuità, indoeuropeo, popolamento dell'Etruria, lingua etrusca etc..) ma caso mai dovrebbero essere discussi, poiché in qualche modo attinenti alla lingua italiana, in filoni dedicati.

Chiedo quindi scusa se torno all'oggetto stesso di questo filone. Provo quindi a riassumere.
Il termine "ciro" indicante il maiale è presente (secondo quanto dice Carnby) a Montelupo e nel contado empolese.
Scilens lo riporta a Lucca e dintorni.
Chi scrive non è riuscito a trovarla né nel dialetto chianaiolo (aretino: riva destra del Clanis) né in quello chianino (senese: riva sinistra). Il che non significa che il DEI abbia torto: è possibile che la mia limitata ricerca non sia riuscita a trovare le giuste informazioni.
Come il fatto che a Pisa e dintorni il termine sia sconosciuto.

Le poche certezze che abbiamo sono quelle sui luoghi dove la presenza è accertata.
A mio parere è da qui che dobbiamo ripartire.
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

A Pistoia, zona Montagnana e zona Valdibure, non ne sanno nulla.
Secondo me bisogna cercare verso Volterra.
La mia parlata non è lucchese, è più vicina al pistoiese con influssi lucchesi

Sugli altri argomenti aspetto una discussione apposita, stamattina ho avuto da fare, mi s'è allagata l'ex stalla.
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