[LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

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Purtroppo non so niente.
Largu de farina e strentu de brenu.
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cambrilenc ha scritto:C’è (c’era) palatalizzazione di -CT- anche nelle isole linguistiche di Biot, Vallauris, Mons e Escragnolles, ma immagino sia difficile sapere se nel fare così conservavano un tratto arcaico oppure subivano influenza provenzale.
Non mi ero azzardato a fare ipotesi, ma vedo che Fiorenzo Toso, nel suo recentissimo "Le parlate liguri della Provenza. Il dialetto figun tra storia e memoria" 2014, attribuisce l'esito attuale ad una conservazione dell'esito presente nei dialetti di provenienza delle colonie liguri in Provenza. La zona di provenienza dei suddetti dialetti è compresa tra l'attuale Imperia e Albenga. Attualmente, nell'imperiese l'esito -ʧ- non è presente, mentre lo è nell'albenganese. Vi sono, però, dei fossili a Pontedassio, appena sopra Imperia, che ne testimoniano la presenza nel passato (dri'ʧuŋ "furbacchione", re'skøʧa "ricotta"). Ho avuto l'opportunità di verificare che lo stesso esito esiste ancora nel dialetto di Fanghetto, frazione di Olivetta San Michele: 'laʧe "latte", 'tryʧa "trota". A questo punto mi sembra difficile sostenere che si tratti semplicemente di un influsso piemontese e non di un esito comune, poi regredito.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di Ligure »

Nel "lontano" 2015 non m'ero accorto che era stato inviato un ulteriore messaggio. La posizione tradizionale degli studiosi di dialettologia ligure, che riconfermo proprio alla luce dell'ulteriore messaggio sfuggitomi all'epoca, è che l'esito ligure di [-kt-] sia [-it-] e che l'esito - di gran lunga minoritario - [-ʧ-] sia dovuto a influssi non liguri.

Ad es., dalle voci latine "factu(m)" ['faktu] e "lacte(m)" ['lakte] s'ebbero "faitu" ['faitu] e "laite" ['laite], conservatesi in alcuni dialetti, mentre a Genova - e nei dialetti di tipo genovese - la pronuncia dei dittonghi così formatisi "si chiuse" in "e". Dando origine, rispettivamente, a "fætu" ['fɛ:tu] e a "læte" ['lɛ:te]. L'isoglossa riguarda anche la lingua francese, in cui tuttora si scrive "fait" ['fɛ] e "lait" ['lɛ] e in cui, come a Genova, la pronuncia dei dittonghi s'è da tempo chiusa. Il francese, inoltre, "ha perduto" - nel corso della sua evoluzione linguistica specifica - il timbro vocalico finale e il fonema consonantico [-t], divenuto, a sua volta, finale di parola, non si pronuncia più.

Ho così sinteticamente riassunto la questione in modo da evitare - a chi non risulti particolarmente interessato - la lettura dell'intero filone.

Quanto il prof. Toso ipotizza non penso possa assolutamente spostare il peso degli argomenti. Le "isole linguistiche" liguri in Provenza sono state - male e tardivamente - documentate quand'erano, verso la fine dell'Ottocento, già prossime al declino. Risulta, quindi, ragionevole ipotizzare che, in esse, l'esito [-ʧ-] - come molti altri - sia dovuto a influenza del contesto provenzale dominante. Si potrebbe opinare diversamente, se esistessero documenti antichi, ma non mi risulta e, allora, il buon senso relativo all'ipotesi più ragionevole e "parsimoniosa" vale per tutti, anche per gli studiosi, sia che essi intendano seguirlo o meno. Un documento potrebbe far mutare d'avviso, ma un'opinione - per quanto "dotta", ma priva di documentazione - vale assolutamente ben poco contro il buon senso.

Ma veniamo a esaminare adeguatamente i dati di Olivetta riferiti. I dati di Olivetta, come tutti i dati del mondo, vanno interpretati. E, se interpretati correttamente, ci dicono esattamente il contrario di quanto si tenderebbe a far dire loro nel messaggio precedente. E' lo stesso farmacista defunto Emilio Azaretti che, in un suo contributo sulla parlata di Olivetta, scrive come sottotitolo "Un dialetto di transizione fra area ligure e occitanica: Olivetta San Michele" e, a pag. 116, scrive letteralmente che l'esito - a Olivetta - di [-kt-] è [-ʧ-]. Regolarmente, non in "reliquie lessicali" isolate. E, a riprova, cita una mezza paginetta di voci dialettali in cui si riscontra l'esito citato, tra cui "lač" ['laʧ], non ['laʧe] come scritto nel precedente messaggio, = latte", "truča" ['truʧa] - non ['tryʧa] - = trota et al..

Già un esito quale "lač" ['laʧ] - privo del fonema vocalico finale - avrebbe dovuto far comprendere che non può trattarsi di un'evoluzione linguistica propriamente ligure. Nei dialetti propriamente liguri, in situazioni come questa, la vocale finale permane, come mostrato anche all'inizio di questo messaggio:
"laite" ['laite] o, dopo la "chiusura" del dittongo, "læte" ['lɛ:te]. Ma sempre con la vocale finale conservata!

Quindi - e qui non vi possono essere dubbi, data la regolarità dell'esito - si tratta d'influsso strutturale chiaramente dovuto al contesto linguistico provenzale come lo stesso Azaretti riconosce essere caratteristica costitutiva di questa parlata ligure così eccentrica - siamo al confine -.

La prova addotta va assolutamente a favore della tesi che le si sarebbe voluto far controbattere - se onestamente esaminata - !!!

Proprio come nei telefilm americani. Il testimone invocato dall'accusa diventa uno dei testi più importanti a favore della difesa - o inversamente, se si preferisce -!

Se l'influenza strutturale del provenzale è tale a Olivetta - ma l'esito non schiettamente ligure di [-ʧ-] (anziché [-it-]) si riscontra pure nelle vicine Saorgio/Saorge, Breglio/Breil, Tenda/Tende e Fontan (tutte di dialetto ligure, se pure, attualmente, nell'ambito dei confini nazionali francesi) - sempre per influsso del provenzale, è ovvio che le antiche "isole linguistiche" liguri della Provenza, situate ancora più a occidente rispetto alle località sopra menzionate, debbano averlo avuto - sono, ormai, tutte estinte da più di un secolo - sempre per influenza provenzale, come già il solo buon senso avrebbe indotto a postulare.

Del tutto indipendentemente dalle località di possibile origine dei coloni, che non si conoscono con certezza.

Quindi, anche le antiche "isole linguistiche" liguri della Provenza confermano l'eterogeneità dell'esito [-ʧ-], insieme con Saorgio/Saorge, Breglio/Breil, Tenda/Tende e Fontan, non quanto solo ipotizza il prof. Toso. Le ipotesi, infatti, possono unicamente essere confermate o disconfermate - come in questo caso - dai dati concretamente rilevati sul territorio oggetto dell'indagine linguistica.

Negli altri punti della Liguria - più a oriente rispetto a quelli analizzati - in cui sono stati effettivamente rilevati esiti in [-ʧ-], anziché [-it-], si riconferma - in base al buon senso, che dovrebbe sempre guidare, e a una ragionevolissima "parsimoniosità esplicativa" - che questi esiti sono dovuti a influssi delle parlate piemontesi. Cito due soli esempi a conferma - anche perché l'ipotesi che l'esito [-ʧ-]<[-kt-] possa rappresentare uno sviluppo autoctono, in fondo, non meriterebbe neppure tanto inchiostro per poter essere confutata -.

Di due sole località liguri: Erli e Giustenice.

In esse a "latte" corrisponde "lacce". Benissimo. Ma, se si sostiene che "lacce" sia sviluppo autoctono e non dovuto a influsso piemontese, si dovrebbe poter dimostrare che anche le rispettive voci locali per "acqua" - "aiva" ed "eiva" - possano rappresentare un'evoluzione autoctona - infatti il termine ligure è "aigua" ['aigwa], mentre il termine piemontese risulta "eva" -. Ma ciò è indimostrabile - neppure Belzebù, principe della falsità logica, vi riuscirebbe -. Se la voce piemontese "eva" - per quanto pronunciata in questi punti geografici "aiva" o "eiva" - giunge fino alle località menzionate - e su questo non si possono formulare obiezioni (neppure Belzebù oserebbe, perché l'esito autoctono risulterebbe, indubbiamente, "aigua", non certamente "eva"!!!) - non si capisce perché mai "lacce" non potrebbe - come, in effetti, è - costituire un prestito dal piemontese - mentre lo sviluppo ligure è, invece, "laite" -.

Secondo l'ipotesi - per altro, erronea - che intenderebbe contrastare la posizione tradizionale, occorrerebbe ragionare in modo, evidentemente, assurdo. Occorrerebbe ritenere che, per quanto riguarda la voce "acqua", sì, il termine locale vada ritenuto indubitabilmente piemontese, ma non per quanto concerne la voce "latte" !!!
Occorrerebbe ammettere, assurdamente, che l'esito corrispondente a "latte" - "lacce" - non possa essere piemontese!!! Occorrerebbe ritenerlo autoctono !!!

Ma così non è, "lacce" è chiaramente di provenienza e influsso piemontese !!! Le voci schiettamente liguri derivano dalla forma "laite" !!! Questi non sono ragionamenti ...

Nelle altre località liguri in cui si può ricontrare l'esito [-ʧ-] la situazione è analoga e l'ipotesi che [-ʧ-]<[-kt-] possa risultare un'evoluzione di tipo autonomamente ligure risulta destituita di fondamento, di logica e di buon senso oltre a non potersi fondare su alcun tipo di documentazione antica. Rimane, quindi, valida solamente l'ipotesi tradizionale in base alla quale l'esito evolutivo genuinamente ligure di [-kt-] risulta essere [-it-]. Non si può contestare una teoria - nel rispetto di un paradigma di tipo scientifico - in assenza di prove "sensatamente valide".

P.S.: l'incongruenza riscontrabile nel tentativo di confutazione dell'ipotesi tradizionale - per altro, corretta - consiste anche nel fatto che non riesce a tenere conto del fatto che [-ʧ-], a seconda delle località, dipende da influssi di parlate limitrofe diverse. Provenzali nel caso delle antiche "isole linguistiche" liguri di Provenza, così come a Olivetta, Saorge, Breil, Fontan e Tenda - esattamente come si deduce dalla posizione geografica di queste località -, piemontesi negli altri punti liguri situati più a oriente.

Va, inoltre, osservato che [-ʧ-] è dovuto alle parlate piemontesi di confine con la Liguria, perché l'idioma piemontese, nell'ambito del suo territorio tradizionale di estensione linguistica, conosce anche l'esito [-it-].
Infatti, Torino, ad es., per "fatto" e "latte" ha, rispettivamente, gli esiti "fait" ['fait] e "lait" ['lait], geneticamente non poi tanto dissimili dal genovese arcaico in quanto tuttora dittongati, se pure, da tempo, privi del fonema vocalico finale di parola.

P.P.S.: similmente il piemontese "eva" si originò a partire dallo stesso identico esito evolutivo arcaico del ligure, cioè "aigua" ['aigwa]. Dal momento che, in piemontese, risulta precluso [-g-] intervocalico, che si "dilegua", s'ebbe la transizione evolutiva ['aigwa]>['aiwa]>['aiva]>['ɛ:va]. Tutto qui. Evidentemente, le località liguri di Erli e Giustenice, che hanno, rispettivamente, le forme piemontesi "aiva" e "eiva" le assunsero in epoca precedente alla chiusura del dittongo piemontese o da varietà piemontesi "di confine" mantenutesi particolarmente arcaiche e ancora caratterizzate da dittongo all'epoca del prestito interdialettale. Infatti, nei dialetti settentrionali si partì dall'etimo latino aqua(m) ['a:kwa] e non si verificò la geminazione anetimologica presente nel fiorentino - e nell'italiano -, ['ak/kwa]. Dovuta alla sillabazione ['ak/wa]>['ak/kwa]. Esattamente come in "habui" ['abwi] sillabato ['ab/wi]>['ab/bwi], da cui l'anetimologico "ebbi". Il fiorentino veicolò nella lingua nazionale un'infinità di forme verbali e lessicali caratterizzate da geminazione consonantica anetimologica dovute al confine di sillaba con [w] e [j] quali, ad es., "tenni" da ['tɛn/wi]>['tɛn/nwi]>['tenni], "seppi" da ['sap/wi]>['sap/pwi]>['sɛppi], "figlio" da ['fil/jo]>['fil/ljo]>['fiʎʎo], "vigna" dalla transizione evolutiva rappresentabile come ['vinea]>['vinja]>['vin/ja]>['vin/nja]>['viɲɲa] et c. . L'ipotesi sarebbe, infatti, che a una sillabazione considerabile come "innaturale" - ad es., ['vin/ja] - sia seguito, come "strategia terapeutica" del contatto sillabico, l'esito geminato ['vin/nja], da cui, in questo caso, ['viɲɲa].
cambrilenc
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Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di cambrilenc »

Dopo questo prezioso contributo di Ligure, non potevo non ritornare brevemente qui per dire: bravissimo :)

Comunque: se

"Va, inoltre, osservato che [-ʧ-] è dovuto alle parlate piemontesi di confine con la Liguria, perché l'idioma piemontese, nell'ambito del suo territorio tradizionale di estensione linguistica, conosce anche l'esito [-it-]."

non si potrebbe quindi ipotizzare l´esistenza di un´amfizona -e anche per Olivetta ecc-, dove non si può parlare d´influsso piemontese sul ligure -ne ligure sul piemontese- bensì di sviluppi condivisi? Così come è condivisa, ad esempio, la caduta della T intervocalica (tra Arpitano, piemontes, occitano alpino..)

(eh si, lo so: l´ipotesi tradizionale continua ad essere probabilmente la più economica, e il mio contributo non è servito a niente... ma colgo l´occasione per salutare gli amici di questo filone)
Ligure
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Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di Ligure »

cambrilenc ha scritto: lun, 02 dic 2019 17:06 Dopo questo prezioso contributo di Ligure, non potevo non ritornare brevemente qui per dire: bravissimo :)

Comunque: se

"Va, inoltre, osservato che [-ʧ-] è dovuto alle parlate piemontesi di confine con la Liguria, perché l'idioma piemontese, nell'ambito del suo territorio tradizionale di estensione linguistica, conosce anche l'esito [-it-]."

non si potrebbe quindi ipotizzare l´esistenza di un´amfizona -e anche per Olivetta ecc-, dove non si può parlare d´influsso piemontese sul ligure -ne ligure sul piemontese- bensì di sviluppi condivisi? Così come è condivisa, ad esempio, la caduta della T intervocalica (tra Arpitano, piemontes, occitano alpino..)

(eh si, lo so: l´ipotesi tradizionale continua ad essere probabilmente la più economica, e il mio contributo non è servito a niente... ma colgo l´occasione per salutare gli amici di questo filone)
La ringrazio del gradito apprezzamento e mi consentirò di pensare, per qualche momento, che non sia esclusivamente dovuto alla sua cortesia personale ...

Normalmente il concetto d'anfizona ( n! :wink: ) è ritenuto più descrittivo che esplicativo: in un territorio si parla una varietà, diciamo C, che ha m tratti classificatori condivisi colla varietà A ed n colla varietà B, entrambe limitrofe. Ma qui l'ipotesi che è stata contestata riguardava, comunque, "occorrenze" sporadicamente emergenti in un territorio che, per altro, l'ipotesi riconosceva quale ligure: Infatti, alcune delle località prese in considerazione non si trovano in vere e proprie "anfizone" - cioè non condividono tratti costitutivi importanti con varietà dialettali di tipo piemontese -, ma la banalità della realtà si riduce a prestiti dal piemontese, diffusi in un territorio assai più ampio di quello che, secondo la definizione, potrebbe rappresentare un'anfizona e che, per corrispondere davvero al concetto di anfizona, dovrebbe essere un territorio d'immediato confine e non, banalmente, di "potenziale esposizione all'influenza o al prestito" che, come si capisce bene, può essere assai più ampio.

Un solo esempio: il genovese presenta prestiti dall'arabo e dal greco, ma non può costituire alcuna anfizona coi rispettivi territori né - in quanto derivato dal latino - può condividere alcun tratto costitutivo colle lingue citate.

Un altro esempio, che costituisce un ulteriore controesempio in merito all'erronea ipotesi formulata dal prof. Forner. Fino a non molti anni fa nel Centro di Genova si usavano le voci veciűa [ve'ʧy:a] = nolo di merci trasportate a terra (letteralmente, "vettura") e vinnacê [ˌvinna'ʧe:] = vinaio, vinattiere e gli antichi lessici le riportano. Per Genova l'esito [-it-] risulta attestato fin da epoche remote e [-ʧ-] in luogo di [-it-] non si sviluppò mai perché la documentazione scritta esiste e risulta consultabile. Inoltre, Genova non può costituire, per quanto precedentemente chiarito, alcuna anfizona con nessun dialetto piemontese - per la stessa situazione geografica -. Ergo, si tratta, banalissimamente, di prestiti dal dialetto piemontese presenti nel tessuto urbano stesso della città, dove operavano grossisti piemontesi che recapitavano in città - anche per l'esportazione - quantità ingenti di vino, condotte fino ai loro magazzini, situati a Genova, attraverso percorsi di terra, la cui veciűa, ovviamente, incideva sul prezzo finale del prodotto posto in commercio.

Infatti, a Genova [-kt-] etimologico non fornì mai [-ʧ-], bensì [-it-] e l'ulteriore controesempio addotto contribuisce a dimostrare - ove ve ne fosse bisogno, perché, secondo la logica e il buon senso, ne basterebbe uno soltanto - che l'illazione formulata dal prof. Forner contraddice la realtà storica oggettiva dell'evoluzione linguistica locale degli etimi di origine latina.

P.S.: se verifica quanto è stato scritto in precedenza, relativamente a Olivetta l'Azaretti ha ipotizzato un influsso costitutivo di tipo provenzale, non piemontese. Volendo, si potrebbe ipotizzare [-ʧ-] per influsso tanto piemontese quanto provenzale per Tenda, Breil e Saorge, perché lì si trovano geograficamente ...

Ma, in concreto, cambierebbe ben poco.

In realtà, la linguistica richiede - oltre alla competenza - intuito e capacità di non andare contro il buon senso per ciò che sembra il gusto di avvalersi di illazioni mirabolanti a scapito della solidità - e, spesso, della banale veridicità - delle prove che occorre saper produrre.

Briga, invece, "si sottrae" all'anfizona e ha l'esito pienamente ligure [-it-]. Ma si tratta di varietà dialettali poco e male studiate. In totale declino dovuto, da quella parte del confine, anche a una francesizzazione pressoché totale. Ormai, tralasciate dagli studiosi italiani. Breil e Saorge passarono alla Francia nel 1860 - Trattato di Torino -, mentre Briga e Tenda - anche a seguito di referendum proposto alle popolazioni locali - furono cedute alla Francia nel 1947 mediante il Trattato di Parigi a conclusione della II guerra mondiale.

Anche prima della storia recente, la val Roia rappresentava, comunque, il confine nei confronti delle parlate di tipo provenzale. Ma ciò - bene o male (nel senso che gli svarioni non mancano) - è illustrato nella bibliografia citata in questo filone.

P.P.S.: come già accennato, sotto l'aspetto dell'evoluzione articolatoria dei fonemi, l'esito [-ʧ-] risulta secondario rispetto a [-it-], dal momento che esso implica palatalizzazione, che può solo essere realizzata a seguito di metatesi: [-VitV-]>[-VtiV-]>[-VtjV-]>[-VcV-]>[-Vʧ(V)-] - ove V indica vocale -. Tutti gli studiosi che si sono occupati della Romania occidentale concordano con quanto esposto - del resto, molto evidente - e, tra i contrasti esistenti tra castigliano e portoghese - leche ['leʧe]/leite ['lɛite] = latte - (come pure tra francese e provenzale - lait ['lɛ]/lach ['laʧ] = latte -) - in entrambi i casi la grafia "ch" implica [-ʧ-] - ritengono seriori, rispettivamente, le forme castigliane e provenzali, data l'incontestabile evidenza dovuta alla produzione dei fonemi, se pure non credo che, ad es., risulti attestato un esito in [-it-] per il castigliano.

Anche questa costituisce una fondamentale riprova a favore della corretta tesi sostenuta contro le argomentazioni del prof. Forner. Anche perché condividendo, sostanzialmente, i liguri la struttura dell'apparato fonatorio, almeno, con gli altri neolatini della Romania occidentale, non si capisce perché debba sempre venire fuori qualcuno a sostenere che in Liguria le cose sarebbero andate diversamente, mentre si tratta degli stessi identici processi fonatori, che hanno dato origine alle stesse isoglosse, ampiamente sviscerate da studi plurisecolari da parte della comunità degli studiosi che si sono occupati di questi fenomeni nell'ambito delle lingue derivate dal latino ...
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u merlu rucà
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Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di u merlu rucà »

Ligure ha scritto: mar, 26 nov 2019 20:18 E, a riprova, cita una mezza paginetta di voci dialettali in cui si riscontra l'esito citato, tra cui "lač" ['laʧ], non ['laʧe] come scritto nel precedente messaggio, = latte", "truča" ['truʧa] - non ['tryʧa] - = trota et al..
Infatti nel messaggio precedente ho detto che sono forme del dialetto di Fanghetto non di Olivetta.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di Ligure »

u merlu rucà ha scritto: mar, 17 dic 2019 19:20
Ligure ha scritto: mar, 26 nov 2019 20:18 E, a riprova, cita una mezza paginetta di voci dialettali in cui si riscontra l'esito citato, tra cui "lač" ['laʧ], non ['laʧe] come scritto nel precedente messaggio, = latte", "truča" ['truʧa] - non ['tryʧa] - = trota et al..
Infatti nel messaggio precedente ho detto che sono forme del dialetto di Fanghetto non di Olivetta.
Mi trovo ad avvertire l'esigenza di premettere, doverosamente, che la "precisazione" fornita non scalfisce minimamente la validità - ovvia e scontata - di tutte le considerazioni che ho elaborato negli interventi precedenti in quanto del tutto irrilevante in merito alle motivazioni in essi analizzate.

Ciò detto, se mi è lecito, mi viene fatto d'osservare che - così - si rimane, comunque, sempre in un ambito definibile dal paradigma contraddistinto dall'attitudine a "jurare in verba magistri" (talora, anche "maestri" non proprio impeccabili), dal momento che né lei né io - non essendo nativi - possiamo avere una conoscenza diretta della parlata del luogo. Inoltre, tenuto conto del fatto che, anche in base a quanto scrisse l'Azaretti stesso e altri autori, dato lo stato d'abbandono del dialetto locale, lo scarsissimo numero d'informatori reperibili e le scarse competenze che ne caratterizzavano non pochi, già durante gli anni '80 dello scorso secolo, era prevedibile a breve la scomparsa del dialetto stesso.

Come immediata conseguenza di tutto ciò le forme linguistiche raccolte erano più il risultato della memoria (buona o meno) dell'informatore locale - di cui occorreva, inevitabilmente, "accontentarsi" - che non un dato effettivamente vivo e oggettivamente riscontrabile, non esistendo più una vera e propria "comunità di parlanti" (in assenza della quale anche il concetto stesso di dialetto locale andava posto in discussione perché ci si trovava - piuttosto - in presenza di ricordi personali di persone che, nella vita quotidiana, non si avvalevano già più di quella determinata variante linguistica supposta un tempo esistente).

La certezza di un dato linguistico, che ne rappresenta la relativa attendibilità, non possiede un suggello metafisico, ma proviene dalla sua possibile "ripetibilità", unica forma accettabile di validità in un ambito scientifico di tipo sperimentale. Ma è proprio la strutturale disgregazione dell'ambiente sociale e umano dei luoghi a rendere praticamente impossibile perseguire e ottenere una sufficiente ripetibilità e adeguata discriminazione dei dati fino al punto di rischiare di rendere "velleitaria" qualsiasi ricerca di precisazione in un contesto linguistico tanto degradato.

I locali, poveri, inoltre, ci mettono del loro, sostenendo tesi campate in aria come la loro presunta "occitanità" pur di spillare quattro soldi - a fondo perduto - dagli organi competenti senza dover fornire nessuna effettiva
rendicontazione. Come se l'accomodamento di un acquedotto montano o l'organizzazione di una festa folcloristica non potessero comparire nei resoconti dell'esercizio finanziario con le rispettive - ed effettive - motivazioni di spesa!

In rete, nel collegamento seguente, si può trovare un cenno di quanto ho affermato, anche se - subito sotto - riporto direttamente il relativo paragrafo per chi non intenda leggere tutto l'articolo:

https://it.wikipedia.org/wiki/Olivetta_San_Michele

Lingue e dialetti

"Nonostante la varietà linguistica tradizionalmente praticata dalla popolazione sia il ligure roiasco, per l'intero territorio comunale (unico caso in Liguria) è stata formalmente dichiarata l'appartenenza alla minoranza linguistica storica occitana[11], con la conseguente possibilità di accedere ai finanziamenti previsti dalla L.N. 482/1999[12]. Tale episodio è stato aspramente criticato dai più accreditati esponenti della comunità scientifica[13], che non hanno esitato a mettere in luce gli interessi meramente economici dietro ad un caso del genere[14] (che, in ambito ligure, riguarda anche Realdo e Verdeggia, frazioni di Triora)".

Risulta evidente - sotto l'aspetto psicologico prima ancora che culturale e linguistico - che la predisposizione a sorvolare/mistificare rispetto al piano di realtà (non oso parlare di falso perché non spetta a noi) inquina pesantemente quella che potrebbe essere ricercata come residua validità in un panorama linguistico e umano così disgregato e deteriorato. Quale concreto significato potrebbero mai assumere eventuali precisazioni in un ambito tale?
Ligure
Interventi: 402
Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Re: [xLIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di Ligure »

cambrilenc ha scritto: mer, 21 gen 2015 17:34 Non so se ci sara qualcuno per leggere ulteriori interventi... ma io ci provo:

un esito non pan-ligure ma quasi, e che mi pare interessante è quello del nesso -tr-. Il passo a -ei- viene di solito considerato specifico occitano, ma lo si troba anche nel ponente ligure, e secondo G. Petracco è alla base del esito genovese:

il contado di Ventimiglia conserva compatto le forme payre e mayre, e queste sono anche alla base delle forme genovesi pwé e mwé (payre > *pwayre > *pwaye > pwé)che risultano largamente diffuse in Liguria

http://provence-historique.mmsh.univ-ai ... -HS_02.pdf
Per quanto l'utente citato non partecipi più da tempo in modo attivo al foro, dato che il filone è stato denotato come "importante", prendo spunto a beneficio di tutti - gl'interessati, ovviamente :wink: - per emendarlo dagli errori più grossolani.

Mai dovuti agli utenti, ma agli autori che sono stati citati a riferimento. In questo caso la prof. Petracco Sicardi cui è dovuto il contributo riportato e, in particolare, la transizione evolutiva, quasi totalmente erronea, che consentirebbe di giungere alle attuali forme genovesi muæ /'mwɛ:/ e puæ /'pwɛ:/ per "madre" e "padre".

Delle quali s'è trattato in dettaglio nei messaggi relativi a questi esiti inserendo anche la registrazione della relativa pronuncia.

Anche quale evidenza che esistono tuttora parlate settentrionali che hanno - da tempo (nel dialetto genovese con generalità a partire dai primi anni dell'800) - ridotto allo zero fonico l'esito vernacolare di /-tr-/ etimologico.

Va notato che, nel messaggio dell'utente, evidentemente, -ei- rappresenta un banale refuso, dal momento che l'autrice scrive -yr-. Che vale, sostanzialmente, -ir-. Non mi soffermo sull'insana passione - quasi "perversione" - degli autori mirata a complicare - del tutto inutilmente e senza costrutto - tutto quanto si riferisca alla vocale i presente nei "dittonghi discendenti", denotandola mediante le modalità grafiche più astruse. Andrebbe, inoltre, tenuto anche conto che la fonologia e la pronuncia dei cosiddetti "dittonghi discendenti" non corrisponde, per altro, in genovese, a quella della lingua italiana.

Ma questo non è l'argomento - per altro, non del tutto banale - che intendo sviluppare in questo messaggio.

Occorre, inoltre, osservare che la grafia delle due voci - scelta dalla Petracco, non dall'utente - e, cioè, mwę' per /'mwɛ:/ e puę' per /'pwɛ:/ appare particolarmente infelice in quanto il simbolo ę' può certamente rappresentare un timbro vocalico accentato e aperto, ma la quantità (in questo caso, lunga), che è fonologicamente contrastiva in genovese, non risulta indicata.

La transizione evolutiva proposta dalla Petracco dà per scontati molti fatti relativi allo sviluppo a partire dalla forma etimologica e possiamo, quindi, adeguarci a quest'impostazione.

La voce paiŕe /'paiŕe/ risulta attestata, ma pwaiŕe e pwaie risultano voci di pura fantasia, le quali non sono mai esistite né nel genovese né in nessun'altra varietà linguistica ligure - per lo meno nel significato di "padre" - !

Perché? E' pur vero che l'inserzione di /w/ anetimologico - dopo, ad es., - /m/o /p/ - è un fatto attestato nel genovese urbano - sebbene, ormai, scomparso - e attualmente riscontrabile - sia pure in modo assai sporadico - esclusivamente in parlate della provincia, dove, comunque, si tende a evitarlo quale "tratto segnalatore di rusticità". All'epoca, inoltre, questo fenomeno linguistico - sorto nel socioletto popolare - aveva "invaso" anche il socioletto borghese e quello aristocratico urbani, ma - relativamente frequente davanti a /e, ɛ/ - non risultò mai - né risulta ora pur nelle sue sporadiche occorrenze extraurbane - possibile davanti ad /a/.

Quindi, pwaiŕe e pwaie non sono mai esistiti in quanto inammissibili nel sistema linguistico genovese al quale s'intenderebbe, invece, riferirli.

Inoltre, questi esiti errati veicolano un'altra significativa incongruenza.

Infatti, dall'ordine con cui furono inseriti nella pseudo-transizione evolutiva sembrerebbe di poter desumere che, in genovese, la riduzione allo zero fonico di /-ŕ-/ preceda la "chiusura" dei dittonghi. Ma questa è una castroneria ancora peggiore della prima. Generalmente, le grafie dell'epoca attestano la chiusura dei dittonghi nell'ambito del sec. XV, mentre per la generalizzazione della riduzione allo zero fonico di /-ŕ-/ occorre attendere le grafie ottocentesche. Quindi, un periodo temporale di diversi secoli, ma non nella direzione - erratamente! - presupposta dall'autrice.

Dall'esito pwaie - /'pwa:je/, se fosse esistito/ - non si sarebbe mai giunti a puæ /'pwɛ:/ in quanto si tratta di un esito "stabile" - in genovese -, non suscettibile d'ulteriori evoluzioni nel corso della storia linguistica. Infatti, in genovese, gli "pseudodittonghi" formati da /j, w/ seguiti da vocale risultano sempre lunghi e non andarono soggetti a modificazioni, come, invece, avvenne per dittonghi quale, ad es., /ai/>/ɛ:/.

Chiaramente anche l'autrice, se si fosse assoggettata alla "piccola fatica" di verificare le forme storicamente attestate senza avvalersi di un momento d'estro creativo - ma infondato! e che denota mancata conoscenza dei fenomeni più rilevanti dell'evoluzione linguistica del genovese e della loro distribuzione lungo l'asse diacronico - avrebbe potuto evitare tanti errori e fornire, semplicemente, la rappresentazione adeguata di una transizione evolutiva (per altro, molto semplice nell'ambito della linguistica genovese).

La quale, doverosamente emendata, risulta: /paiŕe/>/'pɛ:ŕe/>/'pwɛ:ŕe/>/'pwɛ:e/>/'pwɛ:/. E /'pwɛ:e/>/'pwɛ:/ semplicemente perché la contrastività della quantità vocalica - in genovese - risulta dicotomica (breve/lunga). Non vengono distinte eventuali vocali extra-lunghe, che, se dovute ai fenomeni dell'evoluzione linguistica locale, vengono ricondotte alla categoria (fonologica e fonetica) delle "lunghe" e - come tali - pronunciate.

Infatti, il dittongo si chiuse - e l'esito pæŕe /'pɛ:ŕe/ risulta attestato - prima che potesse avvenire l'inserimento di /w/ e ben tre/quattro secoli prima che la riduzione allo zero fonico di /-ŕ-/ potesse ritenersi generalizzata per tutti i parlanti.

L'esito puæŕe /'pwɛ:ŕe/ - e non il fantomatico pwaie/pwaje /'pwa:je/ - fu quello storicamente documentato e ancora utilizzato nelle famiglie nobili urbane nel corso dell'Ottocento. Le quali, non reputando più opportuno avvalersi del proprio socioletto a seguito degli "sconvolgimenti" sociali arrecati in città dalla Rivoluzione francese e dal crollo del loro predominio politico, non s'assoggettarono mai all'uso della voce - borghese e popolare - puæ /'pwɛ:/ (avendo rifiutato i rispettivi socioletti), ma passarono direttamente al solo uso della lingua italiana per rimarcare - se non più un'esplicita preminenza politica - almeno la superiorità - ancora preservata - della specifica condizione sociale.

P.S.: ovviamente, anche il simbolo grafico premesso dall'autrice - e reso dall'utente citato mediante asterisco - alle forme *pwayre > *pwaye ha ben poco senso. Non tanto perché non si tratta - in effetti - di "esiti ricostruiti" quanto di "fantasie", ma perché, se si parte da una forma già attestata nei testi - a maggior ragione se antichi - quale paiŕe /'paiŕe/, non si comprende davvero l'esigenza di elucubrare "ricostruzioni" per gli sviluppi posteriori. Infatti, in epoche successive risulterà ancora più agevole poter riscontrare gli esiti assunti dalla voce in quanto direttamente desumibili - attendibilmente e non "fantasiosamente" - dalla documentazione pervenuta.
Ligure
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Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di Ligure »

Nel messaggio precedente avevo riferito - forse, un po' apoditticamente - che, in genovese, l'originale plebeismo - poi, accolto anche dal socioletto aristocratico urbano - consistente nell'inserzione di /w/ dopo /m,p/ prima di vocale accentata non poteva, tuttavia, verificarsi davanti ad /a/.

E che, di conseguenza, le voci pwaiŕe - e il suo ipotizzato sviluppo pwaie - elaborate "fantasiosamente" dalla prof. Petracco Sicardi non sono mai esistite.

Certo, ho dimostrato - in quanto attestata nel socioletto aristocratico - la presenza della voce puæŕe /'pwɛ:ŕe/ = padre (o, analogamente, muæŕe /'mwɛ:ŕe/ = madre), da cui provengono gli attuali esiti puæ /'pwɛ:/ = padre e muæ /'mwɛ:/ = madre), ma - scientificamente - non ho dimostrato l'impossibilità di /w/ prima di /a/.

Nulla di più facile.

Nel socioletto aristocratico del tempo - come tuttora -, "mare" e "male" valevano, comunque, * /'ma:/. Ma i loro rispettivi - e tra loro identici - plurali erano muæ /'mwɛ:/ = mari, mali. Certamente il plurale derivava da una forma precedentemente dittongata. Ma il fatto che il rispettivo singolare /'ma:/ non abbia mai accettato /w/ prova - ineludibilmente - l'assunto.

All'epoca - cioè quando ancora gli aristocratici pronunciavano puæŕe /'pwɛ:ŕe/ = padre e muæŕe /'mwɛ:ŕe/ = madre - la voce muæ /'mwɛ:/ - oltre a valere per "mali/mari" - significava pure "mai", ma, a partire dalla metà del '700, si rafforzò sempre più la presenza dell'italianismo mâi /'ma:i/. Unico termine attualmente disponibile.

Infatti, muæ /'mwɛ:/ per "mai" - troppo lontano dal modello rappresentato dalla lingua italiana - venne avvertito come inaccettabile.

P.S.: altri esempi che confermano l'assunto dimostrato sono, ad es., man /'maŋ/ - muen /'mweŋ/ = mano - mani (per quanto, ormai, si dica man anche al plur. - per non ricorrere a un esito troppo lontano dall'italiano -) o
pan /'paŋ/ - puen /'pweŋ/ = pane - pani. Prima di /a/ l'approssimante anetimologico/w/ non si sviluppa.


* Infatti, in genovese, sia /-l-/ quanto /-r-/ confluirono in /-ŕ-/ e le vocali finali diverse da /-a/ caddero dopo /-ŕ-/. Quindi, da mare (e analogamente da mari, male e mali) s'ebbe /'ma:re/>/'ma:-ŕe/>/'ma:-ŕ/>/'ma:/. Ma,
a questo stadio dell'evoluzione linguistica storica, il singolare e il plurale coincidevano. Si rimediò aggiungendo un'i al plurale e s'ottenne, così, /'ma:i/>/'mɛ:/ - all'epoca della chiusura dei dittonghi - >/'mwɛ:/, cioè muæ = mali/mari quando s'accettò il relativo plebeismo anetimologico, che lasciò, invece, indenne il singolare - /'ma:/ = male/mare. Al contrario puæŕe /'pwɛ:ŕe/ = padre e muæŕe /'mwɛ:ŕe/ = madre conservarono l'e del sing. e l'i del plur. perché il fenomeno del dileguo delle vocali finali diverse da /-a/ cessò di essere vitale quand'ancora queste voci non possedevano una semplice /-ŕ-/ in corpo di parola, ma ancora un nesso consonantico diverso - /-dr-/>/-ðr-/. Situazione che non consentì la riduzione allo zero fonico del timbro vocalico finale di parola. Ormai, fusosi con la precedente vocale lunga: /'mwɛ:ŕe/>/'mwɛ:e/>/'mwɛ:/.
Ligure
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Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di Ligure »

Dal momento che il filone riscontra ancora un numero significativo di accessi, ho ritenuto opportuno apportare alcune osservazioni/correzioni - anche a seguito di segnalazioni che ho ricevuto -. Se mi riuscirà possibile intervenire
ancora, procederò con gradualità, affrontando un paio di punti per volta.

Ritengo che la globale imprecisione nella trascrizione delle voci locali sia dovuta alle grafie impiegate nei testi da cui sono stati tratti i vocaboli, in quanto in essi non è stata seguita alcuna metodologia scientifica - né fonologica né fonetica - oltre a non essere stata dedicata attenzione neppure alla palese incoerenza delle trascrizioni stesse.

Ma ciò è un problema noto che affligge la dialettologia ligure e che ho più volte segnalato, mentre, in questi interventi, non potrò che limitarmi a esprimere le osservazioni maggiormente evidenti al riguardo.
u merlu rucà ha scritto: lun, 24 feb 2014 20:58 Alcuni tratti nell'evoluzione fonetica dei dialetti liguri. Ve ne sono altri, ma questi sono i più caratteristici.

1) Esito di Ū lunga latina.
In quasi tutta la Liguria l’esito di Ū è [ü]: vent. lüxe, spez.. lüṡe “luce” <LUCE>; in alcune località, tra cui Pigna (IM), la sua frazione Buggio e Fontanigorda (GE), vi è un’ulteriore evoluzione da ü > i, ad es.: pign. miřa, fontanig. mira “mula”.
Si conserva invece la [u] soltanto ad est della Spezia: vezz. mulo, fumo.
Evidentemente, [ü] vale [y]. Per altro, non si può, in generale, non riconoscere l'arbitrio che regna sovrano nelle fonti relativamente, ad es., alla resa grafica delle consonanti geminate, mentre, ovviamente, sarebbe solo una trascrizione fonetica esatta delle voci appartenenti alle diverse varietà dialettali a consentire di potersi rendere conto della pronuncia effettiva. L'uso della sola trascrizione fonologica - // -, che tiene esclusivamente conto del fatto che - nei dialetti liguri - è stato convenuto che sia la quantità vocalica - e non la durata consonantica (diversamente rispetto alla lingua italiana) - ad avere valore contrastivo, non può fornire - di per sé - l'informazione relativa a come si pronunci davvero una determinata parola in uno specifico dialetto ligure.

Il lettore dovrebbe, ad es., sapere che, nei dialetti di tipo genovese, a vocale breve accentata segue sempre consonante geminata, ma che così non vale dappertutto.

Dovrebbe conoscere il fatto che lo spezzino urbano non possiede distinzione né di quantità vocalica né di durata consonantica (e, in questo caso, quindi, la differenza tra trascrizione fonetica e fonologica non potrebbe avere alcun senso).

Insomma, la trascrizione fonologica risulta, solitamente, un comodo alibi per gli studiosi che non conoscono o che non capiscono ciò di cui stanno trattando.

Per non doverlo ammettere!

Per altro, gli studiosi, i lettori e i parlanti sono tutti italiani e possiedono tutti i principi della grafia italiana in cui, ad es., una sillaba aperta accentata implica pronuncia non geminata della consonante successiva che, in questo caso, appartiene alla sillaba seguente. Intendo dire che per un italiano - anche ligure, certamente! - risulta assai più chiaro - leggendo "libbru" o ['libbru], grafia e trascrizione che indicano chiaramente la geminazione fonetica e implicano pronuncia ben diversa da quella italiana di "libro" ['li:bro] - farsi un'idea esatta della pronuncia della voce locale corrispondente a "libro" anziché avvalersi della trascrizione fonologica /'lĭbru/ - unicamente basata sulla contrastività tra brevità e lunghezza vocalica e teoricamente distinta (ma in modo meno esplicito per chi sia abituato alla grafia italiana) rispetto alla trascrizione /'libro/(pur sempre fonologica) -. La trascrizione /'libro/, infatti, rimanda a ['li:bro] - sillaba accentata aperta perché la consonante immediatamente postaccentuale risulta non geminata -,
mentre /'lĭbru/- pur presentando un solo fonema /b/intenderebbe rimandare a ['libbru] - cioè a una sillaba accentata chiusa in quanto seguita da consonante (sia pure anetimologicamente) geminata -.

Più infelice ancora risulta la grafia "lĭbru" - che pure capita di leggere - dal momento che:

1) le grafie di tipo italiano - storicamente e strutturalmente - non prevedono l'indicazione di diacritici usati per denotare la quantità vocalica;

2) nei dialetti di tipo genovese, ad es., una scrizione quale "lĭbru" più che inconsistente risulta contraddittoria. Infatti la segnalazione di consonante semplice - non geminata - nelle grafie di tipo italiano implica "lunghezza" della vocale precedente - certo, si tratta di un tratto non contrastivo in italiano, ma ciò non implica che un aspetto non esista soltanto perché è stato ritenuto allofonico! -, mentre il diacritico che indica brevità vocalica segnalerebbe esattamente l'opposto!

Per altro, il tipo di grafia esaminato risulta ancor più particolarmente infelice se a tutto quanto esposto s'aggiunge, inoltre, il fatto di dimenticarsi d'indicare il segno che denota la brevità della vocale ... :wink:

Si può, inoltre, osservare che, per quanto concerne la Spezia, è vero che lo spezzino "tradizionale" prevedeva /y/, ma, ormai, gli ultimi dialettofoni rimasti in città - per influsso delle parlate di tipo lunigianese, che non sempre possiedono il fonema /y/ - pronunciano, normalmente, /u/. E non più il fonema /y/!
u merlu rucà ha scritto: lun, 24 feb 2014 20:58 2) Palatalizzazione di -CT-
Quasi tutte le parlate liguri presentano il passaggio da -ct- latino a -jt- tipico dei dialetti galloitalici dell’Italia settentrionale, fenomeno spiegato spesso con il sostrato celtico e comune al francese: apric., baiard. carp., badal. nöjte “notte” < NOCTE, vall., vent., sanr., apric., sold., lajte “latte” < LACTE (nei dialetti intemeli il dittongo è sempre conservato dopo a, e, e in parte dopo ö, ü, mentre la [j] viene generalmente assorbita dopo ü e i: vent., vall. frütu “frutto” < FRUCTU; fritu “fritto” < FRICTU). In alcuni dialetti della fascia montana che va dall’Ingauna interna all’Oltregiogo savonese si ha, invece, la palatalizzazione in /č/ʧ/ castelv., calizz., sass., nöce, erli, giust. nöcce < NOCTE; castelv. láce, Erli, giust., calizz. lacce < LACTE come in molti dialetti lombardi e piemontesi. Viene da chiedersi quale sia stato l’esito originario ligure, dato che la palatalizzazione ʧ non è presente solo nella zona interna della provincia di Savona, dove vi sono forti influssi piemontesi, ma anche in paesi decisamente liguri. Nel piemontese stesso, l’esito –jt- sembra più recente. Nella Liguria orientale dalla linea Sesta Godano- Levanto l’esito è simile a quello toscano (-T- < -TT-: fato”fatto”). L’isoglossa è valida analogamente per gli esiti di -GD- che regolarmente vedono in quasi tutti i dialetti liguri fino a Levanto la vocalizzazione della G analoga a quella della C del gruppo CT [jd]: vall., sanr., pietr., sav., gen., arenz., ecc. frejdu; “freddo” < FRIGIDU, mentre nell’Oltregiogo abbiamo sass., rossigl. freǧu e nell’estremità orientale lev., sp. fredu, fredo.
L'argomento evidenziato è già stato ampiamente trattato e chiarito in altri messaggi di questo filone, mentre è troppo ovvio che - indipendentemente dal fatto che si tratti del piemontese o di una qualsiasi altra favella - l'esito [ʧ] non può che risultare successivo - nel tempo - rispetto a [it], presupponendo, necessariamente, una metatesi da [it]>[ti]>[tj] ed è soltanto da questo esito che si poté ottenere [ʧ].

Per quanto riguarda la Liguria orientale, è vero che - a differenza di Genova (['fɛ:tu]) e della Liguria occidentale (['faitu]) - s'ebbe assimilazione come in toscano/fiorentino, ma non è affatto vero che la degeminazione si sia generalizzata. Essa, infatti, può essere riscontrata solo nei veri e propri dialetti spezzini, non in tutti quelli della provincia della Spezia. Lo spezzino urbano si trova, oggigiorno, nella stessa situazione dei dialetti veneti e non ha più "sensibilità differenziale" per la quantità vocalica né per la durata consonantica e, in esso, si pronuncia ['fato] e ['fredo]. Cioè "fato", "fredo". Ma questa grafia non va già più bene per Levanto dove ancora si dice ['fattu] e ['freddu]. Cioè "fattu" e "freddu". Non certamente "fredu" ! Similmente a come si pronuncia ancora a Rovegno, località appenninica della provincia di Genova, dove si dice ['fattu] e ['frɛddu] - con assimilazione e conservazione della geminazione dovuta all'assimilazione evolutiva (come nel toscano) -, nonostante gli esiti del capoluogo siano, invece, rispettivamente, ['fɛ:tu] e ['freidu].

Chi vuole sincerarsene direttamente basta individui sulla cartina del Vivaio acustico i punti dell’inchiesta effettuata dagli studiosi tedeschi:

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 13&lang=de

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 29&lang=de

Cose analoghe si possono scrivere per "detto". Che è "dettu" ['dettu] a Levanto e "deto" ['deto] alla Spezia. Mentre a Rovegno si ha "ittu" ['ittu] in quanto [-d-] sottoposta a lenizione in fonosintassi raggiunse lo zero fonico: [... 'a-d-'i ...]>[... 'a-ð-'i ...]>[... 'a-0-'i ...]. Cioè [... 'a'i ...]. Genova, invece, ha conservato "dîtu" ['di:tu]. Infatti, da ['diktu] s'ebbe ['diitu]([-kt-] dette [-it-])>['di:tu].

I tedeschi - nella loro trascrizione - evidentemente sbagliarono a non segnare la geminata per Rovegno, come si può verificare direttamente:

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 90&lang=de

I tedeschi, in realtà, non la segnano neppure nella trascrizione di Cassana - SP - dove la caratteristica fonetica risulta ben chiaramente percepibile, perché trascrivono ciò che "pensano" di aver sentito
esclusivamente in base ai "pregiudizi di scuola". Questo semplice esempio può aiutare a capire le motivazioni delle segnalazioni che mi sono giunte da persone che hanno un'esperienza concreta dei dialetti liguri e della loro profonda frustrazione e insoddisfazione nel leggere resoconti che continuano a ignorare la realtà fonetica effettiva. I meno "diplomatici" hanno, frequentemente, detto: "Ma di che cosa scrivono, di che cosa stanno scrivendo?".
Ligure
Interventi: 402
Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di Ligure »

Proseguo, con molta gradualità, nelle osservazioni in merito alle caratteristiche dei dialetti liguri riferite nei punti citati nel seguito.
u merlu rucà ha scritto: lun, 24 feb 2014 20:58 Alcuni tratti nell'evoluzione fonetica dei dialetti liguri. Ve ne sono altri, ma questi sono i più caratteristici.

3) Assibilazione di CE, CI in [ts]
In tutta la Liguria, escluse soltanto alcune zone dell’estremo est, CI e CE risultano, in posizione iniziale o postconsonantica generalmente assibilati in [ts] fontanig., sarz. furzina < *FURCINA, carp., imp., sass., stella, fontanig. zèrne < CERNERE, o nello stadio successivo in [s]: sav., loan. chia. séxa, , arenz., gen., lev. sȇxa “ciliegia” < CERESEA, vent. fursina, leric. forsina, cam. furscin-a “forchetta” leric. sesi, sp. séṡoi, “ceci” < CĬCĔRE. Nella Liguria occidentale alcuni termini presentano eccezionalmente conservata la fricativa palatale, cfr. con le forme vall., vallecr. ceřeixa “ciliegia/ciliegio”; vall. furčina “forchetta”; vall., sold., vallecr. apric. ceixi “ceci”, vent. céixi
Se "furzina" /fur'ʦina/ = forchetta è davvero l'esito del dialetto di Sarzana - per altro, solo amministrativamente ligure (il dialetto locale è di tipo lunigianese, non ligure! checché possano riferirne in merito i "testi"!) -, esso non è certamente l'esito di Fontanigorda! Chi conosce i dialetti di tipo genovese sa che, in essi, l'esito di /'CVna/ - C sta per consonante e V per vocale - è /'CVŋa/</'CVŋna/ (che si può ancora riscontrare in punti caratterizzati da linguaggio più arcaico). Questo costituisce uno dei tratti fondamentali di differenziazione dei dialetti di tipo genovese rispetto alle parlate liguri confinanti. Il tratto /'CVŋa/ risulta presente, sulla costa, dal confine col Finalese (che non lo presenta già più) fino a Levanto, che non lo prevede, e nell'entroterra corrispondente, dove si possono riscontrare località caratterizzate da /'CVŋna/, ma nessuna - tranne quelle che subiscono l'influenza di confini linguistici e che, quindi, non possono essere considerate di tipo schiettamente genovese - in cui si possa riscontrare/'CVna/. Del tutto inusuale e avvertito quale tratto “alieno” da tutti i locutori di parlate di tipo genovese. Quindi, Fontanigorda, “isolata” sull'Appennino e distante centinaia di chilometri (!) da entrambe le frontiere linguistiche che intercorrono tra il tipo /'CVŋa/ e /'CVna/, non può che possedere l'esito /'CVŋa/, cioè “fūrzin-a” /ˌfu:r'ʦiŋa/, mentre è soltanto a partire da Levanto o dal Finalese che si potranno riscontrare i primi parlanti che pronuncino “fūrsîna” /ˌfu:r's'i:na/! Se si assume che, essendo indubbiamente i dialetti linguaggi residuali e dotati di infimo prestigio socio-culturale, la scienza ad essi relativa possa essere soltanto “impressionistica” e approssimativa, si nega qualsiasi validità scientifica alla dialettologia.

D'altronde, il problema è sempre lo stesso. Ciò che è stato impresso sulla carta stampata viene assunto quale dogma e non si prova il piacere di parlare o di scrivere di ciò che davvero si conosce. Che - nel caso della linguistica - non dovrebbe potersi ridurre a un'esperienza unicamente visiva - cioè di una grafia stampata-, ma dovrebbe implicare un'esperienza uditiva, diretta ... Ma non c'è modo ... Tutti scrivono di ciò che non hanno udito e che, quindi, non possono "conoscere" ... Mi riferisco anche agli autori ... Dal momento che chi scrive opera in questo spirito, attendersi "tensione veritativa" e risultati attendibili permane un'aspettativa chimerica ...

"Tanto, sono tutte stupidaggini, non vanno prese troppo sul serio, abbiamo fatto fin troppo ... ".

Questa è la mentalità implicita che regna incontrastata.

Chi possiede, per cultura, un atteggiamento fondato su un approccio di tipo razionalmente scientifico si rende subito conto di essere un "pesce fuor d'acqua" e di risultare "inevitabilmente e naturalmente" emarginato.

Piace scrivere e diffondere informazioni su ciò che non si sa.

Perché si fa conto che gli altri ne sappiano ancora meno, mentre non ci si potrebbe consentire un atteggiamento del genere in merito alla lingua italiana, in quanto si verrebbe adeguatamente e tempestivamente corretti.

Qualsiasi sciocchezza, purché "stampata", viene fatta assurgere al livello di "dogma", mentre ciò che dovrebbe essere il vero oggetto dell'osservazione di tipo "scientifico" - il "fenomeno" articolatorio reale - non sembra destare vero interesse né - purtroppo! - la motivazione - né l'impegno (perché ciò può risultare difficile, scomodo) a volerlo appurare con sufficiente esattezza -.

Per quanto, invece, attiene al verbo “serne” /'sɛ:rne/ si potrebbe notare che, tradizionalmente, il suo uso, oltre al significato “proprio” di “cernere”, implicava anche quello di “scegliere”, dal momento che non è mai esistita, nei dialetti liguri, una forma verbale strutturalmente corrispondente. Attualmente, non è più così e, ad es., a Genova, “serne” /'sɛ:rne/ per “scegliere” non viene più usato. Si dice, ormai, /'ʃɛʎʎe/ e ciò spiega la pronuncia aperta anche dell'italiano locale, da tutti indistintamente praticata nella flessione del verbo “scegliere”.

Relativamente alle grafie “séxa” o “sêxa”, va chiarito che esse indicano, sia pure al variare delle località riferite, sempre la stessa identica pronuncia - cioè /'se:ʒa/ (che rappresenta il “tipo” genovese per “ciliegia”) -, dal momento che l'adozione di un diverso tipo d'accento corrisponde unicamente a motivazioni di tipo “idiosincratico” del raccoglitore dei dati lessicali o dei redattori del repertorio linguistico. Chi desideri sincerarsene direttamente può ascoltare in rete le pronunce di Noli, Genova, Zoagli e Levanto, le quali presentano tutte - per “ciliegia” - l'esito genovese. Si può ascoltare chiaramente che, al di là delle caratteristiche articolatorie specifiche di ciascun informatore, la voce presenta sempre vocale accentata lunga. La quantità vocalica, nei dialetti di tipo genovese (e in altri della Liguria), costituisce il tratto fonologico distintivo in luogo della durata consonantica, che caratterizza, invece, nell'ambito della potenziale contrastività (ad es., fato/fatto), la lingua italiana.

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 62&lang=de

Certo, molti autori ritengono che il circonflesso risulti utile per segnalare la quantità lunga della vocale accentata, ma - sotto questo aspetto - tutto funziona come in italiano, se pure in lingua la quantità vocalica vada considerata fonologicamente allofonica. Anche in genovese, ad es., la vocale di una sillaba aperta risulta lunga - o "più lunga", se si preferisce -. In "sexa" l'"x" sta per /-ʒ-/ (in questo caso non geminata) e, quindi, la vocale accentata /e/ è lunga /'-e:-/.

Altri autori, invece, sostengono che il circonflesso - ad es., in “sêxa” /'se:ʒa/ - vada usato quando la voce attuale risulti l'esito di una precedente contrazione - infatti, s'ebbe /seŕe:ʒa/>/se'e:ʒa/>/'se:ʒa/ -, ma si tratta di una “preoccupazione” esclusivamente di tipo “etimologico”. La pronuncia risulta del tutto identica a quella di voci in cui non è mai intervenuta alcuna “contrazione” vocalica. Come si può sincerare - relativamente alle stesse località sopra menzionate - chi avesse la curiosità di ascoltare l'esito locale di “chiesa”, cioè “gêxa” /'ʤe:ʒa/.

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 98&lang=de

Nel testo citato non viene riferito esplicitamente quale sia l'esito di “ce/ci” etimologici in corpo di parola se preceduti da vocale. In questo caso s'ebbe sonorizzazione e, ad es., dallo stadio evolutivo /'pa:ʧe/ s'ottenne /'pa:ʤe/, da cui /'pa:ʒe/ - “pâxe” = pace - a motivo dell'intervenuta deaffricazione - esattamente come nella pronuncia fiorentina di “pagina” -. Nei dialetti di tipo spezzino manca il tratto palatale e si riscontra, ad es., l'esito “sezoi” /'sezoi/ = ceci, cui corrisponde il tipo genovese “seixai” /'seiʒai/</'seiʒaŕi/, che era lo stadio evolutivo rappresentato dallo scomparso socioletto aristocratico.
u merlu rucà ha scritto: lun, 24 feb 2014 20:58 4) Lenizione di -P- e -B-
La lenizione di -P e -B-, che ha come esito [v,], interessa tutta la Liguria: sarz., vezz. savòn; cic., chiav., vent. vall., alt. savùn “sapone” < SAPONEM; vall.; vent.; chiav. rava “rapa” < RĂPA; vall.; vent.; loan.; monter. savé “sapere” < SAPERE. In alcuni casi la [v] cade: tagg., giust., arenz., rezzoaglio, saùn “sapone”; vall., vent., sanr. touřa; sav. tòua; tri., tagg., pigno. tòa; “tavolo” < *TAULA < TA(B)ULA ; vall. fouřa, vallecr., calizz., carp. fořa, genov. centr. fòua “favola” < FA(B)ULA.


La riduzione allo zero fonico di /-v-/ primario e secondario - derivato, cioè, da /-p-/, /-b-/ ed /-f-/ - è, spesso, un fatto sociolettale. Intendo dire che, nella stessa località, può accadere che , in parlanti di una varietà sociolettale “popolare”, non si riscontri /-v-/, mentre il fonema possa essere ancora pronunciato da parlanti di un diverso socioletto - meno “popolare” -, pur appartenenti alla stessa località. I prontuari, normalmente, sono stati redatti da persone che hanno evitato di porsi molti problemi (in realtà, la parte più interessante delle ricerche di tipo linguistico, dal momento che un'eventuale proposta di “norma” per una determinata località non ha grande senso). Non si tratta di “linguaggi” da studiarsi per vantaggi commerciali o per parlarli davvero. Tutti capiscono e parlano la lingua nazionale (e i “dialettofoni” veri, a breve, saranno scomparsi). Potrebbe, invece, avere senso studiarli se si riesce - così facendo - ad accrescere la comprensione globale dell'affascinante variabilità e complessità del fatto linguistico. Ma i dati proposti nei testi dovrebbero risultare attendibili.

Le scrizioni tradizionali fòua /'fɔwwa/ = favola e tòua /'tɔwwa/ = tavolo/tavola - in cui è scomparsa traccia sia di /-b-/>/-v-/>/ -ʋ-/>/-0-/ quanto di /-l-/>/-ŕ-/>/-0-/ - valgono sia per Genova come per Savona e pure per i territori immediatamente circostanti. L'approssimante /w/ risulta geminato come negli esiti genovesi “owwa” /'ɔwwa/ = adesso (la grafia tradizionale è “òua”) o “u lowwa” /u 'lɔwwa/ = (lui) lavora - più “popolare” rispetto a “u travaggia” /u tra'vaʤʤa/, che, per altro, possiede lo stesso identico significato -. Le due voci proposte erano, rispettivamente, nel socioletto aristocratico urbano, "ouŕa" /'ɔuŕa/ e "u lavûŕa" /u la'vu:ŕa/. A partire dalle quali s'ebbero le transizioni evolutive seguenti:

a) /'ɔuŕa/>/'ɔua/>/'ɔuwa/>/'ɔwwa/ (dovuta all'inserimento di /-w-/ e all'assimilazione regressiva di /u/>/w/);

b) /u la'vu:ŕa/>/u la'ʋu:ŕa/>/u la'u:a/>/u 'laua/> - per apofonia - >/u 'lɔua/>/u 'lɔuwa/>/u 'lɔwwa/
- in questo caso si ridussero allo zero fonico sia /-ŕ-/ sia /-ʋ-/ perché si tratta di voce "popolare"
(nel socioletto borghese, l'unico sopravvissuto, /-ŕ-/ si ridusse allo zero fonico, ma /-v-/ non fu "intaccato") -.

Ne consegue che solo l'/au/ etimologico - come in italiano - si monottongò in /ɔ/, mentre se, successivamente,
si formarono occorrenze di /au/ a seguito di processi evolutivi, il dittongo permase, ma venne solamente - mediante apofonia - "ridotta" la distanza tra i timbri - /au/>/ɔu/ -.

La pronuncia di “owwa” /'ɔwwa/ = adesso/ora è stata raccolta dai ricercatori tedeschi per Genova e per Zoagli (in altre località la voce d'uso è diversa) e si può ben ascoltare la geminazione dell'approssimante /w/ "pudicamente" trascritta dai tedeschi come consonante semplice in omaggio ai "pregiudizi di scuola".

Qualcuno potrebbe sostenere che sia la "brevità" dell'/ɔ/ a determinare - inevitabilmente - la geminazione di /w/, ma, sotto l'aspetto evolutivo e causalistico, avviene esattamente l'opposto. La vocale accentata viene pronunciata breve - e non potrebbe avvenire altrimenti neppure in italiano - proprio perché la sillaba risulta "chiusa".

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 94&lang=de

In genovese, inoltre, anche l'approssimante /j/ può presentarsi geminato come, ad es, in sejja /'sejja/ = “sera”, che deriva dalla voce del socioletto aristocratico “seiŕa” /'seiŕa/>/'seia/>/'seija/>/'sejja/.

Anche relativamente a questa voce si possono ascoltare le registrazioni degl'informatori di Noli, Genova, Zoagli e Levanto. Tutti si avvalgono del "tipo" genovese di vocabolo e pronunciano - ben distintamente - l'approssimante /j/ geminato, cioè /-jj-/. Infatti, in italiano si ha l'/e/ allofonicamente lunga in quanto si tratta di sillaba aperta - /'se:ra/, mentre in genovese l'/e/ accentata è breve perché la sillaba risulta chiusa - /'sejja/. Ma per Genova e Noli i tedeschi "riescono" - nonostante la banale e chiara evidenza fonica - a trascrivere "ē", cioè /e/ lunga ! ! !
Pronuncia inesistente e mai esistita ! ! ! Neppure loro "riescono" ad "accettare" la realtà per ciò che - concretamente - essa è ! ! !

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 40&lang=de

Anche il socioletto popolare genovese - attualmente estinto - era caratterizzato dalla riduzione allo zero fonico di /-v-/ e l'equivalente di “sapone” - “savun” /sa'vuŋ/ nel socioletto borghese - era “san” /'saŋ/, omofono, per altro, della voce locale che significa “sano”.

Inoltre, va notato che la lenizione di cui si sta trattando è riscontrabile anche negli esiti di /-f-/ etimologico. Infatti, ad es., in genovese “Stefano” - l'etimo latino veniva scritto mediante “ph”, ma la pronuncia protoromanza era, evidentemente, con /-f-/ - è “Stêva” /'ste:va/ (nel socioletto popolare “Stêa” /'ste:a/, da cui il diminutivo “Stiânin” /'stja:niŋ/ = “Stefanino”).
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valerio_vanni
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Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di valerio_vanni »

Ligure ha scritto: sab, 01 feb 2020 12:24 https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 94&lang=de

In genovese, inoltre, anche l'approssimante /j/ può presentarsi geminato come, ad es, in sejja /'sejja/ = “sera”, che deriva dalla voce del socioletto aristocratico “seiŕa” /'seiŕa/>/'seia/>/'seija/>/'sejja/.

Anche relativamente a questa voce si possono ascoltare le registrazioni degl'informatori di Noli, Genova, Zoagli e Levanto. Tutti si avvalgono del "tipo" genovese di vocabolo e pronunciano - ben distintamente - l'approssimante /j/ geminato, cioè /-jj-/. Infatti, in italiano si ha l'/e/ allofonicamente lunga in quanto si tratta di sillaba aperta - /'se:ra/, mentre in genovese l'/e/ accentata è breve perché la sillaba risulta chiusa - /'sejja/. Ma per Genova e Noli i tedeschi "riescono" - nonostante la banale e chiara evidenza fonica - a trascrivere "ē", cioè /e/ lunga ! ! !
Pronuncia inesistente e mai esistita ! ! ! Neppure loro "riescono" ad "accettare" la realtà per ciò che - concretamente - essa è ! ! !

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 40&lang=de
In quelle pagine si sente l'audio, ma non si vede la trascrizione.
Ligure
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Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di Ligure »

Sulle registrazioni "singole" non la vedo più neppure io, ma, se clicco sui punti/pallini specifici della cartina - in alto rispetto alla sfilza delle registrazioni singole - la trascrizione dei raccoglitori germanici compare sullo sfondo bianco in alto a sinistra (di chi guarda). Ed è esattamente la stessa che, in precedenza, veniva replicata anche più sotto. Attualmente, almeno, io riesco soltanto in questo modo.

P.S.: ho riprovato anche sul collegamento inserito nel suo messaggio e, in altro a sinistra, sullo sfondo bianco, compare la trascrizione.
valerio_vanni
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Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di valerio_vanni »

Grazie, non l'avevo notato. Tra l'altro non c'è neanche bisogno di cliccare, basta passarci sopra.
Quindi non ho sognato nel ricordarmi una trascrizione vicino alle voci.
Ligure
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Re: [LIJ] Fonetica storica dei dialetti liguri

Intervento di Ligure »

1) Di nulla. :wink:

2) Assolutamente no! C'era.

P.S.: non potrei giurare che, quando c'era in basso, vi fosse anche sopra, ma, fortunatamente, non siamo in tribunale! :D
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