[LIJ] Dialetti liguri della Provenza

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u merlu rucà
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[LIJ] Dialetti liguri della Provenza

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La Provenza orientale, a causa di epidemie, crisi economiche e guerre civili, si era spopolata nella seconda metà del XIV sec. Il calo demografico impediva la ripresa economica, di qui la necessità di ripopolare molte località o di fondarne di nuove. Venne così promosso l’insediamento di numerose famiglie liguri. In alcune località, quelle poste lungo vie di comunicazione o vicine a città, il dialetto si è estinto velocemente (Le Cannet, Saint Laurent du Var, La Napoule, Mouans, Cabris), mentre in località più appartate è sopravvissuto a lungo, arrivando, sia pur in agonia, alla prima metà del XX sec. Queste località sono: Mons, Biot, Escragnolles e Vallauris.
Per quanto riguarda l’origine, la maggior parte dei coloni proveniva dalla diocesi di Albenga e dal contado di Oneglia.
Sulla base delle fonti disponibili (Canzone 1780, Parabola del figliol prodigo 1807, La siagne 1874, E doue bessoune 1899, Pater e Ave 1879, Sarva Terra 1901, voci raccolte da Paul Roux negli anni ’50) è possibile ricostruire almeno le principali caratteristiche dei dialetti sopravissuti più a lungo.
FONETICA
BL-> [ʤ]: giava <BLADA> [ʤ]: vegeou “vecchio”.
-CT->[ʤ]: fachou “fatto”, neuche “notte”, trucha “trota”.
-FL-> [ʃ]: chour “fiore”; souchavan “soffiavano”.
GL-> [ʤ]: geande “ghiande”, geisa “chiesa”.
-L-> [w] davanti a dentale o alveolare: autrou “altro”, caoussai “calzari, scarpe”.
>[r] davanti a velare o labiale: barme “grotte”, sarva “salva”.
> [r] o più probabilmente [ɹ] (r palatale) in posizione intervocalica
L- in posizione finale passa a [ɹ]: ser “cielo”, sour “sole”, in qualche caso cade: ma “male”.
Il gruppo finale –ELLU > -er: veder “vitello”, ber “bello”; vi sono però forme in –ello: velou “vitello”, castelou “castello”, agnelou “agnello”.
-LI- > [ʎ] o [y]: fillou “figlio”, piyava “prendeva”.
-P- oscilla tra > [v] (a volte > Ø): caveji “capelli”, lavesou “pentola” (<LAPIDEU> [ʒ]: ou dije “dice”, servijou “servizio”.
-STR- si conserva: nostru “nostro”, vostru “vostro”.
S passa a [ʃ] per influsso di o [y]: roucachi “grandi rocce”, pachi “passi”, chu “su”.
Le dentali intervocaliche cadono: diou “dito”, pecco “peccato”.
Vi sono incertezze sull’esito di QUA-, QUE-, GUA-, GUE- dovute alla resa grafica adottata di volta in volta.
-R finale generalmente si conserva, con rare cadute: far “fare”, gardar “guardare”.
-R- pre- e postconsonantica si mantiene come [r], cioè come la [r] italiana e non uvulare.
-R- intervocalica > [ɹ], pronuncia raccolta ancora da Roux presso i suoi informatori.
E tonica passa a [e] senza dittongare come in genovese: mese “mese”, mere “mele”.
-ARIU > -er contro l’esito ligure comune [a]/ [a:]
Riduzione del dittongo –AU- tonico a [ɔ]: tora < TA(B)ULA “tavolo”; roba <rauba> [ʧ]: chama “chiama”, chava “chiave”.
PL-> [ʧ]: chu “più”, chen “pieno”.
Bibliografia: Le parlate liguri della Provenza, di Fiorenzo Toso, Philobiblon Edizioni, Ventimiglia 2014.
Ultima modifica di u merlu rucà in data sab, 27 giu 2015 23:44, modificato 2 volte in totale.
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Grazie Merlu

non ho potuto consultare il libro del Toso, parla anche di morfologia e sintassi? A me interessa ad esempio l’uso dei pronomi soggetto e a leggere questa frase (tratta dal libro Versions patoises de la Parabole de l’enfant prodigue)


Le que vostrou frai é vignuou, é vostrou par a tuaou rou veder grassou parce qu'où la vistou en sanitaé.

francese: c'est que voire frère est revenu ; et votre père a tué le veau gras, parce qu'il le revoit en santé.


Ho l’impressione che questo uso sia stato in alcuna località parallelo a quello del francese. Ma non saprei, ancora una volta, se ciò sia dovuto ad una influenza esterna o alla lingua di origine
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Il libro di Toso tratta anche di sintassi e morfologia.
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