[LIJ] «Massa» ~ «mazza»

Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

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Ligure
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Alinei e AIS

Intervento di Ligure »

Ritengo che la confutazione delle teorie dell'Alinei non meriti tanto impegno. Né il nostro tempo.

Anche perché essa è già stata brillantemente effettuata dagli studiosi. Scrive il Loporcaro nel Profilo linguistico dei dialetti italiani – pag. 45 -: “Sostenere che una forma linguistica dev'essere necessariamente antica quanto l'invenzione del suo referente (è questo il criterio dell' autodatazione lessicale di Alinei) vuol dire ignorare il principio dell'autonomia del significante. Dato un segno linguistico articolato, saussurianamente in significante (forma fonica) e significato (nel nostro caso /mattea/ “bastone”, poi “aratro/vomere”), quel che certamente si «autodata» entro la lingua con la datazione dell'innovazione tecnologica è il significato, non certamente uno specifico significante, essendo il rapporto tra i due di natura arbitraria.”

Né la linguistica dev'essere “moralistica”. Non dobbiamo corrispondere alle indubbie “arrampicate sugli specchi” dell'autore con la legge del contrappasso ricorrendo a prestazioni di natura assimilabile o superiore.

Tornando a bomba. Se si esamina con occhi limpidi e scevri da preconcetti la tavola dell'AIS dedicata al vomere, essa parla abbastanza chiaramente. Nonostante alcune difficoltà e conseguenti pasticcetti dei giovani tedeschi.

Essa dice assai semplicemente che una parte significativa dell'Italia settentrionale aveva il termine mazza , pronunciato massa da lunghi secoli. Il fonema [ʦ] non si conservò in questa parte d'Italia, come in molte altre - se non in zone relegate dotate di linguaggio particolarmente arcaico - in continuità anche con quanto si verificò nelle due lingue della Francia, nel castigliano, nel catalano et c. . . . . La spiegazione è del tutto banale e discende da un dato fonetico (non semantico) oggettivo e di estesissima generalizzabilità. Ipotizzare un'alchimia tale per cui si debba essere intrusivamente inserito il termine massa - e non la sola pronuncia! - ad un certo punto dell'evoluzione linguistica (e per motivi non noti e non specificabili!) viola qualsiasi principio di parsimonia esplicativa - v. rasoio di Ockham et c. -. In un contesto linguistico che ignorava fino a qualche generazione fa la stessa voce massa!

Si è verificato - sempre sulla stessa tavola dell'AIS - quali siano i punti “siciliani” in cui si dice massa ? Sono i punti gallo-italici - Aidone, S.Michele - e zone da essi influenzate. Quindi nulla aggiungono (e nulla tolgono) al discorso sin qui fatto. Rimandano nuovamente all'Italia settentrionale e alle considerazioni fatte. Se mai, ciò può risultare interessante in merito alla datazione della “colonizzazione” gallo-italica della Sicilia e alla durata temporale di questi processi d'immigrazione. Ma risulta essere tutt'altro discorso . . .

Si ritorna sempre alla transizione fonetica evolutiva del fonema [ʦ], al ceppo in legno dell'aratro su cui s'innestò il vomere, al bastone col quale si forava la terra per inserire il seme come si vede rappresentato anche nei sussidiari delle scuole.

Risulta quasi impossibile - a mente serena - contrastare la limpidità e la chiarezza. D'altronde, le teorie dell'Alinei non hanno bisogno di ulteriori confutazioni. Men che meno di malcerte. Ne hanno già ricevute molte, assolutamente limpide e chiare - v. ad es., nel § 2.3 del Profilo del Loporcaro citato, di cui ho sinteticamente e letteralmente riferito -
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Sarò ripetitivo ma vorrei sapere perché da uno stesso etimo derivano due esiti diversi ma(s)sa e ma(z)za (parlo ovviamente dei paesi dove -z- si conserva)...mi sembra ovvio che si tratti di due etimi diversi. Restano da spiegare il paio di casi in cui mazza e vomere hanno lo stesso esito -ts-. La spiegazione potrebbe essere quella a cui ho accennato nel messaggio precedente e non si tratta di arrampicarsi sugli specchi ma di una semplice ipotesi basata su dati fonetici.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Intervento di Ligure »

u merlu rucà ha scritto:Sarò ripetitivo ma vorrei sapere perché da uno stesso etimo derivano due esiti diversi ma(s)sa e ma(z)za (parlo ovviamente dei paesi dove -z- si conserva)...mi sembra ovvio che si tratti di due etimi diversi. Restano da spiegare il paio di casi in cui mazza e vomere hanno lo stesso esito -ts-. La spiegazione potrebbe essere quello a cui ho accennato e non si tratta di arrampicarsi sugli specchi.
Non ho nessuna intenzione di entrare in polemica. Ma neppure di perdere tempo né di farlo perdere agli altri. Ma non si può contrapporre a un'evidenza linguistica generalissima quale la variazione fonetica di [ʦ] in [s] di un'areale vastissimo, ben oltre i confini italiani, l'esito inaffidabile – cioè un abbaglio – relativo a due punti isolati – che lei non ha mai verificato – con informatori che sono parlanti residuali, i quali usano "socio-linguisticamente" s per z. E con la comprovata inaffidabilità dell'AIS per queste zone.

Non si può "costruire" una teoria su due dati, per di più sbagliati!

Non è che un errore o un abbaglio diventa un dogma intoccabile solo
perché compare su un foglio stampato.

E – inoltre – in questo caso le considerazioni generali prevalgono.

Era stato verificato che i punti "siciliani" sono – in realtà – "gallo-italici"?

Volendo, si può continuare a sostenere qualsiasi ipotesi, ma dubito che – in assenza di affidabilità e di maggiore solidità dei dati – gli studiosi possano essere interessati a prendere in considerazione un'ulteriore confutazione (malcerta) quando abbondano quelle inoppugnabili.

L'aspetto metodologico risulta fondamentale e, in questa "confutazione", risulterebbe assai debole.

E, comunque, non cambierebbe assolutamente nulla. Gli aspetti di vulnerabilità delle teorie dell'Alinei risultano ragionevolmente evidenti.

I "punti di singolarità" hanno senso solo se sono veramente certi. Tanti informatori seri, tanti raccoglitori preparati. Ripetitività certa dell'esito.
Dobbiamo essere in grado, come in tutti gli ambiti scientifici, di riuscire a gestire gli errori. Se uno legge "fruti" su un giornale o una rivista che esce a Firenze, solitamente non pensa che l'attuale vernacolo fiorentino abbia subito degeminazione…

Non si può prendere tutto per oro colato. Per di più contro dei principi del tutto generali.

P.S.: inoltre, non si può "far dire" alle fonti ciò che esse - oggettivamente - non dicono. L'AIS riporta massa come trascrizione, non come accezione di significato o interpretazione autentica dell'informatore. Il cui lessico non prevede massa come significato, ma solo come pronuncia! E' soltanto un'interpretazione del tutto personale che attribuisce alla banale trascrizione massa - mera "prestazione" fonetica - un campo semantico diverso da mazza. Ma siamo nell'ambito del soggettivismo. Lontani dall'oggettività scientifica. La scientificità della ricerca linguistica presupporrebbe verifiche e oggettività.
Avatara utente
u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Ligure ha scritto:Non ho nessuna intenzione di entrare in polemica. Ma neppure di perdere tempo né di farlo perdere agli altri.
Nessuna polemica. Questo è uno spazio di discussione, se si pensa che discutere sia perdere tempo o farne perdere, tanto vale chiudere il fòro.
Ligure ha scritto:Ma non si può contrapporre a un'evidenza linguistica generalissima quale la variazione fonetica di [ʦ] in [s] di un'areale vastissimo, ben oltre i confini italiani, l'esito inaffidabile – cioè un abbaglio – relativo a due punti isolati – che lei non ha mai verificato – con informatori che sono parlanti residuali, i quali usano "socio-linguisticamente" s per z. E con la comprovata inaffidabilità dell'AIS per queste zone.
La variazione fonetica [ʦ] > [s] avviene in un areale vastissimo, ma non dappertutto. Lei si impunta con i punti liguri e sostiene che hanno sbagliato prima i raccoglitori dell'AIS e poi quelli del VPL. Ammesso e non concesso che sia così, mi permetto di far notare che un buon numero di punti piemontesi presenta gli stessi esiti dei due punti isolati liguri.
Ligure ha scritto:Non si può "costruire" una teoria su due dati, per di più sbagliati!
Non è che un errore o un abbaglio diventa un dogma intoccabile solo
perché compare su un foglio stampato.

Come ho già detto, siamo sicuri che siano sbagliati? Qui si tratta di due fogli stampati, non di uno solo.
Ligure ha scritto:Era stato verificato che i punti "siciliani" sono – in realtà – "gallo-italici"?
Dei punti siciliani riportati nell'AIS, solo Aidone è gallo-italico. A questi punti posso aggiungere Avola e Palazzolo Acreide in cui è presente il tipo massa. Altri punti gallo-italici (San Fratello e Novara di Sicilia) hanno il tipo vomere.
Ligure ha scritto:[I]noltre, non si può "far dire" alle fonti ciò che esse - oggettivamente - non dicono. L'AIS riporta massa come trascrizione, non come accezione di significato o interpretazione autentica dell'informatore. Il cui lessico non prevede massa come significato, ma solo come pronuncia! E' soltanto un'interpretazione del tutto personale che attribuisce alla banale trascrizione massa - mera "prestazione" fonetica - un campo semantico diverso da mazza. Ma siamo nell'ambito del soggettivismo. Lontani dall'oggettività scientifica. La scientificità della ricerca linguistica presupporrebbe verifiche e oggettività.

Non capisco cosa vuol dire «[i]l cui lessico non prevede massa come significato»? Certo che lo prevede, nel significato di vomere... Il termine coincide con massa italiano ma con significato diverso, e potrebbe derivare dal latino massa nel senso attestato di "massa metallica". Probabilmente i raccoglitori hanno mostrato un disegno di un aratro e indicando il vomere hanno chiesto: come lo chiamate questo? Io ho fatto esattamente la stessa cosa, con un mio informatore, e la risposta è stata: masˢa.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Aspetti metodologici

Intervento di Ligure »

Le proposte che non seguono i vincoli basilari della metodologia sono difficilmente accettabili.

Non perdere tempo inutilmente e non farlo perdere a nessuno rimane una buona guida di condotta per tutti.

Ribadisco che l'AIS fornisce trascrizioni. Non discutiamo se fonetiche o fonematiche. Risalire da queste all'etimo è un passo ulteriore, che necessita di altre evidenze. Che nell'AIS non ci sono. Allora, più che di un'inferenza, si tratta di un'illazione.

Come ragionerebbe il più "normale" degli studiosi? C'è una zona di massa entro i cui confini esistono alcuni punti in cui si ha mazza. Ragionevolmente, i punti emergenti - in un mare di massa/e - sono i relitti - in zone di linguaggio arcaico - dell'esito precedente. E la storia dello sviluppo fonetico - non solo dell'Italia nord-occidentale - lo conferma pienamente.

Ovviamente, il numero di "punti arcaici" incappati nel reticolo dei tedeschi è semplicemente funzione di com'è stato costruito il reticolo stesso. Se si fosse ricercato un contributo sugli stadi precedenti della lingua, sarebbe bastato infittire opportunamente il reticolo sulle alpi e - in questo caso - sugli appennini. Sa quanti punti-mazza sarebbero venuti fuori sull'appennino ligure?!

Gli obiettivi, evidentemente, erano altri.

Comunque, lo studioso dell'esempio precedente riterrebbe "irragionevole" - in assenza totale di altro tipo di documentazione solida - ipotizzare due etimi affini, ma distinti in una zona in cui tutti si rendono conto dell' "uniformità" dell'esito linguistico. Il logicissimo principio di parsimonia c'impone di non optare per un'ipotesi "bifida" che non spiega assolutamente nulla di più.

Così come risulterebbe assolutamente irragionevole supporre che - in questa parte d'Italia - mazza - esito, invece, arcaico - possa derivare da massa!

Per di più - e l'ho già scritto più volte - i dialetti della zona - nelle loro forme tradizionali - non possedevano, nei loro lessici (non nei loro dizionari "storicamente" moderni), la voce massa.
Che rappresentò un cultismo, un italianismo recente.

Non è vero che solo Aidone sia/sia stata gallo-italica. Ho scritto due perché anche S. Michele è/è stata gallo-italica. Se pure, attualmente - com'è del resto "normale" -, ancora più "sicilianizzata" dell'altro punto riferito.

Ma è chiaro che - in quest'angolo di Sicilia - o si tratta di dialetti gallo-italici o della loro influenza.

Quindi, ciò rimanda alle zone menzionate e nulla aggiunge né toglie.
Esattamente come da me riferito.

Se n'era accorto quando citava i punti che definiva siciliani - tout court - come se potessero arrecare ulteriori evidenze?

Ha approfondito gli aspetti di cultura materiale e si è reso conto che mazza per «vomere» è un non-nome?

Che dicono gli informatori - in questo caso, ad es., di Rovegno, dove si dice mazza -?
«Certo, mazza è come noi chiamiamo il ceppo, perché è come un grosso bastone. E - prima - la punta di ferro non c'era. Erano come gli aratri africani. Certo, dovremmo e potremmo dire la punta di ferro della mazza - nel senso locale di ceppo -. Infatti, talvolta, diciamo anche la punta e sarebbe anche più preciso. Ma, solitamente, diciamo indifferentemente mazza sia per il ceppo sia per la punta. Tanto, tra noi, ci capiamo. Al massimo, per distinguere, se si parlava dell'aratro, si parlava della mazza di ferro - l'aggettivo metallico nel dialetto non esiste - per distinguerla dalla mazza di legno - il ceppo dello strumento -. Anche lo strumento mazza (per battere) ha lo stesso nome - lo pronunciamo egualmente - e anch'esso può essere di legno o di ferro. Vede questa, di legno, col manico lungo? La giri. Immagini d'incurvarne molto il manico e di porre un po' più orizzontale la parte di legno con cui si batte. Ecco perché si chiama mazza anche quella dell'aratro. E' un po' come una mazza. Si faceva una specie di solco nella mazza di legno dell'aratro per innestarci la punta. Chiamavamo il solco "zin-a" e "gaccia" la parte della punta-mazza che veniva innestata sulla mazza di legno - ceppo -. Come si faceva con la lama della falce. Anch'essa aveva la sua "gaccia" e ci si accertava che non avesse tolleranza. Poteva volare via e ferire qualcuno…».

Appare chiaro come mazza per «vomere» sia un non-nome. L'aratro aveva anticamente la punta di legno e, quando è stata adottata la punta metallica, essa ha banalmente preso il nome della parte dello strumento su cui veniva innestata - mazza - dopo avere predisposto con un pialletto una sede adeguata.

Nemmeno nelle zone in cui si usava massa per mucchio, cumulo, ammasso si sarebbe potuto chiamare massa un singolo pezzo di legno, un ceppo, un ciocco, un bastone… Dotato delle caratteristiche di solidità e rigidità occorrenti a fendere il terreno e che il concetto di cumulo o ammasso non implica affatto.

Inoltre, massa come cumulo, ammasso non veicola affatto il concetto di forma. I cumuli, gli ammassi assumono la forma di un eventuale contenitore. Per il vomere - a seconda dei terreni e delle lavorazioni - la forma risulta fondamentale. Gli informatori ne discorrerebbero per ore.
Voci quali punta o mazza implicano - sia pure in modalità grezzamente semplificate - un concetto di forma e di funzionalità. Con una punta si fende, si penetra. Con un ammasso, un cumulo non si possono applicare forze ben definibili e ottenere risultati prevedibili nelle lavorazioni agricole.
Oggi sorridiamo - "attualismo" -, ma dall'esito di questo tipo di lavorazioni dipendeva la sopravvivenza dei montanari. Ben difficilmente uno strumento così importante poteva evocare immagini di cumuli o altro, dai contorni e dalla consistenza ben poco definibili.

Se i tedeschi dell'AIS si fossero focalizzati unicamente sull'aratro - prima o poi - se ne sarebbero resi conto. Ma avevano moltissimo da fare e poco tempo consentito.

Qualsiasi ipotesi linguistica relativa a strumenti, attrezzi non può prescindere da una profonda conoscenza della cultura materiale.

Altrimenti, come minimo, si pecca di "attualismo". Si proietta la nostra cultura attuale su quella di un'epoca diversa e di uomini "diversi".

Il problema consiste nel sapersi giudiziosamente svincolare anche dalla carta stampata.

L'oggetto delle scienze - anche di quelle linguistiche - è il fenomeno, non la sua "descrizione" scritta.

La descrizione scritta è soltanto un modo di documentare il proprio lavoro da parte di un ricercatore, per gli altri costituisce uno spunto, un indizio, ma può anche essere sbagliata. Non è il fenomeno linguistico.

Fare linguistica soltanto da seduti non può funzionare.

E' come in medicina. Certo, la cartella medica aiuta. Ma può contenere errori. Il paziente va visitato, vanno effettuati esami… La linguistica non può essere scienza da topi di biblioteca o - attualmente - da web. Altrimenti, si replicano inconsapevolmente sciocchezze secolari.

Se non si ama "sporcarsi le mani" con il fenomeno linguistico, non è ricerca linguistica. Siamo al livello di "scienza delle citazioni". Per altro, molto praticata.

Queste considerazioni hanno validità del tutto generale, non sono relative ai presenti.

Finché il fenomeno linguistico esiste, va indagato direttamente.

Anche se risulta molto scomdo.

Nella scienza non esistono dogmi. Esistono, però, metodologie da rispettarsi.

D'altronde, il "merge" massa/massa non può stupire nessuno studioso.
E nei dialetti italiani è recente perché molto recente è l'inclusione del cultismo massa nei loro lessici.

Lo possiede anche la lingua ufficiale francese: masse/masse. Ma anche in francese si è pronunciato anticamente z come nel paese di Rovegno. Era un fonema dell'antico francese. E tutti i dizionari etimologici francesi forniscono correttamente due etimi distinti.

In questo caso, l'inferenza - se non supportata da altri tipi di evidenza - permane mera illazione.

Il significante fu, in origine, arbitrario, ma arbitrario non può essere il nesso tra significante - nel nostro caso, la trascrizione - e il significato.

Altrimenti, si pecca di "soggettivismo". Come se potessimo decidere noi le intenzioni semantiche di altri. Per di più, appartenenti a un'altra cultura e a un'altra epoca!

Avevano ragione i monaci antichi. «Si duo (o più) faciunt idem, non est (necessariamente, aggiungo) idem».

In volgare: la coincidenza della "prestazione" - nel nostro caso, fonetica, quindi, significante - non implica "necessariamente" la coincidenza dell' "intenzione" - cui risulta collegata la semantica e la consapevolezza del significato -.

Perfino la legge - a parità di "prestazioni", anche "funeste" - prescrive d'indagarne il significato, l'intenzione…

I giovani tedeschi - ben consci dei limiti del loro lavoro - hanno inteso fornirci "trascrizioni" di "prestazioni" fonetiche oggettivamente e storicamente avvenute - se pure, talora, malintese -, non di "intenzioni semantiche" né di "etimi".

Siamo su due livelli profondamente diversi.

Se persone francesi pronunciano masse, in assenza di contestualità o di loro affermazione esplicita, non siamo autorizzati a decidere per loro.

Se una persona colta - ma affetta, a nostra insaputa, da problemi di pronuncia - dice massa, al di fuori di un qualsiasi contesto, la nostra interpretazione - massa - potrebbe non corrispondere alla sua reale intenzione.

Il solo AIS non può offrire alcun sostegno all'idea che l'etimo della voce massa pronunciata da molti informatori - in realtà, derivata dal più arcaico mazza - non fosse quello stesso di mazza. Nessuna indagine venne fatta in codesto senso e, inoltre, i dialetti parlati dagli informatori non prevedevano la voce dotta massa.

Occorrerebbero altre prove, che non ci sono.
Quando - e se - ci saranno…

Credo di avere rispettato e illustrato adeguatamente tutti i vincoli metodolgici che un approccio attendibile richiede e di avere fornito informazioni affidabili e - linguisticamente - interessanti. Ma un'esasperazione della contrapposizione di due proposte il cui rispettivo grado di attendibilità risulta assai diverso non porta da nessuna parte.
Rispetto tutti e le idee di tutti. Soprattutto quelle che non condivido. Ma occorre sapere far buon uso del nostro tempo. Se emergeranno dati attendibili nuovi, se ne riparlerà. Per ora, non ha senso - nemmeno da parte mia - estenuarsi a confutare un'illazione metodologicamente infondata e priva di qualsiasi altro tipo di sostegno.

P.S. Molti miei amici - un po' malignamente - sostengono che il dati del VPL non aggiungano nulla. Sapendo come sono state gestite molte di queste inchieste, ritengono molto improbabile lo stesso errore di fonetica a distanza di circa 100 anni. Pensano che - assai banalmente - i dati siano stati copiati pari pari dall'AIS. Si tratta di una malignità che - per altro - corrisponde a un principio di parsimonia esplicativa. E riflette il pressappochismo di molte inchieste - se copio, "non sbaglio" e, certamente, faccio prima -. Come disse un mio conoscente a clienti stranieri: "I know my chickens". Agli italiani penso possa risultare chiaro.

Anche famosi vocabolari antichi quale, ad es., il Cherubini per il milanese avvalorano l'ipotesi mazza, scrivendo "mazza o massa". Cioè attribuendo a massamero valore fonetico. Il Cherubini non è il solo, ma non proseguo. Chi fosse interessato può sempre indagare.
Avatara utente
u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Ligure ha scritto:Ribadisco che l'AIS fornisce trascrizioni. Non discutiamo se fonetiche o fonematiche. Risalire da queste all'etimo è un passo ulteriore, che necessita di altre evidenze. Che nell'AIS non ci sono. Allora, più che di un'inferenza, si tratta di un'illazione.
Nel nostro caso le evidenze ci sono: mazza "bastone" e massa "vomere" hanno esiti diversi nei paesi che mantengono [-ʦ-] (con un paio di eccezioni che necessitano di una spiegazione).
Ligure ha scritto:Comunque, lo studioso dell'esempio precedente riterrebbe "irragionevole" - in assenza totale di altro tipo di documentazione solida - ipotizzare due etimi affini, ma distinti in una zona in cui tutti si rendono conto dell' "uniformità" dell'esito linguistico. Il logicissimo principio di parsimonia c'impone di non optare per un'ipotesi "bifida" che non spiega assolutamente nulla di più.
Irragionevole non credo. Io parto da ciò che dice Alinei: *mat(t)ea è alla base di mazza "bastone" e massa "vomere". Ma spiegherebbe solo i punti in cui entrambe danno massa, perché [ʦ] > [s]. Ma dove questa evoluzione non c'è, perché gli esiti sono diversi: mazza e massa? La risposta logica è che derivino da etimi diversi, altrimenti non si spiegano due esiti diversi dalla stessa base.
Ligure ha scritto:Che dicono gli informatori - in questo caso, ad es., di Rovegno, dove si dice mazza -?
«Certo, mazza è come noi chiamiamo il ceppo, perché è come un grosso bastone. E - prima - la punta di ferro non c'era. Erano come gli aratri africani. Certo, dovremmo e potremmo dire la punta di ferro della mazza - nel senso locale di ceppo -. Infatti, talvolta, diciamo anche la punta e sarebbe anche più preciso. Ma, solitamente, diciamo indifferentemente mazza sia per il ceppo sia per la punta. Tanto, tra noi, ci capiamo. Al massimo, per distinguere, se si parlava dell'aratro, si parlava della mazza di ferro - l'aggettivo metallico nel dialetto non esiste - per distinguerla dalla mazza di legno - il ceppo dello strumento -. Anche lo strumento mazza (per battere) ha lo stesso nome - lo pronunciamo egualmente - e anch'esso può essere di legno o di ferro. Vede questa, di legno, col manico lungo? La giri. Immagini d'incurvarne molto il manico e di porre un po' più orizzontale la parte di legno con cui si batte. Ecco perché si chiama mazza anche quella dell'aratro. E' un po' come una mazza. Si faceva una specie di solco nella mazza di legno dell'aratro per innestarci la punta. Chiamavamo il solco "zin-a" e "gaccia" la parte della punta-mazza che veniva innestata sulla mazza di legno - ceppo -. Come si faceva con la lama della falce. Anch'essa aveva la sua "gaccia" e ci si accertava che non avesse tolleranza. Poteva volare via e ferire qualcuno…».
Quanto mi piacerebbe avere il sonoro di questa intervista. Comunque, se le cose stanno così, vuol dire che c'era comunque un tipo mazza più antico di massa sopravvissuto qua e là.
Ligure ha scritto:Per di più - e l'ho già scritto più volte - i dialetti della zona - nelle loro forme tradizionali - non possedevano, nei loro lessici (non nei loro dizionari "storicamente" moderni), la voce massa.
Non so in altre parti della Liguria, ma nella Liguria occidentale esiste il termine masˢame “ammasso di lombrichi per pesca delle anguille”, da massa + suff. -ame.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Lessici dialettali

Intervento di Ligure »

Il lessico d'epoca del Cherubini relativo al milanese - non un opuscolo della Coop - espone la voce massa - si pronunciava, per altro, già degeminata - nel significato di «vomere» e, prima d'iniziare a trattare il vocabolo, scrive testualmente "che alcuni dicono anche mazza". Riferisce, cioè, la pronuncia più antica, arcaica. Il fonema /ʦ/ per /s/ è tuttora riscontrabile nel lombardo della Svizzera, ad esempio. Esattamente la stessa - "vera" - pronuncia del Sassello, di Rovegno e di tutto l'appennino "arcaico" savonese e genovese.

Il classico lessico piemontese del cavaliere di Sant'Albino riferisce massa - anche in piemontese, per altro, la pronuncia, a differenza del genovese e del savonese, risultava già degeminata ed era già avvenuto, come nel milanese, del resto, il "merge" con mazza -. In questo lessico l'accezione di vomere è posta tra quelle per le quali la pronuncia piemontese massa va riferita al significato di mazza.

Non sono due evidenze di scarso peso.

In entrambe risulta chiara la consapevolezza dell'avvenuto "merge" e in entrambe si riferisce il significato di «vomere» all'etimo mazza. Il Cherubini, addirittura, riferisce esplicitamente la pronuncia lombarda arcaica mazza.

Che - vedi caso - è proprio quella che i tedeschi ritrovarono a Galliate, nel novarese, non poi così lontano da Milano. Il novarese è un dialetto lombardo, sebbene influenzato dal piemontese. Si tratta proprio della pronuncia - arcaica e/o provinciale - segnalata dal lessicografo Cherubini.

Direi che "non c'è pezza" - così dicono i vecchi dell'appennino -. La "pezza" è la toppa.

Siccome il nostro lemma si ritrova in un'area di continuità lessicale assai vasta - Piemonte e Lombardia (non solo Liguria) - in cui le pratiche e la strumentazione agricola, a differenza di quanto si può riscontrare in Liguria, risultano ben documentate e analizzate, non dubito che si possano rinvenire molte altre evidenze, ma non ci occorrono.

La limpidità e la chiarezza costituiscono linguaggi universali.

Purché si vogliano ascoltare.

Non ci sono i due esiti diversi! Non ci si può appigliare a queste sciocchezze. Oltre ai due punti riferiti, la pronuncia della zona appenninica arcaica è mazza, non massa!

E coincide con quella lombarda arcaica!

Per me la ricerca è stata ampiamente e documentatamente affrontata e svolta. Non ha senso né attrattiva alcuna tentare di continuare ad almanaccare e dibattere su evidentissimi abbagli destituiti di qualsiasi attendibilità.

Si sarebbe costretti a escogitare ipotesi ancora più "fantasiose".
Avatara utente
u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Deduco che solo mazza nel significato di «vomere» ha avuto il piacere di evolvere da [ʦ] a [s], non pozzo o altri termini, perché è l'unica possibilità per dare ragione a quanto lei dice. Oppure i tedeschi hanno sbagliato su tutta la linea. Comunque sia, la carta più importante è quella di massa in Sicilia, evidente prestito dai dialetti gallo-italici, che lei considera di striscio. Significa una sola cosa: che nel XII-XIII secolo la pronuncia era [s] non [ʦ], e mi deve spiegare il perché. Io do una spiegazione complessiva; lei afferma che i dati AIS e VPL sono errati e cita dizionari dialettali di quasi due secoli fa, raccolti con criteri ben poco scientifici, che ovviamente sono immuni da errori… La citazione del Cherubini che alcuni dicono mazza cosa vuol dire? Che a Milano il passaggio [ʦ] > [s] era recentissimo e qualche vecchio pronunciava all'antica? Che qualche affettato rappresentante della borghesia trovasse più graziosa una pronuncia con [ʦ]? Cioè, in poche parole, i raccoglitori dell'AIS e del VPL sono inaffidabili e il Cherubini no?
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Il significante non è il significato

Intervento di Ligure »

Premetto che ho già scritto troppo per chiarire la genesi - abbaglio - di un'idea "fantasiosa" cui nessuno crede. Anche se nessuno interviene per non perdere tempo. Non riesco a cogliere l'ironia dell'esordio del messaggio né che c'entri con la richiesta di chiarimenti. Porga la sua idea, del tutto personale, agli studiosi e vediamo se ne vengono fuori cose utili. Lei continua a fare scienza delle citazioni. Non verifica di persona i dati e assume come dogma la carta stampata. Allora - carta stampata per carta stampata - non si vede perché non risultino utili i lessici antichi. Chiunque conosce la migliore attendibilità dei lessicografi dell'epoca - dialettofoni loro stessi e immersi in un ambiente in cui il dialetto era ancora vivo e risultava facile e attendibile riscontrare informatori validi e informazioni linguistiche affidabili -. Ciò non può dirsi dei tedeschi dell'AIS, alle loro prime esperienze con varietà linguistiche che non conoscevano, né dei pasticci evidenti - per altri motivi - di cui risulta pieno il VPL. Che cosa si vuole sostenere - per "giustificare" un abbaglio -? Che - all'epoca - il Cherubini o il cavaliere di Sant'Albino non fossero - e da tutti riconosciuti come tali - ottimi e seri conoscitori dei loro rispettivi dialetti, per loro ancora vere "lingue materne" ? Evidentemente assolutamente non paragonabili con i raccoglitori "occasionali" del VPL!

Mi scusi, ma chi ha chiarito che si tratta di dialetti siciliani gallo-italici sono stato io, non lei. E ho anche chiarito che, evidentemente, rimandano al Settentrione, cioè alle zone di provenienza dei coloni e non aggiungono né tolgono nulla.

Io "devo" spiegare? Io non "devo" proprio nulla: se mai, intervengo se lo ritengo utile. Le date delle migrazioni - per altro, in un arco temporale molto esteso - sono state indicate - con una certa approssimazione - dagli studiosi così come il passaggio da [ʦ] a [s] nelle diverse varietà settentrionali italiane - evidentemente, non in modalità sincroniche dappertutto -, dove sono, per altro, rimasti i relitti della precedente opposizione fonematica - del tipo di zèntu/sèntu - di cui ho scritto.

Il fatto che l'introduzione - recente -dell'italianismo "massa" nei dialetti abbia determinato un "merge" con la voce - antica - massa < mazza, tranne nelle zone e nelle pronunce di tipo arcaico, è chiarissimo e notissimo agli studiosi.

Non ritengo, per altro, che la sua idea, del tutto personale, basata su evidenti abbagli assunti al rango di dogmi possa aprire nuovi scenari.

L'importanza delle citazioni dei vocabolari è decisiva - e l'ho già scritto -. Lei - per quanto i dati siano, comunque, abbagli -si attesta, si ferma al livello della pronuncia, del significante. Ma per potere affermare qualcosa di "significativo" - appunto - sull'origine di una pronuncia occorre riuscire a fare capolino nel livello del significato. L'etimo si fonda sul significato, non su un singolo atto articolatorio trascritto male. I lessici forniscono il significato: «mazza». Nessuno svaluterebbe l'importanza di un lessico milanese e di uno piemontese antichi. Risultano, invece, fondamentali in merito all'aspetto semantico. Qui non si tratta più di errori di trascrizioni o di refusi tipografici. I lessici citati indicano l'accezione semantica: «mazza». Non solo la pronuncia che - ovviamente - risente del "merge" lessicale verificatosi. Che cosa dovremmo fare? Distruggerli perché confutano la sua idea personale? Non dovremmo poterli citare? Anche gli studenti sanno che non ci si può basare soltanto sulla pronuncia. Perché? Perché ci sono i "merge". E mi sono preoccupato di porre in evidenza anche questo aspetto.

Quando interviene un "merge" fonetico - nel caso in questione è intervenuto in un territorio assai ampio - non può più esistere corrispondenza diretta - o biunivoca - tra significante e significato. Occorrono ulteriori informazioni direttamente sul significato.

Sarebbe come sostenere che 4 possa essere solo il quadrato di 2. No, lo è anche di -2. Se non ricordo bene, non posso essere assolutista. Devo andare a riguardare i passaggi precedenti. Cioè devo avere un'ulteriore informazione che 4 - "merge" del quadrato di 2, ma anche di -2 - da solo non può fornirmi. Codesto è un punto di snodo fondamentale.

Anche banali ricerche sui motori della rete forniscono mazza come significato, anche nelle zone in cui si pronuncia massa, masa o simili:
Gaetano Forni [url=http://www.rebel.lombardia.it/wp-content/uploads/2012/11/18_Forni.pdf]qui[/url] (siamo nel territorio milanese) ha scritto:Erano costruiti sul sistema dell'aratro di legno, ma avevano l'orecchio e la mazza (il vomere) di ghisa…

La bure e la stiva erano in legno di rovere, le "orecchie" e la "mazza" (vomere) simmetrica in ghisa…
Klaram [url=https://groups.google.com/forum/#%21msg/it.cultura.linguistica/rRwdRWZicjE/xCvUL_4B-fUJ]qui[/url] ha scritto:Nell'Emilia occidentale l'aratro si chiama con nomi vari tutte varianti
di "mazza". Ora la "mazza" (dal latino arcaico *matea , non attestato, però è attestata la variante "mateola"!) era il vomere dell'antico aratro di legno.
Nell'Emilia orientale questa parte dell'aratro è chiamata con varianti di "vomere" (dal latino classico vomer -eris) ed è l'orecchia ricurva di ferro…
Il termine risulta utilizzato anche in "lingua":
Gaetano Forni [url=http://www.aracneeditrice.it/pdf/9788854815315.pdf#page=742]qui[/url] ha scritto:…aratro semplice monostiva e con vomere «a mazza» (detto anche «a ferro di lancia»)…
Bruno Tagliani [url=http://www.vallestaffora.info/download/000_tradizioni_val_di_nizza.pdf#page=7]qui[/url] ha scritto:…Il frè (fabbro) forgiava zappa, scure, accetta, mazze dell’aratro, picchetto… e faceva altri piccoli attrezzi oggi praticamente scomparsi:…
Ho deliberatamente omesso le denominazioni dialettali di scure e accetta perché inafferenti.
Medi3640 [url=http://www.forum-macchine.it/showpost.php?p=402947&postcount=5]qui[/url] ha scritto:Quella parte del vomere da noi si chiama mazza…
Giovanni Finazzi [url=https://books.google.it/books?id=Ix-ErEUw9ZkC&pg=PA349&lpg=PA349&dq=aratro+a+mazza&source=bl&ots=zUQOhzU0Aw&sig=HBxBRLzPr_ybZ4jXZvl0W_biiho&hl=it&sa=X&ved=0CD4Q6AEwCDgKahUKEwi-muWDovbHAhVGOxoKHX3TCcM#v=onepage&q=aratro%20a%20mazza&f=false]qui[/url] ha scritto:…Fig. 6. Aratro… Pezzo orizzontale su cui è fermata la mazza di ferro… Aratro su cui si mette la mazza di ferro… Fig.8. Aratro… Lunghezza della mazza di ferro… Altezza della mazza…
Il termine - significato - mazza risulta usato con elevata frequenza nel testo.
Moretti-Chiolini [url=https://books.google.it/books?id=HLxhAAAAcAAJ&hl=it&pg=PA16#v=onepage&q&f=false]qui[/url] ha scritto:Il vomere, che già si formava di ferro ai tempi di Virgilio, era quella mazza di ferro…
Anonimo di Cairo Montenotte [url=http://www.gliaffari.it/altro/attivita-agricoltura-florovivaismo/862808-aratro]qui[/url] ha scritto:Di ferro completo da arare con buoi con mazza nuova da attaccare anche a trattore vendesi, ruote davanti di carro asse ceppo (banchetta) vendesi. Cairo Mtte.
Questo è un annuncio dei nostri giorni. Dell'appennino savonese. Dove, come in quello genovese, le persone - parlando e scrivendo in "italiano" - continuano a usare la voce mazza anche in relazione a modelli di aratro molto più moderni. Perché questo è il significato. Indipendentemente dal fatto che, in dialetto, mantengano la pronuncia arcaica - mazza - o quella "moderna" - massa - o si regolino adattivamente in funzione dell'interlocutore.

In quest'ultimo caso si hanno due significanti per lo stesso significato! È tutto estremamente logico e banale!

Le raccolte di volumi d'epoca - e non solo - dedicate all'agricoltura - in Liguria meno curate - pullulano di mazze nel senso di «vomere» in corrispondenza a quell'amplissimo continuum linguistico - di cui la Liguria fa parte - che si oppose alla penetrazione della voce vomere e dei suoi derivati a livello dialettale.

Non ci si può irrigidire in una fissità cognitiva basata solo sulla pronuncia - per di più, trascritta male -. E tentare di costruire castelli instabili solo per celare l'abbaglio costituito da due povere citazioni erronee delle pronunce di vecchi montanari del tutto disaccoppiate dalla ricerca del significato. Senza i significati non si accede al livello dell'etimologia. Anche ai ricercatori e agli studiosi capita di avere idee infelici, ma nessuno ci obbliga a portarle avanti contro ogni evidenza.
Avatara utente
u merlu rucà
Moderatore «Dialetti»
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Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41

Intervento di u merlu rucà »

L'uso di mazza negli esempi si riferisce ad un contesto italiano e dato che massa in dialetto, oltre che «vomere», significa «mazza», diventa facile rapportare massa a mazza.
A me interessano le forme dialettali. Ho trovato un altro esempio di massa in un paese che mantiene [ʦ], cioè Ormea (per la precisione mòssa).
Comunque io resto della mia idea, che massa «vomere» non deriva da *mat(t)ea.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
Interventi: 403
Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Gli strumenti - non solo agricoli - hanno una forma definita

Intervento di Ligure »

1) Prendiamo - per iniziare il discorso - lo Zingarelli - cartaceo - dei nonni:

“massa”,

1.1) ”voce dotta”;

1.2) “quantità di materia unita in modo da formare un tutto compatto di forma indefinita”.

“Voce dotta”. “Forma indefinita”. Non pare proprio che lo Zingarelli abbia detto poco.

2) Non esistono attestazioni di massa nel significato (non pronuncia, dovuta al “merge”, ormai stra-chiarito) di vomere né in Liguria né all'interno del continuum linguistico ligure-piemontese-lombardo evidenziato dall'AIS . . . né . . . altrove;

3) Esistono innumerevoli attestazioni del significato di mazza relative al continuum riferito, come esiste l'evidenza che - nel mondo dell'agricoltura e degli agricoltori locali - permane l'uso e il significato - nell'italiano regionale - di mazza per vomere, voce che, invece, risulta tuttora non completamente nota né ancora completamente generalizzatasi.

4) Se la pronuncia degli ultimi vecchi informatori appenninici può risultare "instabile" e cedere - per mera “compiacenza sociolinguistica” - al fonema [s], la loro pronuncia genuina implica il fonema [ʦ]. Infatti, la loro pronuncia genuina - arcaica - risulta “mazza” - che, ovviamente, non può derivare da “massa” - e il significato attribuito alla voce da parte degli informatori è - ovviamente - quello di mazza.

5) Questo punto riguarda il fatto che l'approccio alla dialettologia presuppone la capacità e l'interesse a capire che non si tratta soltanto di consultare repertori e formulare ipotesi fantasiose. E' un mondo che va conosciuto direttamente, “sporcandosi le mani”. Es.: non si può fare una traduzione immediata e sempre corrispondente tra i tagli di carne tradizionalmente venduti nelle macellerie genovesi e liguri con i termini in uso a Firenze. Non perché non si conoscano le rispettive voci, ma - soprattutto - perché, in molti casi, le modalità di predisporre in tagli adeguati alla vendita la carne bovina non corrispondono. Non si tratta solo di significanti, si tratta - soprattutto - di significati che sono - talora anche soltanto parzialmente - diversi. Differiscono proprio gli “oggetti” - le “Sachen” avrebbero detto i tedeschi dello Sach- und Sprachatlas -.

6) pare che, in molti casi, i compilatori del VPL ligure abbiano prodotto un repertorio di folclore piuttosto che un'opera scientificamente valida. Come traduzione del termine dialettale viene riportato: "puntale del vomere dell'aratro". Evidentemente, il raccoglitore non si rende nemmeno conto di non aver capito di che cosa si stia parlando. Il vomere non ha "puntale"! Se mai, negli aratri antichi, è il vomere stesso a costituire il "puntale", la "punta" che viene innestata sulla struttura della "mazza" - come già più volte chiarito, ma v. anche nel seguito - !. Risulta patetica la convinzione di poter illustrare agli altri ciò che non si è minimamente interessati a comprendere in proprio!

Aratri di legno, vomeri, spazzatura del passato, tutto fa brodo!

Allora, non sarebbe stato meglio scendere al mare e farsi delle sane nuotate rigeneranti! Anziché scrivere di mala voglia - copiando, non raccogliendo nuovi dati! - affermazioni prive di senso!

7) I dati - prima di essere argomentati - andrebbero un pochino verificati - ma su questo non si apre mai alcuno spiraglio - e risulta anche scarsamente condivisibile sostenere a oltranza - contro ogni evidenza - la posizione di chi - assai probabilmente - non ha neppure direttamente raccolto, ma copiato l'abbaglio di altri e ha - comunque - oggettivamente dimostrato di capirci certamente meno di noi!
Altrimenti si ritonfa nel dogmatismo: "Le sure sono state direttamente dettate dall'arcangelo Gabriele" . . . Ma al Sassello - a dettare - il beatissimo arcangelo Gabriele - come direbbero i montanari - non c'era!
Anzi, si passa dal dogmatismo al ridicolo . . .
Ma quale teoria della paralisi! A parte il fatto che il mondo prosegue nei suoi movimenti con totale indifferenza al dibattito, sono state scritte tante scempiaggini sui dialetti liguri che un minimo di atteggiamento riflessivo non potrebbe certamente nuocere a nessuno!

8) Per riuscire a cogliere con immediatezza gli aspetti della cultura materiale sottesi, ci si può anche riferire all'immagine dell'aratro antico che si trova qui.

9) Il termine e il significato attribuito dai montanari liguri non è esclusivamente assegnato alla punta metallica dell'antico strumento - ciò che, a rigore, dovrebbe chiamarsi vomere -. I confini dei significati non godono di esatta corrispondenza biunivoca nella transizione da una varietà linguistica ad un'altra. O dal dialetto alla lingua. Il bello sta proprio qui! Sarebbe pensiero estremamente rozzo e confusivamente semplicistico presupporlo. E l'Alinei lo sa benissimo, come, del resto, moltissimi altri studiosi. E la cartina dell'Alinei relativa al continuum linguistico di mazza - non le sue conclusioni né le datazioni proposte - risulta, sostanzialmente, esatta. Il significante mazza è assegnato proprio alla struttura - in parte lignea e in parte metallica - che corrisponde - in modo molto verosimile - ad un'antica mazza. Le antiche mazze avevano, infatti, la parte metallica - per offendere - innestata su un saldo bastone di legno, inizialmente non ancora metallico. Perché i metalli venivano impiegati con parsimonia. Così è avvenuto per questo tipo di aratri. La metafora è stata riferita a quella parte lignea del ceppo che - considerata insieme con la punta metallica - si prestava con la maggiore verosimiglianza possibile ad essere denominata mazza. Se ci s'intendeva riferire esplicitamente al vomere, si parlava di “punta di ferro (cioè, metallica) della mazza”. Quindi, a rigore, si sarebbe dovuto dire “la punta della mazza”. Ma - abitualmente - per sineddoche si denominava mazza - tout court – anche il vomere stesso, risultando ai dialettofoni dell'epoca - e a non pochi di oggigiorno - la voce vomere completamente sconosciuta. E' esattamente la stessa metafora “oscena” - di un' “oscenità” ormai praticata spensieratamente anche dai bimbi della scuola materna - che spinge, per cattiva educazione, non pochi automobilisti a dire nell'ambito di diverbi lungo le nostre strade “Ma lei non capisce proprio una m . . .”. Non c'è bisogno di dilungarsi: qualcosa di rigido con qualcosa in cima. Esattamente come nella mazza bellica e nella mazza dell'aratro arcaico - se si ha, però, il buon senso e la buona disposizione di intenderla nella sua “vera” struttura senza farsi sviare dal pretendere confini esattamente corrispondenti a quelli dei vocaboli della lingua -. Avere i confini dei significati esattamente coincidenti con quelli della lingua italiana può essere un'aspettativa, ma l'arroccamento sulla sola aspettativa non denota accettazione e comprensione della realtà effettiva. Possiamo pure aspettarci che un risultato sia 4, ma se, tutto verificato, così non fosse, occorrerà pur farsene una ragione e indagarne il motivo. Non mi dilungo sulle metafore - forse più “naturalistiche” che “oscene” - relative alla pratica dell'aratura - in cui ci si avvale di uno strumento che fende, penetra -. Metafore nobilitate da una tradizione naturalistica millenaria e riferite, ad es., anche nel Corano - non nei bar di paese -. Affinché si possano avere lavorazioni accurate del terreno, non solo metafore precise - gli antichi e i dialettofoni non erano dei poveri idioti ed eseguivano con molta cura le loro lavorazioni -, ma anche affinché si possano avere “oscenità” e - se si desidera - anche pornografia risulta imprescindibile la “forma”. L' "oscenità" non deve necessariamente rappresentare esplicitamente una "funzionalità" o una prestazione. Ma dev'essere - almeno - un'immagine, un simbolo che - grazie a una "forma" - possa implicitamente evocarle. Non sono possibili né oscenità né pornografia amorfe, informi. Né le relative metafore. Sarebbe una contraddizione “in re ipsa”. Ma la massa - s'è letto - è amorfa, informe. Inoltre, non si possono avere lavorazioni utili se le forze di taglio del vomere - non solo di penetrazione nel terreno - non sono state adeguatamente valutate al momento della sua costruzione. Ma i punti di applicazione e le rispettive intensità di codeste forze dipendono dalla forma del vomere stesso, comunque lo si denomini. Ci sono raccolte di volumi in cui questi aspetti vengono affrontati - alcune citazioni sono state riferite nel mio messaggio precedente - e in cui - per semplificarne la lettura ai meno preparati - ci si preoccupa di chiarire che si scrive vomere, ma che si sta parlando della mazza. Colla doppia "z"! Mentre la massa è amorfa, informe. Quali forze di taglio riuscirebbe mai ad applicare una congerie amorfa? E dove? E l'informe - inoltre - non consente la metafora, la sineddoche. L'informe non avrebbe potuto rappresentare o evocare assolutamente nulla agli occhi attenti e indagatori degli agricoltori. Che, per altro, non conoscevano la parola massa, italianismo recente. Nessuno strumento - per semplice e banale che possa essere - può essere informe. Deve pur avere una sua forma per poter servire a qualcosa, a fare qualcosa. Ecco perché nessuno strumento - né ligneo né metallico - è mai stato denominato massa. Né sull'appennino ligure, né all'interno del continuum linguistico analizzato né altrove.

P.S. Queste sono le "punte delle mazze" atte a penetrare il terreno - tuttora denominate dialettalmente mazze dai vecchi dell'appennino -. Certo, erano praticamente identiche anche in località lontane.

https://goo.gl/pdCYJy

Si vede bene - nella parte inferiore - come potessero essere innestate sulla parte lignea della mazza per comporre la "mazza completa" - composta da "bastone" di legno più "punta" metallica -.

Tutt'altro che prive di una loro forma! Sia pure in una versione molto arcaica!

Per altro, in modalità - sperabilmente conclusiva - ci si può anche rivolgere al contesto della marineria. Finora, molte evidenze sono state tratte dal mondo dell'arcaica agricoltura appenninica soprattutto per motivazioni di tipo linguistico, in quanto - in questo contesto - si può ancora ascoltare l'originaria pronuncia "mazza" in luogo di quella più moderna, "massa".

Ma anche il contesto di tipo marinaresco conferma l'assunto e, sia pure colla pronuncia "massa" - meno arcaica -, si ritrova questa voce a indicare il boma, cioè un'asta orizzontale.

I lessici forniscono la voce per Alassio, Savona, Varazze, Genova, Bogliasco, Camogli, S, Margherita, Riva Trigoso e Lerici.

Oserei dire che le citazioni marinaresche chiudono il cerchio in modo perfettamente confermativo.
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