[LIJ] Alcune osservazioni sulle geminate liguri

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GBGaribaldi
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Re: [FT] Radd. cons. sillaba postonica parola sdrucciola

Intervento di GBGaribaldi »

u merlu rucà ha scritto:Ora non le sentiamo, ma in passato forse, dato che il ligure lelura potrebbe derivare da *l'ellura, in quanto -l- < -LL- (potrebbe anche, ad onor del vero, essere una dissimilazione per evitare la doppia -r- palatale).
Il ligure (di ponente) leluŕa deriva, in effetti, da lelluŕa. Anzi, è semplicemente la promuncia degeminata di lelluŕa. Infatti, il genovese (che ha ancora le geminate postoniche, ma non più l'r intervocalico) ha lellua.

Non esiste, ovviamente, l'r palatale (o comunque si voglia definire) geminato!! L'r palatale è tale proprio perché è intervocalico e non geminato.

In realtà, si tratta di un fonema approssimante che deriva da -r- ed -l- intervocalici semplici etimologici.
Infatti, all'italiano pala corrisponde paŕa
(in genovese /'pa:/</'pa:a/</'pa:ŕa/</'pa:la/ perché, a Genova l'-r- palatale raggiunse lo zero fonico, mentre in "ponentino tradizionale" si ha - o si "dovrebbe avere" - paŕa - occorre dire "tradizionale" perché, ad es., a Ventimiglia, si ascolta, ormai, l'r italiana, cioè si ha para-).

Ma alla voce italiana geminata palla corrisponde il vocabolo geminato balla che, a Genova, è pronunciato effettivamente balla, mentre verso Ventimiglia si ha degeminazione in -l- di -ll-. La voce valle, a Genova, è, appunto, valle, NON l'inesistente *vae et c. . . .

Infatti, le consonanti etimologicamente geminate ( -ll- ed -rr-), anche se risultano, ormai, degeminate nella pronuncia degli ultimi dialettofoni dell'estremo ponente ligure, non hanno mai subito il passaggio alla cosiddetta "r palatale", transizione subita soltanto dai fonemi NON geminati.

Lo stesso si verificò con -rr- rispetto a -r-.

Infatti, la voce caŕu = caro è cau a Genova e caŕu con "r palatale" nel ponente, anche se, attualmente, quasi tutti i parlanti pronunciano, ormai, l'r italiana.

Per altro, il corrispondente di terra è tera (il fenomeno fonetico intervenuto non è stato, in realtà, una degeminazione, ma qui non si può approfondire) e l'esito "attuale" (meglio sarebbe scrivere "tradizionale", perché l'uso del dialetto è praticamente scomparso) è tera (mai teŕa) con r non palatale in tutta la Liguria (così anche a Genova e nel ponente della regione).

In sintesi, palatalizzazione, lenizione et c. (e comunque si desideri definire questi fenomeni fonetici che dettero come esiti fonemi approssimanti) si sono verificati esclusivamente nel caso di fonemi intervocalici etimologici semplici, NON geminati.

Per dito si ebbe diu. La transizione evolutiva risulta rappresentabile come: /'di:u/</'di:ðu/</'di:du/</'di:tu/. E così in tutti gli altri casi. Ma mattu = matto, battu = batto o gattu = gatto. Il fatto che i ponentini abbiano attualmente pronuncia degeminata riguarda un fenomeno non antico. Genova ha tuttora pronuncia geminata nelle voci riferite. Ma certamente la degeminazione occidentale si verificò quando la lenizione (e le transizioni evolutive successive) non risultavano più attive. Infatti, gli ultimi vecchi dialettofoni dell'estremo ponente pronunciano gatu, NON l'inesistente *gau!

In conclusione: doppie -r- palatali, nei dialetti liguri, non sono mai esistite.

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Sono andato a verificare sull'Azaretti, l'autore che costituisce la fonte, non citata, dell'esempio. L'autore, semplicemente, non si rende conto che l'esito ventimigliese leluŕa presuppone una forma precedente (se non si vuole definirla etimologica) in -ll-. Tutto qui. Bastava verificasse l'esito genovese lellua. Infatti, Ventimiglia risulta più arcaica nella conservazione dell'-r- palatale, ma "perse" la geminazione postonica. Genova, invece, ridusse allo zero fonico -r-, ma mantenne la geminazione postonica. La voce del ponente leluŕa = edera si comporta esattamente come beluŕa = donnola. Si ha, semplicemente, l<ll precedente (rispettivamente dalle precedenti voci lelluŕa e belluŕa) . Infatti, a Genova belluŕa /'bɛlluŕa/ e lelluŕa /'lelluŕa/ dettero le voci corrispondenti (ancora geminate, ma in cui si ebbe riduzione allo zero fonico di -r-) bellua = donnola e lellua = edera, mentre a Ventimiglia si ebbe conservazione di -r-, ma degeminazione consonantica: beluŕa e leluŕa . A riprova di quanto sostenuto.
Avatara utente
u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Io non intendevo una ŕ palatale intensa (o doppia che dir si voglia) che so bene non esistere, ma evitare una forma *leŕuŕa.
Largu de farina e strentu de brenu.
GBGaribaldi
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Consonanti geminate

Intervento di GBGaribaldi »

u merlu rucà ha scritto:Io non intendevo una ŕ palatale intensa (o doppia che dir si voglia) che so bene non esistere, ma evitare una forma *leŕuŕa.
Partiamo dal "fondo". Risulta chiarissimo a me - e ritengo a tutti - che a Lei risulta perfettamente chiara la situazione delle consonanti intervocaliche nel ligure.

E - se per mero assurdo - ciò non fosse, non è compito mio - né di altri - valutare le competenze specifiche di un partecipante al forum. Ci mancherebbe!

E, poi, su quali basi, con quali diritti?

Non a caso mi premurai di citare l'autore responsabile dell'affermazione - l'Azaretti - e il mio scopo consisteva unicamente in una critica motivata a quanto l'autore stesso ha brevemente scritto - a pag. 292 del suo testo su "L'evoluzione dei dialetti liguri" -.

Oltre a tentare di chiarire un pochino un argomento così di nicchia, espresso nel messaggio in estrema sintesi e mediante l'uso dell'aggettivo "doppio", che risulta sinonimo - nel linguaggio corrente - di "geminato".

Certo, nei dialetti liguri, sono giunte a noi dissimilazioni consonantiche.
Ma solo nel caso di eguali consonanti situate in posizioni diverse della parola.

Eguale significa anche della stessa durata consonantica. Altrimenti, che dissimilazione sarebbe stata? Le consonanti si trovavano a essere già dissimili - almeno, relativamente al tratto costituito dalla loro durata -.

Non faccio esempi specifici per non allungare troppo.

Inoltre - ed è ciò di cui non si è reso conto l'Azaretti - -ll- (l geminata) rimane sempre tale nei dialetti liguri. A Genova con l'antica durata consonantica (-ll-), nei dialetti dell'estremo ponente geminata (-l-). In questi casi non si può mai giungere a un r palatale. E quanto scrive l'Azaretti - "conservazione di l intervocalica per la presenza di una r nella parola" - non ha alcun senso.

La forma *leŕuŕa - "evitata" secondo l'Azaretti - non si sarebbe potuta, comunque, ottenere. Perché a ponente si degemina ed -ll- può solo diventare -l-. La geminata -ll-, invece, a Genova - come ho scritto - si mantiene e si ha lellua.

A Genova: lellura>lelluŕa>lellua.

A Ventimiglia: lellura>lelluŕa>leluŕa (ormai, pronunciato - "all'italiana" - lelura).

Anche se, ormai, anche a Ventimiglia gli ultimissimi dialettofoni dicono "edera" anche conversando in "semi-dialetto"!

L'errore dell'autore, comunque, risulta - almeno - duplice:

1) non essersi reso conto che l'etimo dialettale è in -ll- (come quello toscano) e non in -l-; l'attuale forma di Genova lellua lo comprova;

2) una sgradevole disattenzione in merito agli aspetti diacronici. Quando il ventimigliese lelluŕa si degeminò in leluŕa il fenomeno per cui si era avuta la transizione evolutiva- l->-ŕ- non risultava più vitale. La degeminazione risulta molto più recente del passaggio da -l->-ŕ-. Ciò dimostra che si trattò del fenomeno - del tutto generale - costituito dalla degeminazione consonantica e che non intervenne, nella voce in esame, alcuna dissimilazione specifica.

Tra -ll- ed -r-, per altro, non può sussistere alcuna dissimilazione !!! Si tratta di fonemi consonantici diversi e dotati di durata consonantica diversa !!!

Per me - e per molti altri - quanto scrive l'Azaretti - e gli altri autori - non costituisce un dogma. E se scrivono sciocchezze, esse vanno considerate in quanto tali. Questa è una sciocchezza.

La "polemica" -se si vuole, per altro unicamente "intellettuale", è ovvio - è contro il "dogma" cui - spesso implicitamente - sottostanno gli autori. Che il ligure non abbia avuto e non conservi tuttora in alcune sue varietà e in determinate posizioni consonanti geminate. Mentre, ad es., in posizione postonica i dialetti di tipo genovese le hanno tuttora.

In ossequio alla loro "pigrizia intellettiva" e al "dogma" errato che i dialettil liguri devono essere dialetti settentrionali di tipo gallo-italico "in toto", "ergo" "non possono" avere consonanti "doppie".

Quando gli autori si avvalgono - anche implicitamente - di questo assunto, giungono - come in questo caso l'Azaretti, che non considerò essere il genovese attuale lellua "spia" dello stadio geminato precedente - a delle banali sciocchezze.

Sarebbe vero rispetto degli autori e della capacità individuale di raziocinio
non seguirli quando scrivono inesattezze.

In ossequio al principio di non considerare le geminate - per non dovere ammettere la non completa settentrionalità dei dialetti liguri, principio della cui motivazione, in seguito, gli epigoni non saranno nemmeno più consapevoli - si tralasciò lo studio della fonetica, accontentandosi di "approssimazioni" di tipo "medievale".

Infatti, a partire da quando ancora - nei secoli scorsi - esistevano informatori affidabili e genuini ad arrivare ad oggi - ormai, quasi nel 2016, gli studiosi si sono sempre peritati di studiare - anche grossolanamente - le isoglosse che - a Est e a Ovest - separano le varietà linguistiche in cui è intervenuta la geminazione da quelle di tipo genovese in cui s'è mantenuta.

Mentre sono state studiate isoglosse per fenomeni linguistici di molto maggiore dettaglio.

E' la buona fonetica che dovrebbe costituire la base di una soddisfacente fonologia.

Ma così non s'è fatto e gli epigoni, sia pure inconsapevolmente, osservano scrupolosamente il tabù degli antichi, pur ignorandone, ormai, la motivazione.

Mentre qualsiasi tipo di studio dovrebbe presupporre una forte motivazione veritativa e la conseguente capacità di superare vecchi freni e ipocrisie che non hanno più alcuna ragione di esistere . . .

Nessuno più - nel 2016 - si scandalizzerebbe se alcuni tratti dei dialetti liguri potessero risultare in parte difformi da quelli delle antiche parlate gallo-italiche, ma nessuno approccia il fenomeno in modo scientifico, tutti riciclano e "ricicciano" vecchi scritti e vecchie conclusioni, che si dimostrano tutt'altro che scevre dai "pregiudizi di scuola".
Ultima modifica di GBGaribaldi in data mer, 09 dic 2015 19:01, modificato 2 volte in totale.
GBGaribaldi
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AFFIDABILITA' DELLE FONTI

Intervento di GBGaribaldi »

Anche se - per quanto mi riguarda - riterrei questo intervento "conclusivo"- e perfino un po' "laterale" rispetto alla centralità del tema affrontato - relativamente al piccolo filone dell' "edera" ligure, chiedo gentilmente al moderatore di valutare se spostarlo in Dialetti.

Dal momento che si parte da un etimo comune anche al toscano popolare, ma si sviluppano argomenti di ambito dialettologico specificamente ligure.

Concludo segnalando che anche l'etimo proposto per la forma ligure - originariamente lelluŕa<lellura - dall'autore di "L'evoluzione dei dialetti liguri" citato negli interventi precedenti non regge.

Infatti, a pag. 129 della sua opera si propone come rtimo un incrocio tra le voci latine "hedera" e "helice"(voce certamente di origine greca, ma, per altro, non attestata in latino, che ha, invece, "helica" = spirale, elica). Ma "helica" non ha geminazione - come non ne ha "hedera" - e l'ipotesi non vale a spiegare . . .

Ancora soltanto un punto che discende dalle ultime considerazioni degli interventi precedenti relativi all'inaffidabilità derivante dal mantenersi conformi ai pregiudizi di scuola nel rifiutarsi di rappresentare correttamente le consonanti geminate - ad es., nei dialetti di tipo genovese -.

Con evidenti ricadute anche nelle opere di divulgazione - quelle, indubbiamente, più lette - e relative lagnanze e incredulità da parte dei lettori anche nei confronti di studiosi serissimi.

Che, però, non hanno potuto non avvalersi delle fonti locali.

I numerali genovesi includono ['kwattru] = 4, ['sɛtte] = 7 e ['øttu] = 8, tutti geminati.

Che un autore - F. Toso - in una sua "Grammatica del genovese" riporta quali [kwàtru] = 4, [sète] = 7 e [ötu] = 8 (sic!).

Ne consegue - a pag. 86 del "Profilo linguistico dei dialetti italiani" dell'ottimo Loporcaro - la conclusione in base alla quale si avrebbe [sɛte] tanto in veneziano quanto in genovese!

Chiunque abbia potuto ascoltare - almeno una volta - un veneziano e un dialettofono genovese sa benissimo che la "realtà fonica" non è esattamente così!

E fino ad anni recenti anche persone umili e non dotate di cultura - men che meno di tipo linguistico - avevano chiaro l'abisso fonetico che intercorre tra le parlate venete e le varietà dialettali della Liguria.

Non proseguo con altri esempi - né colle citazioni di ottimi autori indotti in errore - perché essi risultano sempre derivati da un'evidente fallacia d'impostazione: si riconducono tutti - in sintesi - al rifiuto di studiare il fenomeno per ciò che esso - oggettivamente - è e al volersi pervicacemente sempre ricondurre a "dogmi" la cui inconsistenza è già stata ampiamente dimostrata!

Avevano ragione gli antichi logici: se le conseguenze di un assunto cozzano colla logica (nel caso della linguistica - scienza sperimentale - coll'evidenza), è l'assunto che è assurdo . . .

E chi riceve moneta "falsa" rischia - del tutto inconsapevolmente - di favorirne la diffusione . . .
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