Precisazioni sugli stereotipi delle parlate regionali

Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

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Carnby
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Intervento di Carnby »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Una domanda: quella e di quante/cante non si dovrebbe intendere come e’ (pronome pleonastico), e non si dovrebbe quindi scrivere quant’e’?
Giusto. :wink:
Ivan92 ha scritto:Due domande: se la sonora rimpiazza la sorda, la gorgia va a farsi benedire, giusto?
Sì, però esiste anche una «gorgia massima» (nel registro più rustico) nella quale vengono lenite anche le sonore (quindi /-b-, -d-, -g-/ → [β, ð, ɣ]) e quindi si può dire «cant'e' [ɣ]osta?».
Ivan92 ha scritto: il fenomeno riguarda i dialetti toscani in generale o soltanto alcuni di essi?
Rohlfs cita esempi da tutti i grandi gruppi nel quale è diviso il toscano: dal fiorentino, dal senese, dal pisano, dall'aretino... Bisogna però notare che in alcune zone si dice gostà e non gattivo e così via. Credo che esista una certa stigmatizzazione del fenomeno, per cui non tutte le parole sono colpite da questa caratteristica.
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Animo Grato
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Intervento di Animo Grato »

Sixie ha scritto:Io dico vegnére (a costare).
u merlu rucà ha scritto:Anche in ligure si usa venire: cant u ven? e pure nell'italiano regionale: quanto viene?
Millermann ha scritto:Be', in effetti venire si usa anche qui («quantu vene?» e anche, piú raramente, «quantu vene a sta'?»).
Carnby ha scritto:Qui «quante viene?» o «quante gosta?».
Nota oziosa: siamo sicuri che questo venire sia la forma ellittica dell'espressione venire a costare (e sia quindi il "normale" venio, venire latino) e non derivi piuttosto dal latino veneo, venire (letteralmente "andare in vendita", quindi "essere venduto", contrapposto a vendo, "dare in vendita, vendere")? L'area semantica è quella, e in questo caso non si tratterebbe più di un'espressione ellittica: l'eventuale precisazione ("a costare") sarebbe invece un elemento posticcio, di cui s'è avvertita la necessità una volta persa la consapevolezza della distinzione (etimologica e semantica) dei due venire.

P.S. Mi scuso per le trascrizioni sommarie, ma non so come inserire i diacritici per la vocale lunga e la vocale breve.
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«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
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Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Grazie mille, caro Carnby! :)
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sixie ha scritto:Io dico vegnére (a costare) :
Cossa vienlo on chilo de pan? El vien pochi /tanti schèi.
Non abbiamo un verbo per dire "costare" e nemmeno "valere", e se li usiamo li prendiamo in prestito dall'italiano.
In alternativa, èsare per "costare" : cossa/cuanto xelo ....
Benché dica anch’io cosa vienlo? piú spesso che cosa costelo?, non mi pare che costare sia un prestito dall’italiano. Costare si trova nel dizionario del Boerio e in un «vocabolario veneziano e padovano» del Settecento, oltre che in una serie di reperto�rî e glossarî in Rete.

È opportuno precisare inoltre che venire (a costare) a qualcuno non è affatto specifico del veneto o di altre parlate locali, ma è panitaliano (cfr. Vocabolario Treccani s.v. «Venire»).
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Sixie
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Intervento di Sixie »

Costare, composto di cum e stare; esito popolare, corrispondente alla forma dotta italiana constare... ancora troppo 'dotta' per poterla usare, caro Ferdinand, almeno qui da noi.
Piuttosto, ha preso in considerazione la proposta etimologica di Animo Grato? Davvero interessante : cossa v(i)enlo sarebbe allora cossa lo vèn, (a) quanto lo ven(de).
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Non sono sicuro di aver capito la sua osservazione, cara Sixie. Constare è un ricupero dòtto, che ha un significato diverso in italiano; costare è invece la forma di tradizione ininterrotta, con la normale semplificazione del nesso -NST-, semplificazione che non è estranea neanche al veneto. Ripeto: non mi risulta che costare non faccia parte del lessico fondamentale del veneto; anzi, guardi qui a quanti continuatori moderni ha dato vita il latino CONSTARE, anche in lingue non neolatine.

L’ipotesi di Animo Grato è senza dubbio molto suggestiva, ma temo che sia di difficile dimostrazione. Il verbo veneo, poi, al meglio delle mie conoscenze non ha lasciato tracce nel lessico della Romània. A mio modesto avviso è meno complicato ipotizzare che quest’uso colloquiale derivi dall’ellissi di venire a costare o da una metafora spaziale ([per] quanto viene [a me quest’oggetto]?).
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Intervento di Sixie »

Anche la sua ipotesi è interessante, caro Ferdinand. :)
Cosa vuole che le dica, costare farà anche parte del lessico veneto ma il suo uso - per quanto concerne la mia variante - non mi convince appieno.
Non che non si possa chiedere direttamente al venditore , in riferimento a una merce qualsiasi, cossa costela?, ma personalmente preferisco l'altra forma, per me più comune, cossa vienla?, mentre potrei lamentarmi di averla pagata troppo dicendo la me ga costà cara, ad esempio.
Non so spiegarmi meglio: c'è un contesto per usare costare e un altro per vegnere (a costare).
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Re:

Intervento di andrea scoppa »

Ivan92 ha scritto: mer, 18 mag 2016 23:38 Gosta? Come mai l'occlusiva si sonorizza? Mi ricorda molto i dialetti del maceratese!
In realtà, /k/ intervocàlica equivale a [ɡ̊]. Quella parola, insomma, gl'indígeni non la scriverebbero mai colla gi.
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
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Re: Sonorizzazione di [k]

Intervento di Carnby »

andrea scoppa ha scritto: lun, 17 gen 2022 16:05 In realtà, /k/ intervocàlica equivale a [ɡ̊]. Quella parola, insomma, gl'indígeni non la scriverebbero mai colla gi.
Questo perché in Toscana la sonorizzazione di [k] (nei casi dove avviene) è completa e si ha il passaggio al fonema /ɡ/; lo stesso non avviene nelle parlate mediane, dove si tratta di un fenomeno fonetico e non fonematico.
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