Influssi dotti nei dialetti

Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

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Ferdinand Bardamu
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Non le so dire molto riguardo al passaggio della parola nei nostri vernacoli, tuttavia le posso assicurare che usavamo franco in dialetto in quest’accezione (lira e soldi in generale) anche noi in Veneto: es. «Go cronpà domila franchi de pan», «El bòcia el ghe dà ’na man a so opà cussita el se ciapa calche franco».

In quanto alla sua seconda domanda, no, qui da me l’uso di franco è scomparso con l’avvento dell’euro.
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u merlu rucà
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L'informatore e/o raccoglitore del VPL per Arenzano è il Prof. Fiorenzo Toso, docente di linguistica generale all'Università di Sassari, ma non sapevo che raccogliesse dei falsi storico-linguistici. La prossima volta che ci incontriamo gliene chiederò il motivo... L'autore del Dizionario dialettale Sanremasco è Pio Carli, che non è stato certo un eminente linguista ma è vissuto in un periodo in cui il dialetto era, anche in una città come Sanremo, la parlata primaria (1893-1990) e certamente non ancora fortemente italianizzata.
Affermare che da molti secoli nessuno usa francu quale sinonimo di libero, mi sembra un po' azzardato. Il fatto che autori genovesi, colti, usino libberu invece di francu, potrebbe anche essere dovuto al fatto che quest'ultimo era inteso come troppo plebeo o popolano.
Largu de farina e strentu de brenu.
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u merlu rucà
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Per quanto riguarda franco nel senso di soldo, riporto quello che Hugo Plomteux scrive nella corrispondente voce nel suo I dialetti della Liguria orientale odierna: Franco per "lira" è tuttora diffuso in Liguria orientale, in Lombardia, nel Veneto, in Emilia, in Umbria ed in Sardegna (AIS IV 839). Si noti che, in Liguria orientale la vecchia lira tradizionale è scomparsa solo verso il 1846, soppiantata cioè dalla nuova lira piemontese introdotta subito dopo Napoleone, nel 1816. La "nuova lira"piemontese venne chiamata franco per distinguerla bene dalla lira vecchia.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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u merlu rucà ha scritto:L'informatore e/o raccoglitore del VPL per Arenzano è il Prof. Fiorenzo Toso, docente di linguistica generale all'Università di Sassari, ma non sapevo che raccogliesse dei falsi storico-linguistici. La prossima volta che ci incontriamo gliene chiederò il motivo... L'autore del Dizionario dialettale Sanremasco è Pio Carli, che non è stato certo un eminente linguista ma è vissuto in un periodo in cui il dialetto era, anche in una città come Sanremo, la parlata primaria (1893-1990) e certamente non ancora fortemente italianizzata.
Affermare che da molti secoli nessuno usa francu quale sinonimo di libero, mi sembra un po' azzardato. Il fatto che autori genovesi, colti, usino libberu invece di francu, potrebbe anche essere dovuto al fatto che quest'ultimo era inteso come troppo plebeo o popolano.
Il Vocabolario delle Parlate liguri riporta - al punto 1) - per francu i traducenti "schietto, leale, sincero". Non riferisce altri traducenti. Al punto 2) compaiono i significati "fissato saldamente, sicuro, a posto". Ovviamente, "fissato saldamente" risulta, chiaramente, antonimo rispetto a libero. Soltanto per la località di Arenzano annota - al punto 3) - "libero". Ma l'esempio è "parlante". L'es. è francu dau travàgiu (occorrerebbero due g perché così si pronuncia pure ad Arenzano, ma lasciamo perdere...) e le traduzioni fornite risultano, rispettivamente, "libero dal lavoro" e "senza impegni". Si tratta di un'espressione arcaica, stereotipata, utilizzata spesso in modo ironico/scherzoso che, letteralmente, implica l'accezione "caricaturale" di "esente dal lavoro". Proprio come se si trattasse di una particolare franchigia/esenzione dall'attività lavorativa accordata allo specifico individuo così designato.

Anche ad Arenzano, ovviamente, tutti i significati dell'italiano "libero" sono veicolati dall'italianismo corrispondente e neppure ad Arenzano l'aggettivo francu può reggere l'infinito verbale.

Quindi, neppure ad Arenzano francu può essere considerato traducente né sinonimo di libero.

Per altro, il già menzionato Aprosio riporta, nel suo Vocabolario, esclusivamente i traducenti "franco, schietto". Certamente non libero. Forse, consapevole della possibile confusione determinabile dall'indicazione di libero nell'accezione - specifica e restrittiva - di esente.

Mi ha scritto privatamente più di un lettore. Rispondo pubblicamente perché a tutti avrei, comunque, fornito la stessa risposta. Molti manifestavano perplessità riguardo al fatto che, in merito ai dialetti liguri, pur di confutare affermazioni oggettivamente attendibili, si faccia ricorso all'Autorità degli Autori, spesso interpretata a senso unico, cioè a favore di una tesi specifica.

Condivido le perplessità manifestatemi. Innanzitutto, perché gli Autori spesso sbagliano e - nel caso dei dialetti liguri - ciò risulta abbastanza frequente. Comunque, la verità linguistica è del tutto laica ed è tale indipendentemente dal fatto che un Autore possa essere considerato un'Autorità. Soprattutto perché si tratta di una valutazione palesemente soggettiva, che non è affatto detto possa trovare unanimi tutte le persone, alcune delle quali hanno potuto riscontrare frequentemente anche la palese fallibilità umana di Autori, da altri considerati quali Autorità.

Credo 1) che la Verità esista - purché si accetti di riconoscerla - del tutto indipendentemente dal fatto che alcuni Autori se ne siano occupati e siano riusciti a comprenderla.

2) La Verità parla da sé - se s'accetta d'ascoltarla - e non esiste nessun tipo d'Autorità contro la Verità. L'eventuale errore di un Autore non rende falsa la Verità.

3) In questo caso specifico, per altro, dal momento che il Toso non è stato soltanto raccoglitore per Arenzano, ma fece parte della Commissione del Vocabolario delle Parlate liguri, egli altro non fa che testimoniare la Verità delle parlate liguri. Fornendo la corretta traduzione di "schietto, leale, sincero". Ma anche "fissato saldamente, sicuro, a posto". In antonimia rispetto a libero. E proponendo, essendo lui arenzanese, un'espressione stereotipata nel senso esclusivo e restrittivo - ormai, scherzoso - di "esente". Come testimoniato ampiamente da tutti i testi dialettali disponibili, dai lessici e dagli altri Autori - Autorità o meno che si decida di ritenerli -.

4) Il VPL tratta, alla voce successiva, francu quale avverbio. Qui le uniche traduzioni presenti sono "francamente, sicuramente". Nessun'altra. Men che meno "liberamente". Qui l'esempio di Arenzano è u l'é nesciu francu. Nesciu significa "stupido". La traduzione è "è proprio stupido". Cioè, è sicuramente, francamente stupido. L'avverbio non può mai significare "liberamente". Se non nel senso di "francamente". Anche questo dato mi sembra particolarmente chiaro e significativo (pag. 46 del II Vol. del VPL). La traduzione non potrebbe mai essere né "è stupido libero" né "è stupido liberamente". Espressioni che, ovviamente, non possiedono alcun significato ...

Concludendo, le informazioni vanno fornite in modo veritiero e, se si citano riferimenti bibliografici, essi vanno esposti nel loro effettivo contenuto (da cui chi legge possa comprendere il reale significato), non in modo parziale per poter andare a suffragio di una tesi erronea predeterminata.

Insomma, il Vocabolario delle Parlate liguri e il contributo del Toso altro non confermano se non quanto ho - a più riprese - chiarito nell'ambito dei messaggi da me inviati: cioè che franco, nei dialetti liguri - come, per altro, in tutte le varietà linguistiche neolatine attuali -, non risulta affatto sinonimo di libero né - a differenza di questo - può reggere l'infinito.
Possiede un ambito semantico proprio e distinto e la sovrapposizione con le accezioni di libero si verifica esclusivamente nel senso di esente.
Da imposte o prestazioni. Com'è attestato da tutti i lessici liguri che offrano un minimo di dettaglio o di approfondimento e com'è testimoniato anche dall'espressione arcaica (e scherzosa) del dialetto di Arenzano in cui la prestazione presa in considerazione è il lavoro umano.

Certamente, se il Toso e gli altri lessicografi liguri avessero raggiunto - nei loro testi - una chiarezza espositiva assoluta o se, nel momento in cui redigevano alcune brevi note sull'aggettivo ligure francu, fossero stati direttamente focalizzati sull'argomento in questione, non avrebbero adoperato la voce libero - quale ulteriore possibile traducente di francu -, ma - per maggiore chiarezza del lettore - l'aggettivo esente. Tuttavia, chi legga con onestà intellettuale e intelligenza gli esempi proposti - dal Toso come anche dagli altri lessicografi liguri - per questa ulteriore accezione dell'aggettivo francu si rende facilmente conto dell'unica possibilità di significato. Cioè quello di esente. Inoltre, chi conosca i dialetti liguri comprende anche che si tratta di un uso arcaico, ormai ampiamente residuale e stereotipato. Forse, l'utilizzo di libero da parte del Toso o di altri lessicografi potrebbe anche essere stato influenzato dal fatto che, ormai, anche i dialettofoni, normalmente, non utilizzano più francu nel senso di esente - se non in espressioni stereotipate - e, ritenendo il termine esente poco consono all'espressione dialettale, si avvalgono, anche in questo significato, dell'aggettivo lib(b)eru.


P.S.: l'uso di libberu nel genovese urbano - e nel contesto delle parlate di tipo genovese - non dipendeva dalla cultura dell'autore o dal tipo di socioletto adottato. Nei tre socioletti genovesi, quello aristocratico - estinto -, quello borghese - sopravvissuto - e quello popolare - anch'esso estinto -, non esisteva alcuna differenza semantica o d'uso del termine libberu. E non veniva mai utilizzato - in quest'accezione - l'aggettivo francu. Almeno, a partire dai sec. XIV/XV come testimoniato dai testi pervenuti.

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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Non entro nella diatriba sul ligure; posso solo dire che la parola franco (anche nelle sue declinazioni) compare alcune volte nell’archivio in Rete di testi veneti dalle origini al XVII secolo, ma in nessuna pare avere il significato di libero. Nelle Rime di Magagnò, Menon e Begotto, si legge:
  • El me xe stà insegnè
    mille reccette d’aiarme, Thietta,
    che no m’ha zoò gnente in bona fetta.
    chi dise ch’a’ me metta
    dell’ortighe lavè in lo vin bianco
    in sul magon, che doman a’ son franco.
    Dise un altro: sta’ almanco
    otto dì senza vin, ch’a’ t’imprometto
    che sto sferdor t’anarà via in affetto.
Ma qui, dato anche il contesto (Menon si lamenta perché ha un fortissimo raffreddore che gli provoca una tosse squassante), vuol dire, mi sembra, guarito (ossia libero dal male).

Nella Vaccaría del Ruzante (atto terzo), uno dei personaggi in un «a parte» dice:
  • A’ seóm franchi: colú no è ancora vegnú con i dinari.
che il curatore del volume di Einaudi sul teatro ruzantiano, Ludovico Zorzi, traduce con salvi.

D’altra parte, nello stesso archivio si trova libero (cosí scritto), attestato nell’Anconitana del Ruzante:
  • Che gran quantitae de dineri sé questa? E’ ’nde spenderae volentiera el dopio, e poder haver el mio intento con quella forestiera, che son inamorao. Se mia mogier haverà sto schiavo, l’atenderà a l’ago, a farse taiar e stricar le veste, e sì no me vardarà sempre drio, e sì no vorà sempre saver donde son stao: «Che havéu fato da la tal? e da la tal?» Anche mi sarò più libero de quel che son.
Cito solo questo nonostante vi siano altre occorrenze, perché negli altri casi la parola è inserita in frasi toscane o toscaneggianti.
Ligure
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u merlu rucà ha scritto:Per quanto riguarda franco nel senso di soldo, riporto quello che Hugo Plomteux scrive nella corrispondente voce nel suo I dialetti della Liguria orientale odierna: Franco per "lira" è tuttora diffuso in Liguria orientale, in Lombardia, nel Veneto, in Emilia, in Umbria ed in Sardegna (AIS IV 839). Si noti che, in Liguria orientale la vecchia lira tradizionale è scomparsa solo verso il 1846, soppiantata cioè dalla nuova lira piemontese introdotta subito dopo Napoleone, nel 1816. La "nuova lira"piemontese venne chiamata franco per distinguerla bene dalla lira vecchia.
Demandando alla competenza degl'italianisti quanto concerne la geminazione anetimologica italiana di libbra (dal momento che esistono anche sostantivi italiani dotati di significati anche molto lontani tra loro senza che ne risulti differenziato/alterato l'aspetto fonetico), mi permetto d'aggiungere qualche dato.

Il socioletto aristocratico genovese possedeva la voce di derivazione diretta (perfettamente regolare) lîŕa /'li:ŕa/. Essa indicava sia la libbra (peso) quanto la lira della Repubblica oligarchica. Ancora aderente, come la lira sterlina inglese fino a pochi anni fa, alla monetazione d'origine carolingia. Cioè una lira di venti soldi - sôdi /'sɔ:di/ - (ciascuno di dodici denari - dinæ /di'nɛ:/ -). Perché, inizialmente, la lira rappresentava il valore economico d'una libbra d'argento. In seguito al declino del potere oligarchico venne in uso la lira decimale e le misure di peso del nuovo sistema metrico. S'abbandonò il socioletto aristocratico. Nel socioletto borghese la pronuncia fu lîa /'li:a/ (esattamente come nel socioletto popolare attualmente estinto), ma l'ambito semantico si restrinse alla valutazione del peso nelle vendite al dettaglio. In cui, fino a non molti anni fa, la lîa /'li:a/ indicava, nel linguaggio dei vecchi avventori, il peso di tre etti. La voce fu dismessa per quanto concerneva la lira decimale, denominata francu in quanto introdotta colla Repubblica democratica, creatura dell'occupante francese.
E anche per non collidere coll'accezione - residuale, ma ancora viva, al tempo - relativa al peso valutato secondo le antiche misure locali.

P.S.: Come tuttora in italiano si parla di "soldi", metaforicamente i dialettofoni ancora parlano di franchi, ma nessun dialettofono usa francu per l'euro. La pronuncia dell'italiano locale prevede - universalmente - l'/e-/ molto chiuso. I vecchi dicono /'eurɔ/, mentre si nota, in alcune persone più giovani, la tendenza a chiudere l'/-ɔ/ finale, se pure la pronuncia dell'/e-/ iniziale permanga sempre molto chiusa e la fonetica risulti ben distinguibile da quella neutra.

Quand'ancora s'usava la lîa /'li:a/ per i tre etti, s'accettava già la definizione (fondata sul "nuovo" sistema metrico decimale) di quârtu /'kwa:rtu/ per i 250 g. La differenza tra la lîa /'li:a/ e il quârtu /'kwa:rtu/ era di due unse /'unse/ = once. Misura adatta per i preparati galenici ancora forniti dalle farmacie. Essendo l'unsa /'unsa/ la dodicesima parte della lîa /'li:a/: 300:12 = 25. Infatti, s'erano voluti mantenere, con opportuni arrotondamenti, risultati esatti di divisibilità metriche non più attuabili nell'ambito del sistema a base 10.
Ligure
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Ferdinand Bardamu ha scritto:Non entro nella diatriba sul ligure; posso solo dire che la parola franco (anche nelle sue declinazioni) compare alcune volte nell’archivio in Rete di testi veneti dalle origini al XVII secolo, ma in nessuna pare avere il significato di libero.
Pur senz'adeguata tempestività, ringrazio Ferdinand per i riferimenti veneti. Davvero interessanti. Diatriba? In realtà, la tesi che sosterrebbe - almeno, in Liguria - la sinonimia tra franco e libero non esiste effettivamente perché, come ampiamente dimostrato nei messaggi precedenti, l'aggettivo panligure francu - a differenza degli esiti locali di libero - non può assolutamente reggere l'infinito. E, inoltre, coincide cogli esiti di libero soltanto limitatamente al significato di esente (da imposte o prestazioni personali). Ma, in quest'accezione, si tratta di un uso residuale, non più produttivo, com'è testimoniato dal fatto che si tratta di espressioni - ormai, arcaiche - esclusivamente riscontrabili come stereotipi linguistici o impiegate soltanto in frasi d'intento scherzoso, ironico.

Non conosco quale fosse esattamente la situazione linguistica in Italia e nel mondo neolatino prima del sec. XIII e - per quanto concerne la Liguria - nessuno, per altro, la conosce precisamente, a causa della scarsità dei testi pervenuti e delle occorrenze della voce specifica.

Né so se l'etnico franco implicasse già l'accezione di coraggioso, ardito o se questo significato sia stato acquisito a seguito dell'imprese di conquista condotte a termine con successo da questa popolazione d'origine francone (infatti, le opinioni in merito risultano discordi).

Tuttavia, come ho già scritto, dopo i sec. XIV, XV la situazione in Liguria risulta documentata in modo sufficientemente chiaro e corrisponde alle condizioni attuali dei dialetti locali.

Oltre a coincidere - sostanzialmente - col livello colto della lingua (attualmente l'italiano neutro), a partire dal quale l'aggettivo francu, che, ovviamente, non può risultare di derivazione diretta, venne introdotto nei dialetti della regione.

E anche coll'ambito dei significati relativo alle lingue neolatine.

In Liguria - come nel resto del mondo linguistico neolatino - francu venne a significare la libertà - anche dell'uomo - relativa alle imposizioni e alle prestazioni richieste dal fisco e dall'Autorità.

Quindi, accezione di libero dal non dover pagare, dal non dover fare (cioè da pagamenti o altre richieste). Quindi, esente. E, infatti, nei dialetti della Liguria - per quanto, ormai, soltanto in espressioni stereotipate, con questo significato, si può ancora riscontrare l'aggettivo francu. Il quale, tuttavia, può reggere esclusivamente le preposizioni de /de/ = di o da /da/ = da, seguite dall'opportuno sostantivo, ma mai un infinito verbale.

Ma il significato della libertà umana risulta assai più ampio e il significato fondamentale riguarda la libertà di poter fare, di poter essere.

In quest'accezione, come anche in italiano e nelle altre lingue neolatine, in Liguria non si può mai usare l'aggettivo francu, ma si può utilizzare esclusivamente l'italianismo corrispondente a libero: lib(b)eru e, nei dialetti di tipo spezzino, libero. Ed è soltanto lib(b)eru che - esattamente come in italiano ("sono libero di fare/non fare, non sono libero di ...") - può reggere l'infinito. Mai francu!. Esattamente come in italiano e nelle altre lingue neolatine!

Pertanto, esattamente come in italiano, anche in Liguria gli aggettivi francu e lib(b)eru conservano una residuale sovrapposizione di significato soltanto nell'accezione di esente. Per altro, esclusivamente in espressioni arcaiche e, ormai, stereotipate.

Anche in Liguria, in tutto il restante ambito semantico i significati veicolati dai due aggettivi permangono differenti * e, quindi, essi non possono affatto essere ritenuti o usati quali sinonimi.

La tesi della sinonimia non esiste.

P.S.: Certamente, se il Toso e gli altri lessicografi liguri fossero riusciti a raggiungere - nei loro testi - una chiarezza espositiva assoluta o se, nel momento in cui redigevano alcune brevi note sull'aggettivo ligure francu, fossero stati direttamente focalizzati sull'argomento qui trattato, non avrebbero adoperato la voce italiana libero quale ulteriore possibile traducente di francu, ma - per maggiore chiarezza del lettore - l'aggettivo esente. Tuttavia, chi legga con onestà intellettuale e adeguata intelligenza gli esempi proposti - dal Toso come anche dagli altri lessicografi liguri - in merito a questa ulteriore accezione dell'aggettivo francu si rende facilmente conto dell'unica possibilità di significato. Cioè quello di esente. Inoltre, chi conosca direttamente i dialetti liguri comprende anche che si tratta di un uso arcaico, ormai ampiamente residuale e stereotipato. Si potrebbe anche pensare che l'utilizzo di libero - quale traducente italiano - da parte del Toso o di altri lessicografi sia stato influenzato dal fatto che, ormai, anche i dialettofoni, normalmente, non utilizzano più francu nel senso di esente - se non in espressioni stereotipate - e, riscontrando abitualmente il termine esente in testi di tipo burocratico, ritenuti poco consoni all'immediatezza e alla semplicità dell'espressione dialettale, si avvalgono ormai, anche in questo significato, dell'aggettivo lib(b)eru.

* Il dizionario del Casaccia del 1876 (il lessico genovese più consultato in assoluto), alla voce franco, che, nelle grafie antiche, vale francu, propone - con molta chiarezza - "franco, sincero, schietto, ingenuo, leale". Ma anche "franco, risoluto, ardito, coraggioso, senza timore". E - come molte volte già chiarito - "libero, cioè esente da qualche uffizio, carica, gravezza, vincolo, soggezione o simili".

Il vocabolario del prof. Frisoni del 1910, l'unico che contenga anche una parte dall'italiano (non cito lessici più recenti perché compilati da persone che, ormai, non possiedono una competenza diretta del dialetto, che intendono più come strumento di rivendicazioni autonomistiche in sede politica che quale oggetto di studio linguistico condotto scientificamente) fornisce - per gli aggettivi italiani franco e libero - le rispettive traduzioni franco e libero. Le quali, nella grafia "italianizzante" dell'epoca altro non valgono se non francu e lib(b)eru. Inoltre, a partire dall'aggettivo ligure francu - nel senso di esente - non s'è mai sviluppata ulteriore produttività linguistica, se non relativamente alla voce franchȋxe /ˌfran'ki:ʒe/ = franchigia, ormai desueta. Mentre tutta la produttività linguistica connessa al significato di libertà - sostantivi e verbo - si ricollega direttamente all'aggettivo lib(b)eru e riguarda, ovviamente, italianismi quali, ad es.: lib(b)ertæ /ˌlib(b)er'tɛ:/ = libertà, lib(b)erâ /ˌlib(b)e'ra:/ = liberare, lib(b)erasiun /ˌlib(b)era'sjun/ = liberazione e lib(b)eratû /ˌlib(b)era'tu:/ = liberatore.
Tutte voci agevolmente riscontrabili anche nei lessici antichi del dialetto. Che non possono essere assolutamente sostituite da nessun altro - per altro, inesistente - sinonimo. A ulteriore e documentata conferma di tutto quanto finora esposto.
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Ferdinand Bardamu
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L’aggettivo «franco» nel dialetto veronese

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Ferdinand Bardamu ha scritto: mar, 08 gen 2019 23:24Non entro nella diatriba sul ligure; posso solo dire che la parola franco (anche nelle sue declinazioni) compare alcune volte nell’archivio in Rete di testi veneti dalle origini al XVII secolo
Aggiorno quest’informazione sull’uso di franco nei dialetti veneti portando la mia esperienza personale: franco è tuttora adoperato nell’accezione di ‹sicuro, spigliato, spedito libero da impaccio›. Ne ho trovato un riscontro lessicografico nel già citato Lessico dei dialetti del territorio veronese di Giorgio Rigobello, che mette a lemma la forma gardesana franc.
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Re: Influssi dotti nei dialetti

Intervento di Ligure »

Ulteriore importante conferma dell'uso di "franco" nei dialetti settentrionali.

Di ciò che i dialettofoni, anche senza contribuire ai "fori", sanno da sempre
- sia pure implicitamente -. Ma che sa benissimo chiunque conosca la situazione
linguistica locale anche se si dovesse trovare a sostenere una posizione diversa,
per altro non conforme alla realtà delle cose.
Sicché non si tratta neppure di una vera e propria "diatriba", in quanto
tutti lessici, tutta la documentazione scritta antica e moderna e l'incontestabile
oggettività dell'uso parlato indicano - come pure in tutta la Liguria dialettale -
per l'aggettivo "de quo" le accezioni di "sincero, spigliato, sicuro, saldo, esente et c. ...",
ma non mai quella di "libero" e, soprattutto, dimostrano come non sia consentito
all'aggettivo "franco" - comunque scritto e/o pronunciato - di poter reggere un
verbo (senza del quale costrutto si annullerebbe - verbalmente e semanticamente -
la specifica condizione di libertà che il locutore intende esprimere).

Se, ad es., un anziano istituzionalizzato dopo un intervento chirurgico dice: "Nu me sentu guæi - guæi è il "molto" che si usa nelle frasi negative - francu in scê gambe", intende indicare - nella sua mancanza di saldezza, sicurezza - un problema fisiologico di deambulazione.

Ma se dice - e, in questo caso, il dialetto di tutte le località liguri non consente (e non conosce) l'utilizzo di un altro aggettivo - : "Nu me sentu libberu de decidde" intende portare all'attenzione un suo problema psicologico di tipo relazionale - riferibile alla propria autonomia nella struttura o nella famiglia - ... Questa semplicissima frase, spesso formulata da dialettofoni - che sono, in assoluta prevalenza, persone anziane - non può essere pronunciata senza due evidenti italianismi ("libberu" e "decidde" - caratterizzati entrambi dalla geminazione anetimologica -) e, in essa, non risulta assolutamente possibile sostituire "libberu" con un eventuale sinonimo - men che meno "francu"! - in grado di poter reggere un verbo. Semplicemente perché non esiste.

I campi semantici dei due aggettivi permangono distinti e la reggenza verbale non risulta possibile per "franco",
che non è mai stato il corrispondente dialettale di "libero", ma di "esente". Infatti, anticamente, "francu de lêva"valeva semplicemente "esente dal servizio militare".

Ma, dal momento che la questione riguarda un uso linguistico e il relativo significato, perché non ottenere anche una conferma da parte di chi ancora utilizza quel veicolo linguistico per comunicare i significati di cui si sta trattando?

Quando, ad es., provai a porre la questione in un circolo di ex-combattenti - scelto in quanto contesto frequentato da anziani - per ottenere una conferma "sul campo" da parte di dialettofoni attendibili -, si levarono, in dialetto, le voci indignate e risentite dei figli dei reduci dai campi di concentramento e dei mutilati, i quali mi dissero - accorati - che i loro cari avevano combattuto e che chi era caduto aveva versato il proprio sangue affinché potessimo - tutti - essere "libberi". Affinché potessimo essere semplicemente "franchi" (cioè esenti) da qualche balzello eccessivo o ritenuto ingiusto sarebbe dovuta bastare l'equità amministrativa e, più in generale, la normale politica democratica. Sostenevano - con toni accesi - che i loro genitori erano stati costretti a imbracciare le armi per la "libbertæ", non certamente per ottenere alcune "franchîxe" = esenzioni fiscali. "Non erano mica fuori di testa i loro genitori, all'epoca!". E insistevano : "Vuscià, scia gou digghe!" "Vuscià, scia gou digghe!" = "Lei, glielo riferisca!" (a uno sconosciuto l'educazione richiede che ci si rivolga sempre con la forma del "Vossignoria" = Vuscià, il "lei", in vero genovese, non esiste). Non domandai altro.

P.S.: La verifica sugli argomenti esposti era partita dall'affermazione - non conforme al vero - che l'aggettivo dialettale "francu" potesse avere - nei dialetti della Liguria intemelia - un significato/uso diverso da quello consolidato nel resto della regione e, per altro, riscontrabile in tutta l'Italia settentrionale.

La verifica riguardava la situazione presente, anche perché, relativamente ai dialetti intemeli, non esistono
attestazioni molto antiche. Ciò non toglie, ad es., che sette secoli fa le condizioni linguistiche potessero essere
differenti. Per altro, la breve inchiesta "di campo" da me direttamente effettuata ha mostrato che l'estensione
semantica risulta essere, tuttora, un aspetto ben lontano dall'opinabilità soggettiva o dalla possibilità di generica formulazione di ipotesi, in quanto ancora vivamente sentito ed emotivamente avvertito - in tutta la precisione e
specifica delimitazione del significato e della relativa comunicabilità - da parte dei parlanti.
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