[LIJ] «Schiappacasse»

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Ligure
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Re: [LIJ] «Schiappacasse»

Intervento di Ligure »

Se qualcuno avesse seguito il filone, s'era rimasti al fatto che le trascrizioni degli studiosi teutonici riscontrabili nell'atlante linguistico AIS (Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz) - almeno per quanto concerne la Liguria - non riportano correttamente le consonanti geminate.

Neppure laddove esse risultano ancora presenti.

Ma le consonanti geminate esistono ancora in quasi tutta la Liguria.

Certo, soltanto dopo la sillaba accentata. Se preaccentuali non vengono pronunciate come tali. Come pure avviene anche negli altri dialetti settentrionali. La differenza tra questi e le varietà linguistiche di tipo genovese consiste nel fatto che nei dialetti settentrionali non liguri la geminazione consonantica non si manifesta neppure dopo la sillaba accentata. Cioè: consonanti geminate non ce ne sono proprio. Tranne sporadiche eccezioni dovute a parlate isolate, che hanno conservato strutture linguistiche arcaiche.

In Liguria risulta davvero privo di geminazione consonantica il dialetto - ormai, quasi non più parlato - della Spezia, ma è molto interessante il fatto che nella "zona di transizione" rispetto ai dialetti di matrice genovese - che si trovano a occidente -, la quale include le Cinque terre e il relativo entroterra, non si assiste a un progressivo indebolimento della geminazione in modo indifferenziato. Intendo dire che - in funzione delle località prese in considerazione - alcuni fonemi mantengono ancora la possibilità di essere geminati, mentre altri hanno già perduto questa possibilità di variazione.

Nell'ambito dei dialetti intemeli la scena linguistica è ancora diversa. Non esiste - come spesso viene riferito erroneamente - una totale e indifferenziata assenza di geminazione - come, invece, si può riscontrare nello spezzino urbano -, dal momento che, anche a Ventimiglia (situata sul confine linguistico), esistono fonemi che si possono tranquillamente ascoltare quali geminati.

L'intensità - cioè la misura - della geminazione non sarà la stessa della corrispondente geminazione fiorentina o genovese (assai simile a quella fiorentina nella pronuncia genuina [nessuno, ad es., in una registrazione priva di "contesto" riuscirebbe a distinguere un "sette" del dialetto genovese dalla voce corrispondente dell'italiano di Firenze in base a differenze di geminazione, né in una registrazione delle rispettive pronunce della voce "sacchi" ecc.. - infatti, si hanno ['sɛtte] e ['sakki] ecc. tanto in fiorentino quanto in genovese *-]), ma rimane, comunque, tale da risultare contrastiva nei confronti di altri fonemi che - a Ventimiglia, ad es. - non possiedono, ormai, più questa caratteristica "variazionale".

Ciò che può "divertire" o stupire è che gli stessi appassionati del dialetto (attribuire loro il titolo di "studiosi" risulterebbe eccessivo) - quando ancora essi lo possedevano quale strumento effettivo di comunicazione e non soltanto di "commemorazione ex post" - non se ne rendessero assolutamente conto.

Ne è prova il fatto che molti di essi - tra gli altri il farmacista Azaretti, ad es., - affidarono alla carta stampata la conclusione - errata - di una totale degeminazione consonantica. E non solamente per il "ventimigliese", ma anche per il dialetto di Genova!!!

Infatti, l'Azaretti - nel suo testo intitolato "L'evoluzione dei dialetti liguri" - scrisse - alle pagg. 24,25 - : " ... malgrado l'intervenuta degeminazione delle consonanti (in realtà, mai completatasi neppure nel suo proprio dialetto), si continua, nella grafia dialettale genovese, a segnare una inesistente consonante doppia per indicare la brevità della vocale tonica (in realtà, non si tratta di tono, ma d'accento, per quanto il termine "tono" risulti, ormai, invalso nell'uso) che la precede: gallu, uxellu, mille, bucca ecc..".

Quindi, la consonante grafica doppia della grafia genovese - diversamente da come erroneamente scrive l'Azaretti - indica un'effettiva consonante geminata (non certo "inesistente" come riferisce l'autore), mentre la brevità del fonema vocalico precedente è, banalmente, una conseguenza della reale geminazione consonantica genovese, cioè della chiusura della sillaba, esattamente come si verifica anche nella pronuncia della lingua italiana.

Ovviamente, quanto scritto - troppo dogmaticamente - dall'Azaretti, per quanto concerne il genovese, è contraddetto dalla realtà. Infatti, le rispettive pronunce risultano: ['gallu], ['mille], ['bukka] ecc.. Esattamente come nelle corrispondenti voci fiorentine - ['gallo], ['mille], ['bokka] ecc.. ed esattamente come nelle corrispettive voci fiorentine si hanno vocali accentate "più brevi" rispetto, ad es., a ['ga:la] proprio a motivo della chiusura delle sillabe colpite da accento (dovuta alla geminazione consonantica).

La voce uxellu risulta un ἅπαξ (λεγόμενον) in genovese o - se si preferisce essere meno diplomatici ed eleganti - un errore marchiano. Bastava che l'autore consultasse qualsiasi lessico del genovese. La voce, in realtà, è ōxellu [ˌɔ:'ʒellu] = uccello - il "macron" sull'o indica la quantità lunga di vocale - aperta - caratterizzata dall'accento secondario (e, in questo caso, in genovese, non c'è alcuna degeminazione consonantica preaccentuale. E' il fiorentino a presentare geminazione anetimologica. Etimologicamente, infatti, si parte da "av(i)cellu(m)">"aucellu" e la transizione evolutiva genovese risulta perfettamente regolare) -.

E non certamente il mai esistito uxellu - indicato erroneamente dall'Azaretti - che varrebbe - se fosse esistito - [u'ʒellu], ma che, per altro, risulta impossibile per la fonologia genovese!

Quindi, la presunta generalizzazione della perdita della geminazione consonantica "proclamata" dall'Azaretti risulta una sciocchezza e quanto da lui riferito del genovese dimostra che - sotto l'aspetto lessicale, ma (soprattutto) fonetico e fonologico - l'Azaretti il genovese non lo conosceva e non lo "comprendeva" nella sua vera essenza strutturale.

E, inoltre, l'Azaretti non riusciva neppure ad avere consapevolezza della varietà dialettale che, pure, parlava.

Chi può dircelo - l'autore è, ormai, defunto -? e come si può dimostrare inequivocabilmente?

Banalissimamente ce lo dicono le sue registrazioni affidate alla rete - e, se pure si trattasse di un Emilio Azaretti omonimo dell'autore, nulla cambierebbe perché si tratterebbe (pur sempre) della stessa parlata -.

Dalle registrazioni si evince - assai banalmente - che, ad es., fonemi - quale, ad es., [k] - possono essere geminati, mentre altri - ad es., [l] - non si riscontrano mai come tali **.

Cose analoghe si possono evincere anche dalle registrazioni di Soldano - non lontano da Ventimiglia - rese disponibili in rete. Alcuni fonemi risultano tuttora geminabili ecc..

Quindi, non siamo assolutamente nelle condizioni dello spezzino urbano che - agli estremi opposti della regione linguistica - ha, ormai, perduto la possibilità della variabilità della durata consonantica. Molto probabilmente, se l'evoluzione dei dialetti intemeli fosse potuta continuare, anch'essi avrebbero perduto la caratteristica oppositiva della durata consonantica, ma l'evidenza ci mostra che la perdita non è avvenuta in modo sincronico per tutti i fonemi dell'inventario di queste parlate e che alcuni di essi possono ancora oggi essere pronunciati geminati. Detto altrimenti, i dialetti intemeli usciranno dal percorso evolutivo - ormai, non esiste più trasmisssione transgenerazionale - senza aver raggiunto il punto d'arrivo di una completa degeminazione consonantica per tutti i fonemi del loro inventario a differenza di quanto s'è già verificato per il dialetto spezzino urbano.

Insomma, la realtà risulta assai più complessa e affascinante di quanto i dogmi e gli adoratori dei dogmi - inclini a evitarsi la fatica del poter ricercare e del dover pensare anziché proporre e seguire squadrati semplicismi - ci lascino intendere.

* Dato che rappresenta un'eccezione nel contesto dei dialetti settentrionali italiani.
Basti pensare alle corrispondenti voci dei dialetti veneti, effettivamente prive di geminazione, dal momento che, in questi casi - nel Veneto linguistico -, non è intervenuta apocope.

** Ma ad avere la possibilità di essere geminato - o, quanto meno, "allungato" - non si tratta solo del fonema [k], ma anche di altri. Infatti, nella registrazione di Emilio Azaretti che descrive il corpo umano, si possono ascoltare - assai chiaramente - voci derivate da forme originariamente geminate quali ['tɔkki] = pezzi, ma anche ['ɔssu] = osso, ['brassi] = braccia, ['bassa] = bassa, ['grɔssu] = grosso e pure ['køʃʃa] = coscia - o, se si preferisce,['tɔk:i] ecc.. Mentre nel caso del fonema [l], anche se la voce originaria risultava geminata, la degeminazione risulta davvero avvenuta e, infatti, si ha, ad es., ['kɔlu] = collo, cioè né ['kɔllu] né ['kɔl:u] (mentre nei dialetti di tipo genovese si ha l'esito ['kɔllu], direttamente confrontabile colla forma fiorentina/italiana). Ciò conferma che la degeminazione non è intervenuta nel ventimigliese per tutti i fonemi.
Risulta, per altro, interessante il fatto che, quando Emilio Azaretti "proclama" un'inesistente degeminazione ventimigliese indiscriminata - cioè relativa a qualsiasi fonema dell'inventario dialettale - si avvale - a pag. 25 del volume sopra citato - di esempi caratterizzati dal fonema [l] quali ['galu] =gallo, [au'ʒelu] = uccello e ['mile] = mille (rispettivamente, in genovese, ['gallu],[ˌɔ:'ʒellu] - semplicemente perché il dittongo [ˌau] si chiuse in [ˌɔ:] - e ['mille]), ma anche di "buca" - così scrive l'Autore -. Se, quindi, quest'ultimo era in buona fede, non si rendeva nemmeno conto di come egli stesso parlasse, dal momento che nella registrazione della sua stessa voce si può percepire nitidamente ['bukka] = bocca. Prova evidente che le sorti evolutive di ['-ll-] e ['-kk-] originariamente geminati non possono essere ritenute sincroniche nella parlata di Ventimiglia. Il fonema ['-ll-] dette ['-l-], mentre ['-kk-] rimase tale. Cioè la degeminazione - a tutt'oggi - non può essere ritenuta generalizzata.

P.S.: non basta saper parlare un determinato dialetto per poterne diffondere informazioni scientificamente valide e che reggano - nell'epoca della "rete" - l'assenza di contraddizione colla propria voce registrata. Saggia risulta tuttora l'indicazione agli umani del divino Apollo - γνῶθι σαυτόν -.
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u merlu rucà
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Re: [LIJ] «Schiappacasse»

Intervento di u merlu rucà »

Nella critica che mi sono permesso di fare nei messaggi precedenti alle etimologie ufficiali - che si rifanno a voci greche - proposte per la voce settentrionale cazza ['kaʦʦa] = mestolo - c'entrano, ovviamente, i dati desunti dalla geografia. Voci greche - non "grecismi" diretti, il che sarebbe diverso - dovrebbero essere state mediate tramite il latino, risultando la voce cazza ['kaʦʦa]>['kassa] (e altre varianti )= mestolo attestata nei dialetti settentrionali fin da quando esistono documentazioni scritte.
Tuttavia, la voce non compare assolutamente al di sotto delle isoglosse che separano le varietà settentrionali italiane dalle altre, ciò che rende assai discutibile una derivazione a partire da voci originariamente greche tramite il latino.
Non bisogna però dimenticare che l'attuale Costa Azzurra/Provenza Marittima era costellata di colonie greche (di cui la più importante era ovviamente Marsiglia) e un eventuale termine greco potrebbe provenire da lì.

Per quanto riguarda le consonanti geminate in intemelio, effettivamente esistono, anche se non con l'intensità del genovese. Io infatti trascriverei tocu come ['tokᵏu] più che ['tokku].
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Re: [LIJ] «Schiappacasse»

Intervento di Ligure »

u merlu rucà ha scritto: ven, 30 ago 2019 21:12 Non bisogna però dimenticare che l'attuale Costa Azzurra/Provenza Marittima era costellata di colonie greche (di cui la più importante era ovviamente Marsiglia) e un eventuale termine greco potrebbe provenire da lì.

Per quanto riguarda le consonanti geminate in intemelio, effettivamente esistono, anche se non con l'intensità del genovese. Io infatti trascriverei tocu come ['tokᵏu] più che ['tokku].
1) Il contesto cui si accenna è ineccepibile. Tuttavia, non essendomi mai occupato personalmente d'etimologie, non saprei davvero quante voci greche provenienti dalle antiche parlate celtiche della provenza siano effettivamente passate nei dialetti settentrionali - ['kaʦʦa]>['kassa] per "mestolo" è tutt'altro che esclusivamente ligure e un eventuale "ligurismo" nei dialetti settentrionali risulta "oltremodo improbabile" -.
Intendo semplicemente dire che la plausibilità di un certo "movimento" di tipo linguistico non può non essere suffragata da un certo numero di esempi. Altrimenti, si rimane in un ambito meramente ipotetico.

2) Le considerazioni svolte risultano impeccabili. Personalmente non amo i simboli sopra il rigo - perché m'infondono la sensazione che lo studioso non divulghi una chiara certezza, ma propenda per una posizione di compromesso -, ma ammetto che si tratta di una sensibilità soltanto personale e, per altro, non si tratta di una discordanza rispetto al riconoscimento del fenomeno esistente quanto dell'individuazione della convenzione grafica più appropriata.

Certamente è vero anche quanto riportato relativamente alla metrica, cioè all'intensità uditivamente percepibile e oggettivamente riscontrabile del relativo suono. Essa risulta massima a Genova e, al di là dei dialetti di tipo genovese, procedendo a occidente, diminuisce - obiettivamente - in quelli di tipo intemelio.

Ma non fino al punto che tutte le consonanti intemelie siano divenute davvero scempie.

Mentre, a oriente, nello spezzino urbano non è più rimasta traccia alcuna di geminazione consonantica.

Ciò che rende particolarmente interessanti i dialetti del gruppo intemelio è che la degeminazione consonantica è stata selettiva. Il fonema [-l-], ad es., nella pronuncia, non può più essere geminato, mentre [-k-], al contrario, conserva questa possibilità variazionale.

Mi rammarico sinceramente - come molti altri liguri che, nativamente, non parlano dialetti appartenenti a questo raggruppamento linguistico - delle descrizioni "ufficiali", che - apparentemente - negano totalmente un'evidenza così interessante e così palese non appena si abbia l'umiltà personale di ascoltare - anche soltanto per qualche minuto - una registrazione o - fatto sempre più raro - la conversazione di qualche vecchio locale.

P.S.: per chi fosse interessato inserisco la pagina del VIVALDI relativa alla voce "bocca" (['bukka] nei dialetti genovesi e ['boka] in quelli spezzini, privi anche dell'opponibilità variazionale della quantità vocalica), dalla quale si può agevolmente ancora ascoltare - in barba all'impostazioni "dogmatiche" degli studiosi - la chiara geminazione consonantica di tipo toscano/fiorentino nei dialetti di tipo genovese (Rovegno, ad es., rappresenta ancora un genovese di tipo "sostanzialmente" medievale), mentre nella parte più prossima alla Toscana, almeno, amministrativamente - ad es., alla Spezia -, non esiste più geminazione consonantica per alcun fonema.

Ciò costituisce, per altro, un aspetto di continuità con i contigui dialetti lunigianesi, non toscani e non liguri, per quanto settentrionali e, quindi, privi di geminazione.

Infatti, nel contesto settentrionale la geminazione genovese rappresenta un'eccezione:

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 30&lang=de

P.P.S.: indipendentemente da quanto sopra scritto relativamente a eventuali "grecismi di Provenza", il genovese, così come possiede arabismi, possiede anche grecismi. Un grecismo banale è rappresentato, ad es., da bāxaicò [ˌba:ʒai'kɔ]<[ˌba:ʒaŕi'kɔ] per "basilico". La sede dell'accento dimostra che la voce fu assunta - tardivamente - direttamente dalla lingua greca: βασιλικόν (degno di re), da βασιλεύς = re.
Avatara utente
u merlu rucà
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Re: [LIJ] «Schiappacasse»

Intervento di u merlu rucà »

Possibili grecismi provenienti dal greco di Marsiglia/Costa Azzurra potrebbero essere:

magagliu 'bidente, sarchio' < makella 'zappa, vanga'
scarassa 'palo di sostegno della vite' < carracium su gr. charakion
stecadò 'lavanda' < stoikas 'lavandula'

magagliu è diffuso in quasi tutta la Liguria; a Genova bagaggiu;
scarassa oltre che in Liguria è in uso in Piemonte e Lombardia;
stecadò è limitato (in base alla mia documentazione) praticamente alla zona intemelia (e neppure in tutta, in molti paesi concorre il tipo spigo o san giovanni)

L'areale dei tre tipi sembra favorevole a un'origine massaliota (parte dell'Italia settentrionale; Liguria; ponente ligure).
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Re: [LIJ] «Schiappacasse»

Intervento di Ligure »

No.

Quando si tratta di un dominio "scivoloso" quale quello degli etimi, occorre intendersi bene.

Se n'era, ad es., già discusso quando si trattò del termine macaccu [ma'kakku] = macaco (più frequentemente, stupido).

Dato il fonema non sonorizzato [-k-], la geminazione consonantica anetimologica [-kk-] ecc., la voce non può - relativamente al dialetto - che rappresentare un italianismo. Che poi l'italiano l'abbia assunto dal ..., che, a sua volta, l'avrebbe preso da un dialetto locale (africano? ma quale?)... è tutt'altro discorso.

Se si desidera un riscontro da tutti accettabile e verificabile, cioè attendibile, si deve essere precisi. Proprio come in una partita contabile di carichi e scarichi. Che riporta esattamente chi ha preso e da chi. Altrimenti, si divulga soltanto "disinformazione".

Veniamo ai punti:

1) magaju e varianti. Come afferma anche l'Azaretti, da cui ritengo sia stata desunta l'informazione, la voce deriva banalmente - come risulta evidente - dal provenzale magalh:

http://www.etymologie-occitane.fr/2014/ ... ef-13071-1

Quindi - almeno, per quanto concerne i dialetti liguri - non v'è alcuna derivazione diretta né dal celtico antico né dal greco di Marsiglia né - men che meno - dal celtico in qualità di grecismo del celtico. E' il provenzale - se mai - che potrebbe presentare un etimo greco. Ma - in proposito - il richiamo inserito risulta abbastanza esaustivo.

2) stecadò. Stesso identico discorso. Per quanto concerne i dialetti liguri si tratta, banalmente, di un provenzalismo, non di un "grecismo" - come, invece, dimostrai essere nel caso del "basilico (si veda il mio messaggio precedente) -. La voce, nei dialetti di tipo provenzale, risulta, tuttora, nota:

https://ecomuseegapeau.org/lavande-stoe ... -a-toupet/
- si scorra fino a Nom provençal (è scritto in azzurro) -.

Che, poi, si tratti di grecismo diretto o di "derivazione/commistione" col nome scientifico - Lavandula stoechas (in francese lavande stoechade) - o altro ancora sono finezze e brighe esclusivamente relative al contesto linguistico dei provenzalisti. Ché tale non mi reputo.

3) Veniamo a scarassa. L'etimo - chiaramente - non può essere la voce greca χαράκιον (ammesso che essa sia mai esistita), perché, evidentemente, il fonema [-r-] si sarebbe ridotto allo zero fonico nei dialetti genovesi, ma, in essi, si ha carassa - e non l'inesistente câsa (possibile esclusivamente da un altrettanto inesistente [ka'assa]>['ka:sa]) -. Ergo, gli etimologisti devono pensarci meglio. L'etimo χαράκιον non può fare al caso. Ma non me ne sono accorto solo io, ora. Apro il vocabolario del Plomteux e m'accorgo che anche l'autore esprime la stessa identica osservazione critica - a pag. 496 -.

A Genova si dice che non si riesce "a far bere a tutti l'acqua della mola ..." (era, inevitabilmente, ricca di scorie, detriti, lontana da una buona potabilità ...).

Quindi, come prestiti diretti dal greco di Marsiglia o tramite il celtico siamo a zero!
Ligure
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Re: [LIJ] «Schiappacasse»

Intervento di Ligure »

Ligure ha scritto: ven, 06 set 2019 12:23 2) stecadò. Stesso identico discorso. Per quanto concerne i dialetti liguri si tratta, banalmente, di un provenzalismo, non di un "grecismo" - come, invece, dimostrai essere nel caso del "basilico (si veda il mio messaggio precedente) -. La voce, nei dialetti di tipo provenzale, risulta, tuttora, nota:

https://ecomuseegapeau.org/lavande-stoe ... -a-toupet/
- si scorra fino a Nom provençal (è scritto in azzurro) -.

Che, poi, si tratti di grecismo diretto o di "derivazione/commistione" col nome scientifico - Lavandula stoechas (in francese lavande stoechade) - o altro ancora sono finezze e brighe esclusivamente relative al contesto linguistico dei provenzalisti. Ché tale non mi reputo.
Quale corollario di quanto scritto mi permetto di far osservare la differenza tra l'evoluzione di tipo toscano-italiano e quella di tipo ligure.

L'italiano, derivato dal fiorentino, a partire dalla voce greca per "lavanda", cioè στοιχάς, στοιχάδος (femm.), potè permettersi esiti quali "stècade" - registrato dalla Crusca * - o "steca".

La sede dell'accento, in italiano - diversa da quella della corrispondente voce greca -, ci conferma che il termine non può essere di derivazione diretta dal greco, ma, evidentemente, da un calco latino. In greco, altrettanto ovviamente, si aveva - cioè breve -, non - cioè lunga -, caso in cui la posizione dell'accento si sarebbe conservata.

Ma, nei dialetti liguri, χ, cioè, quale esito evolutivo, [-k-] (sia pure proveniente da [-kh-]), e δ, cioè [-d-], non si sarebbero potuti conservare nel caso di acquisizione diretta (dal greco), neppure tramite il latino. Infatti, [-k-] sarebbe passato a [-g-] e [-d-] avrebbe tranquillamente raggiunto lo zero fonico. Ecco perché - se solo si possiede un minimo di chiarezza di visione in merito a come si sono storicamente svolti i processi fondamentali dell'evoluzione linguistica locale - si può immediatamente affermare che voci locali quali "stecadò" vel sim. vanno tranquillamente considerate come non di derivazione diretta da nessuna delle lingue classiche, cioè prestiti. Nel caso di specie, ovviamente, dal contiguo provenzale.

P.S.: ovviamente, vanno ritenuti prestiti a pieno titolo - anche se gli studiosi non mostrano neppure di essersene resi conto - anche le voci acquisite direttamente dalla lingua italiana e non derivate tramite una regolare evoluzione - sostrato romanzo ecc. - dal latino. In questi casi anche i dialetti liguri possono avere [-k-] e [-d-], non più previsti scempi - dopo l'accento - nell'inventario dei fonemi dialettali. Infatti, negli "italianismi" si ebbero "geminazioni anetimologiche" come in macaccu [ma'kakku] proprio perché [-kk-] e [-dd-] (come, ad es., in stradda ['stradda] = strada) erano rimasti disponibili.

Ma perché [ma'kakku], se [-k-] non è più possibile dopo la sillaba accentata? Perché non si dice [ma'gakku]? Proprio perché - non esistendo più (nella pronuncia) la geminazione, se non postaccentuale - la pronuncia [ma'kakku] - che non sarebbe possibile in una voce di derivazione diretta - dimostra che la "sonorizzazione" di [-k-]>[-g-] nella voce italiana [ma'ka:ko] (cronologicamente, non più possibile, data l'acquisizione della voce "storicamente recente", mentre la "sonorizzazione" costituisce un processo evolutivo molto antico e non più vitale) non si è verificata. Infatti, è come se l'acquisizione della voce dialettale dall'italiano avesse comportato la geminazione di entrambe le occorrenze di [-k-] - perché [-kk-] risulta disponibile, ma non più [-k-], passato a [-g-] ed escluso dall'inventario dei fonemi -. Tuttavia, la prima delle due occorrenze di [-k-] (non risultando postaccentuale) non "emerge", cioè non può venire "rivelata"/ascoltata nella pronuncia. Altrettanto ovviamente, se [ma'ka:ko] fosse stato un ipotetico esito romanzo - proveniente da un'ipotetica (e mai esistita) forma latina -, oggi, in Liguria, altro non si potrebbe avere se non [ma'ga:gu]. Ma, evidentemente, così non è e si ha esclusivamente macaccu [ma'kakku]. Si tratta di aspetti foneticamente - e fonologicamente - fondamentali, che gli studiosi non sono neppure giunti a prendere in considerazione.

Per le stesse identiche ragioni, essendo "stecadò" un chiaro forestierismo - contiene, infatti, sia [-k-] quanto [-d-] anziché [-g-] e [-0-] (lo zero fonico, non la vocale "o"!) -, il [-k-] immediatamente postaccentuale (rispetto all'accento secondario della parola, che si trova sulla prima sillaba) viene pronunciato dagli anziani informatori genuini - che non risultano "deviati" da grafie "incongrue" - in modalità geminata. Certo, non con la stessa intensità del genovese, ma, comunque, geminata. Come se essi pronunciassero, in dialetto, la parola "stecca". Infatti, anche nell'inventario intemelio, [-k-], dopo la sillaba accentata, non è più possibile. Si avrebbe [-g-], in voci di derivazione diretta, mentre rimase possibile la versione geminata del fonema - [-kk-] -. Utilizzabile nei forestierismi in [-k-]>[-kk-], ma anche in voci di tradizione diretta caratterizzate da pronuncia originaria geminata. Come, ad es., in sac(c)u ['sak:u] = sacco, se si preferisce avvalersi graficamente - nella rappresentazione fonetica - soltanto del cronema - : -.

E distinguere in modo attendibile - ciò che le grafie intemelie del tutto prive di "doppie grafiche" non possono consentire di fare - dal genovese saccu ['sakku] o dallo spezzino saco ['sako].

* La Crusca dà "stecade" maschile: http://www.lessicografia.it/Controller? ... ade;&TDNE=, mentre il vocabolario Treccani, che riporta anche l'esito "stigadosso", propone il femminile: http://www.treccani.it/vocabolario/tag/stecade/.
Ligure
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Re: [LIJ] «Schiappacasse»

Intervento di Ligure »

In questo filone - oltre agli argomenti specifici - sono stati affrontati aspetti di fonetica e di fonologia ligure. La fonetica - caratterizzata da descrizioni contraddistinte da [] - dovrebbe rappresentare la più attendibile rappresentazione dell'effettivo fenomeno articolatorio, in cui il parlante stesso dovrebbe poter riscontrare la propria concreta pronuncia.
La fonologia - che si esprime mediante rappresentazioni denotate da // - è il risultato di riflessioni e considerazioni teoriche sulla varietà linguistica sotto esame e analizza la possibile variabilità di tratti unici la cui reciproca opponibilità consenta di distinguere differenze di significato.

Fonologicamente, ad es., in italiano, si ritiene che la voce “fato” si opponga alla voce verbale (ma anche sostantivata) “fatto” sulla base della variabilità della durata consonantica (o geminazione).
Se pure l'a di “fato” risulti - oggettivamente - più lunga di quella di “fatto”. Ma ciò viene considerato un aspetto di “allofonia” della vocale - una sorta d'inevitabile “sottoprodotto” della variabilità “dicotomica”, /-t-/ o /-tt-/, dell'unico tratto identificato quale distintivo (/'fato/ o /'fatto/), voci, per altro,"foneticamente" rappresentabili quali ['fa:to] e ['fatto], evidenziando l'allofonia nella pronuncia dell'a.

Ciò perché - in italiano - in parole terminanti in vocale accentata (quindi, in sillaba aperta in cui non segue alcuna consonante) non si può riscontrare alcuna variabilità della vocale stessa.

Ma nei dialetti di tipo genovese, ad es., ciò non risulta vero e, ad es., u da [u 'da] = (lui) dà si oppone tranquillamente a u dâ [u 'da:] = il dare (infinito sostantivato). Per quanto in genovese, esattamente come in italiano, possu ['pɔssu] = posso si opponga a pôsu ['pɔ:su] = poso (voce del verbo posare e, in genovese, anche “raffermo” - agg. -), dal momento che i dialetti di tipo genovese non hanno perduto la geminazione postaccentuale - mentre, come i veri e propri dialetti settentrionali, non conservano più quella di tipo preaccentuale -, gli studiosi hanno "deciso" - convenzionalmente (è chiaro, la fonologia esprime delle convenzioni, non è la descrizione di un fenomeno articolatorio, cioè “materiale”) - che le varietà linguistiche di tipo genovese - ma anche altre - possano essere fonologicamente - cioè “mentalmente” - “rappresentate” mediante l'unica variabilità dicotomica - cioè tra la condizione di “breve” e quella di “lunga” - del fonema vocalico accentato.

Benissimo, ma sarebbe stato opportuno chiarire - anche se non si potrebbe intendere altrimenti, almeno, relativamente ai dialetti di tipo genovese - che, nel caso di sillaba chiusa, non si può non tener conto anche dell'allofonia della consonante successiva, se si desidera davvero conoscere la pronuncia effettiva.

Cioè, "fonologicamente", si può accettare, convenzionalmente, che vi sia la possibile variabilità di un solo tratto distintivo, ma "foneticamente" i tratti che cambiano sono due, non uno soltanto, per quanto si possa affermare che essi risultino complementari l'uno con l'altro. Infatti, nei dialetti di tipo genovese, si può avere la sola variabilità della vocale - breve o lunga -, ma esclusivamente se si tratta di una vocale accentata in sillaba (aperta) finale di parola. Altrimenti - in sede postaccentuale - tutto funziona esattamente come in italiano.

Cioè, "foneticamente" variano - in modalità complementare - durata consonantica e quantità vocalica.

Mi spiego subito. Se accetto la convenzione illustrata, alle rappresentazioni fonetiche [u 'da] = (lui) dà e [u 'da:] = il dare posso affiancare le rappresentazioni fonologiche (cioè più “astratte”) /u 'dă/ = (lui) dà e /u 'dā/ = il dare. Normalmente, s'indica solo la lunga e va bene così perché non esiste altra alternativa se non la breve. Se la vocale non presenta il segno della quantità s'intende sia breve.
Ma, se si parte dalla rappresentazione fonologica - nel caso di sillaba chiusa - e non si sa a priori che rimane sottintesa l'allofonia della consonante seguente, ad es., /-s-/ o /-ss-/, le “conseguenze” fonetiche risultano tutt'altro che immediate. Intendo dire che, rispettivamente, a /'pŏsu/ = posso e a /'pōsu/ = poso non corrispondono l'inesistente ['pɔsu] = posso e l'esistente ['pɔ:su] = poso, bensì gli esistenti ['pɔssu] = posso (geminato, sia pure “allofonicamente” - ma i termini definitori (come, ad es., "allofonia") sono e rimangono parole, mentre la geminazione si avverte distintamente -) e ['pɔ:su] = poso.

Del tutto analoga risulta la situazione in italiano, in cui si hanno ['pɔsso] e ['pɔ:so] - comunque s'intenda denotare la "variazione" - sia pure classificata "allofonica" - della quantità vocalica (mediante il cronema : o altrimenti).

Dove intendo andare a parare dopo un'inevitabile premessa indispensabile per chiarire il contesto?

A fare semplicemente un esempio dell'estrema confusione - tra il livello delle rappresentazioni di tipo fonologico e la descrizione fonetica - che regna nelle opere dedicate al dialetto genovese e alle conseguenze determinate da questa confusione anche in testi di più ampio respiro destinati a qualsiasi lettore italiano.

Ad es., anni fa venne pubblicata dal prof. Toso una Grammatica del genovese con evidenti intenti didattici - non credo, per altro, che, nell'attuale momento storico, i dialetti si possano imparare mediante un libro; credo che i dialetti si potrebbero studiare (bene, auspicabilmente), mentre non capisco chi mai dovrebbe impararli né a che scopo né per parlarli con chi, ma questo è un altro discorso -.
Essendo lo scopo del testo didattico, sembrerebbe ragionevole l'adozione da parte dell'autore di rappresentazioni mediante [], cioè di tipo fonetico. Se uno, poi, non sa come si pronuncia la varietà linguistica di cui si offre una grammatica in ben 295 pagine, di quale didattica stiamo parlando?
In realtà la confusione è totale e per ben 295 pagine sono adottate le parentesi quadre - [] - delle rappresentazioni fonetiche, mentre di altro non si tratta che di “incomplete” rappresentazioni fonologiche
- anche se un improbabile discente avrebbe esigenza di descrizioni fonetiche corrette! - Anche perché per poter essere davvero fonologiche dovrebbero riportare l'indicazione della quantità della vocale accentata. Ma ciò non è stato fatto e, allora, come farebbe un potenziale lettore a capirci alcunché?

Un solo esempio. Il numero “sette”, in genovese, è, ovviamente, sette ['sɛtte] - la geminazione, dovuta ad antica assimilazione, essendo postaccentuale, si conserva -. Ma, considerata l'allofonia della consonante successiva, che dipende dall'apertura/chiusura della sillaba (se non si tratta di sillaba finale caratterizzata da vocale accentata), in genovese sette ['sɛtte] - fonologicamente /sĕte/ - potrebbe essere soltanto contrastato da ['sɛ:te] (graficamente sæte e fonologicamente /'sēte/), mentre ['sɛte] - ben diverso da /'sĕte/-->['sɛtte], come, a questo punto non può non risultare chiaro a chi abbia letto il chiarimento precedente – non può esistere.
Infatti, esiste (o, meglio, esisteva, perché, attualmente, risulta desueto) sæte ['sɛ:te] (fonologicamente /'sēte/) = saette.

Detto altrimenti, gli studiosi possono scegliere qualsiasi convenzione, purché essa venga utilizzata all'interno del senso comune e si abbia sempre ben presente che - negli esiti in vocale accentata nell'ultima sillaba - italiano e genovese divergono perché, in genovese, si può avere la lunga (ma non in italiano), mentre - nel caso di altre posizioni dell'accento nel corso della parola - il comportamento fonetico - relativamente alle consonanti postaccentuali – è identico in italiano e in genovese.

I tratti che, foneticamente, cambiano sono sempre due. Dato l'isocronismo sillabico (che implica l'eguale durata delle sillabe accentate - aperte e chiuse -), “fato” ha una durata inferiore di /-t-/ rispetto a “fatto”, ma una durata - quantità - più lunga dell'a.

E, allo stesso modo, in genovese, in sæte ['sɛ:te] = saette, si hanno sia quantità più lunga della vocale, ma anche durata inferiore della consonante rispetto alla voce sette ['sɛtte] = sette.

Che cosa intendo dire? Che, se anche gli studiosi “scelgono” un solo tratto distintivo a livello fonologico, gli aspetti che variano - se l'accento non cade sull'ultima sillaba - sono due anche in genovese (durata della vocale e della consonante).
Indipendentemente dal fatto che "s'inverta" - rispetto all'italiano - l'assegnazione “fonologica” del tratto distintivo e di quello allofonico - in italiano, rispettivamente, attribuiti alla geminazione consonantica e alla quantità vocalica rispetto alla convenzionale assegnazione opposta nel dialetto genovese -, la descrizione/rappresentazione fonetica dovrebbe poter permanere attendibile.

Come gli esempi dimostrano inoppugnabilmente, si può "inferire" una rappresentazione "fonologica" concordata a partire dalla realtà, che non può che essere "fonetica". Ma, se non si conosce effettivamente la varietà linguistica in questione, non si può far "derivare" automaticamente la descrizione "fonetica" da una "sintetica" rappresentazione "fonologica".

In tutti questi casi la realtà "fonetica" contiene più informazioni rispetto alla pura descrizione "fonologica".

Altrimenti, occorrerebbe preavvertire il lettore del vincolo dell'isocronismo sillabico, se pure non risulti prudente dare per scontato che il lettore medio conosca davvero di che cosa si sta parlando ..., occorrerebbe, cioè, fornire, in qualche modo, la seconda informazione.

Perché - se non vi fosse il vincolo dell'isosillabismo - le descrizioni fonologiche /'sēte/ e /'sĕte/potrebbero, rispettivamente, implicare, rispettivamente, ['sɛ:te] e ['sɛte], in cui la seconda sillaba permane invariata e si ha esclusivamente variazione della quantità vocalica della prima sillaba. Ma così non è perché, in genovese, /'sēte/ e /'sĕte/ non possono che "implicare" - ma per chi lo sa, l'implicazione non è, ovviamente, "automatica" - ['sɛ:-te] e ['sɛt-te]. Si può anche convenire che la seconda sillaba permane invariata, ma, allora, "foneticamente" occorre ammettere che la prima sillaba non varia solo esclusivamente in base alla quantità vocalica. E' solo un altro modo di descrivere la realtà, ma il fatto è che, se, invece, "si tradisce" la realtà, si commette un errore ...

E' puramente assurdo poter ritenere che la pronuncia del dialetto genovese sia potuta mutare soltanto perché, a partire da non moltissimi anni - mentre la pronuncia del dialetto ha attraversato più di un millennio -, sono state divulgate (male) le considerazioni “fonologiche” - pongo volutamente l'aggettivo in evidenza - degli studiosi.
La geminazione consonantica esisteva ed esiste indipendentemente da una particolare scelta convenzionale di rappresentazione fonologica e dovrebbe essere correttamente rappresentata in qualsiasi seria e attendibile descrizione fonetica.

Eppure …

Eppure, nel testo citato, per ben 295 pagine la confusione tra fonologia e fonetica è costante e, ad es., a pag. 82 si ha il “capolavoro” di sette [sète] per “sette”.
Come se, in genovese, la pronuncia del numero 7 fosse priva di geminazione!
Ma anche tutte le altre voci genovesi che implicano effettiva geminazione sono rappresentate - nell'opera - in modo errato!
Se la descrizione fosse fonetica, si dovrebbe avere [-tt-], ma, se nonostante l'adozione delle parentesi quadre, essa andasse intesa quale rappresentazione fonologica, si dovrebbe, allora, avere il segno di breve sull'e e, cioè, /'sĕte/ ...

Ovviamente, studiosi brillanti e geniali, quale, ad. es., il Loporcaro, autore di un Profilo linguistico dei dialetti italiani, non possono conoscere direttamente tutte le realtà linguistiche trattate e si avvalgono - necessariamente e inevitabilmente - di opere specifiche relative alle singole varietà linguistiche italiane.

Peccato che non tutte, come sopra accennato, risultino attendibili.

Ed ecco perché - a pag. 86 dell'opera del Loporcaro - compare, destando quasi più rabbia che insofferenza nei genovesi che leggono un testo di così buon livello esplicativo, che la descrizione fonetica [sɛte] vale - identicamente - sia per il veneziano quanto per il genovese, la cui pronuncia risulta lontanissima dal veneziano, anche in questa singola voce che, in genovese, risulta chiarissimamente geminata, mentre si tratterebbe di un'articolazione del tutto impossibile nel caso del dialetto veneziano !!!

La confusione e l'impostazione scorretta dei testi specifici presenta - in modo costante - esempi errati e conclusioni fonetiche opposte alla realtà oggettiva, impedendo la corretta comprensione del fenomeno linguistico e deformando il tentativo di autori seri ed estremamente preparati - ad es., il Loporcaro - di descrivere e riflettere sugli aspetti "comparativi" dei dialetti italiani !!! :cry:
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Ligure
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Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Re: [LIJ] «Schiappacasse»

Intervento di Ligure »

Rendendomi, ovviamente, conto della lunghezza del messaggio precedente - ma, relativamente alla dialettologia ligure, la "capacità di sintesi" dei "competenti" ha prodotto conclusioni totalmente errate, esattamente coincidenti con quelle di chi, almeno, può essere classificato come "ignorante" - elenco, brevemente, di seguito le evidenze di fatto che chiunque sia interessato può verificare a concreto sostegno di quanto affermato e chiarito nel messaggio precedente:

1) ovviamente, quanto esposto relativamente al dialetto genovese o le opposte considerazioni di tipo fonologico valide per la lingua italiana non si possono applicare ai dialetti propriamente veneti, privi di geminazione "fonetica" - infatti, si dice ['sɛte] e non ['sɛtte] (come in italiano e in genovese) - e in cui la quantità vocalica non può avere valore contrastivo. In essi una differenza tra descrizione "fonetica" e rappresentazione "fonologica" non potrebbe avere alcun senso e i due livelli risultano, perciò, coincidenti;

2) le rispettive grafie tradizionali - del veneto e del genovese - chiariscono bene la differenza analizzata e, infatti, si hanno le scrizioni sete, per il veneziano, di contro a sette per il genovese;

3) chi volesse sincerarsi direttamente dell'evidente differenza di pronuncia analizzata può ascoltare i dati del Vivaio Vivaldi relativi a Venezia - e al territorio "linguisticamente" veneto - e alla Liguria. La geminazione - [-tt-] -, presente nei dialetti di tipo genovese, appare evidente nel punto rappresentato da Genova, ma pure, ad es., nella località di Rovegno (dialetto arcaico di tipologia ancora medievale), in cui l'informatore scandisce bene i suoni perché parla piuttosto lentamente. La differenza con Venezia risulta troppo evidente per poter passare inosservata:

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 45&lang=de

https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 45&lang=de
- a Venezia la geminata non c'è, ma non c'è neppure, ad es., a Vicenza né a Verona "nec alibi" -

P.S.: in conclusione, spiace che il testo di un buon libro quale il Profilo linguistico dei dialetti italiani del Loporcaro, normalmente acquistato da persone interessate, ma anche da studenti - per poter acquisire rapidamente una visione sintetica della dialettologia italiana -, risulti "funestato" - per quanto concerne la Liguria linguistica - da errori come quello esposto - ma anche da altri, su cui ora non mi focalizzo - dovuti alla scarsa attendibilità delle fonti alle quali l'autore ha dovuto - necessariamente - fare riferimento! :cry:
Ligure
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Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Re: [LIJ] «Palazzi dei Rolli» o «Rolli dei Palazzi»?

Intervento di Ligure »

Come ho già avuto modo di scrivere, nel dialetto genovese, fonemi quali, ad es., [-l-] ed [-r-] - attraverso una comune pronuncia quale approssimanti, [ŕ], che più non li distingueva tra loro -, giunsero allo "zero fonico". E' per questo motivo che parole dialettali non di derivazione diretta - principalmente assunte dalla lingua italiana - vennero e vengono pronunciate mediante geminazione anetimologica rispetto alla voce italiana che è stata acquisita. Perché i fonemi geminati - nel caso in esame [-ll-] - si erano conservati e, quindi, questa era - all'epoca dell'acquisizione del prestito - l'unica possibilità contemplata dall'inventario fonetico dialettale. In genovese, ad es., si dice parolla [pa'rɔlla] e non parola, diversamente dall'italiano ecc. . Dopo quanto chiarito ciò non dovrebbe più stupire nessuno. E' esattamente lo stesso processo per cui, a Roma, si pronuncia [reʤ'ʤina] e non [re'ʤina] per "regina" (evidentemente, il romanesco antico aveva conservato - come tale - [-ʤʤ-], ma non [-ʤ-]!).

Quindi, mentre la voce "ruolo" costituisce - per l'italiano - un tardo francesismo,

http://www.treccani.it/vocabolario/ruolo/

essa, relativamente al dialetto genovese, come lo dimostra la relativa geminazione anetimologica, costituisce un italianismo e si disse rollu ['rɔllu] in tutte le accezioni del corrispondente termine di lingua, quindi, anche in quello di registro, elenco, anche se, attualmente, questo specifico significato risulta desueto e non più compreso dalla popolazione. Purtroppo, anticamente, quando anche la grafia dei documenti scritti in italiano risultava, (dis)ortograficamente, influenzata dalla parlata dialettale dello scrivente, si scriveva "rollo", "rolli", senza neppure prendersi la briga di consultare un buon vocabolario.

Perché scrivo questo? Perché a Genova i migliori palazzi dell'aristocrazia locale erano soggetti a "precettazione".
La repubblica non disponeva di alloggi pubblici per l'accoglienza di papi, imperatori, ministri e dignitari. Essi venivano ospitati nelle migliori dimore private. I proprietari ricevevano una regolare notifica della precettazione e dell'utilizzo potenziale del proprio immobile e gl'immobili precettati venivano "missi a rollu" - messi a"ruolo" -, cioè inseriti in elenchi specifici. Alcuni palazzi andavano bene per ospiti fino al titolo di duca, altri fino al rango di ministri ecc..

Tradizionalmente, questi palazzi non avevano mai ricevuto alcun nome collettivo e, singolarmente, erano soltanto noti mediante il nome dei loro antichi proprietari (Doria, Spinola ecc.).

Poche decine d'anni fa, studiosi amanti del "folclore" - soprattutto di quello finto - hanno "inventato" di sana pianta il termine "Palazzi dei Rolli" - mai usato in città e, ormai, del tutto incomprensibile alla cittadinanza, dato che il significato dialettale di "registro/elenco" non risulta più compreso. Si potrebbe, semmai, obiettare che non si tratta di palazzi che contengano alcun tipo di elenco ..., in quanto, in realtà, erano gli elenchi a contenere i riferimenti esatti ai palazzi precettati dall'autorità repubblicana ...

Esistevano, cioè, i "Rolli dei palazzi", non i "Palazzi dei Rolli", in quanto i "Rolli" venivano, banalmente, conservati nell'Archivio di stato ed era il singolo proprietario a decidere se conservare la personale "notifica di precettazione" dell'immobile. A lui non veniva consegnato nulla relativo ad altri proprietari e, se avesse desiderato conoscere la situazione globale o quella dei suoi vicini, si sarebbe dovuto recare all'Archivio di stato e consultare i "Rolli" della Repubblica, non il proprio personale foglio di "notifica".

https://it.wikipedia.org/wiki/Le_Strade ... _di_Genova

Si tacitarono le critiche nei confronti di una forma né italiana né correttamente dialettale, sostenendo che "rolli" fosse voce dell'antico italiano.

http://www.lessicografia.it/Controller? ... aAccenti=1

Certo, era italiano relativamente antico (tutti gli atti amministrativi, se non in latino, venivano scritti in italiano), ma non "impeccabile", risentiva della "lingua parlata". L'osservazione mi sembra estremamente banale e il non riuscire o il non volerla capire nel 2019 mi appare criticabile. Come a molti appare detestabile che non si possa scrivere, nel 2019, in italiano corretto, dal momento che basta "impugnare" il cellulare e ognuno può verificare, assai comodamente, che "ruolo", in italiano - oltre al fatto di essere caratterizzato dallo pseudodittongo iniziale (qui "u" non è vocale, ma approssimante) - non presenta alcuna consonante geminata.

Inoltre, scrivere "Ruoli" sarebbe stato troppo semplice, corretto, immediato, quasi comprensibile ...

Non avrebbe fatto "fine" ... Troppo scontato ...

Ma il "top" è stato raggiunto quando sono stati "inventati" i "Rolli Days", giornate dedicate a visite guidate nelle antiche dimore con un inglese d'accatto - o da "marchettari" del turismo - che non è comprensibile né a un anglofono né a un italiano e neppure a un italiano genovese (che, ormai, sa benissimo che cosa significhi "days" - anche se non è eccellente in inglese -, ma non risulta più in grado di poter attribuire alcun significato specifico alla voce "rolli").

https://www.ilturista.info/blog/14160-I ... _a_Genova/

Ovviamente, scrivere qualcosa in italiano sarebbe stato troppo riduttivo per poter esprimere concetti così elevati, sublimi - oserei scrivere - che, come ognuno sa, la lingua nazionale non ci consentirebbe ...

E, inoltre, soltanto un poveretto non riuscirebbe a capire che, scrivendo "Rolli Days" (sì, colla maiuscola anche nel secondo termine, come nel vero inglese - sembra che siano state corrisposte sostanziose parcelle ai competenti di questa lingua -), si è immediamente compresi in tutto il mondo ...

Altro che italiano, riservato, inevitabilmente, a pochi ...

P.S.: "Rolli Days" che, in realtà, dovrebbero essere sostenuti dai negozi di cartoleria e anche dai supermercati che hanno reparti di "stationery", dal momento che mai - né nel dialetto né nell'italiano locale - "rolli" ha significato "palazzi", ma soltanto elenchi, registri. :cry:
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