[VEC] Novo galepin (disionario)

Spazio di discussione su questioni di dialettologia italiana e italoromanza

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caixine
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[VEC] Novo galepin (disionario)

Intervento di caixine »

E' con intensa e gaia soddisfazione che vi annuncio l'uscita del primo dizionario Veneto-Inglese Inglese-Veneto.

http://www.veneto.org/book/preview.pdf

http://www.raixevenete.com/forum_raixe/ ... IC_ID=2469
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Mi chiedo se sia giusto consentire che lei fornisca collegamenti a siti come Raixe Venete il quale, dietro la scusa dell'identità veneta, non censura l'istigazione all'odio e alla divisione tra gli italiani.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
methao_donor
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Intervento di methao_donor »

Uhm...
Personalmente trovo sempre la censura fuori luogo.
L'opera, inoltre, mi sembra veramente una buona iniziativa.
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Decimo
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Intervento di Decimo »

methao_donor ha scritto:L'opera, inoltre, mi sembra veramente una buona iniziativa.
Di quale utilità? E soprattutto: quale veneto? Il veneto di Belluno, il veneto di Rovigo? Un veneto convenzionale creato artificialmente dalla commistione di tutti gli elementi provinciali?
Come ho già segnalato in passato, spesso mi sono trovato in contatto con dizionari Italiano-Siciliano Siciliano-Italiano, o anche con il portale di Wikipedia stessa in siciliano: in nessuno dei precedenti casi ho, almeno solo per un istante, individuato una qualche eco del linguaggio dei miei ascendenti, pur essendo io stesso siciliano di nascita, dalla provincia di Ragusa.
Perciò sono leggermente insofferente nei confronti di tali iniziative, che si fregiano del titolo di lingua avita solo perché con essa condividono l'appellativo geografico (immaginate se nel toscano vengano inseriti i dialetti della Lunezia, o nel sardo quelli della Gallura!).

La mia polemica sta rasentando l'ossessivo, quindi preferisco non continuare.
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caixine
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Intervento di caixine »

Molti in Italia, in tutti i campi, temono la concorrenza, è un fatto acclarato, non per nulla è il paese dei monopoli, degli oligopoli e dei cartelli invisibili, delle corporazioni e delle caste...nonché delle authority; e di molte altre stranezze che alla grande contraddistinguono nel mondo questo incredibile paese.

Personalmente non nutro i timori di Decimo.

Il prossimo dizionario Veneto Inglese e Inglese Veneto lo si potrà fare inserendo in ogni voce tutte le sue varianti geografiche e sociali che saranno disponibili oppure specificando la località propria della voce riportata.

Uno dei pregi di questo nuovo dizionario è che adopera alcuni segni grafici diversi da quelli in uso nell’alfabeto italiano: ł, k, y, x, j e omette il ch e la q.
In tal mondo la lingua veneta (in tutte le sue varianti) esce dagli angusti spazi e dalle deformità/ambiguità a cui era costretta, ricollegandosi anche al venetico, al greco, alle lingue germaniche e slave a cui è imparentata, acquisendo così un’estensione maggiore, rafforzando la sua autonomia ed espressività.
Nonostante ciò procuri dispiacere alla notevole schiera di cultori del dialetto veneto che lo vorrebbero docile animale domestico entro la gabbia della famiglia linguistica italica e sottomesso all'italiano.

Mego nel costruirmi la lingua veneta cerco di attingere a tutte le sue fonti e mi fa immenso piacere mischiare il tergestino con il trentino, il belumat con il graixan e il vicentino con il veneziano, ecc..
Mi basta soltanto che sia veneto, da bocca e tradizione veneta o ancora meglio: Venetiana!
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
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Decimo
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Intervento di Decimo »

caixine ha scritto:Personalmente non nutro i timori di Decimo.
Attingo le mie prove direttamente dal sito Raixe Venete, a mostrare che i miei timori sono fondatissimi.

V'è una Presentazioni siciliana, che liberamente e infondatamente sfoggia questa sua appartenenza geografica.
Dal momento che non è possibile tradurre in dialetto un documento particolarmente ricco di tecnicismi, mi pongo l'obiettivo di analizzarla parola per parola:

Presentazioni siciliana:
il termine presentazioni è un goffo adattamento dell'italiano presentazione, reso con un banale mutamento della vocale finale a dare un "tocco di pura sicilianità". L'unico verbo da me conosciuto, ereditato dalla lingua dei miei avi che abbia un minimo legame con la parola presentazione è apprisintari (apprisièntu, apprisintài) cioè presentare.
L'adattamento "più corretto" dovrebbe essere dunque *apprisintazioni. Il titolo, nel siciliano della mia provincia, si presenterebbe così: Apprisintazioni siçiliana.

Salutamu. Bimminutu 'n Venetu!:
ne evinco una certa inclinazione palermitana. Non ho mai riscontrato nel comprensorio ragusano alcuna formula di saluto differente da: a bbona sira (buona sera) e al congedo ti salutu, ni viriemu (ti saluto, ci vediamo). L'ibleo esorisce tipicamente con «Arà, Ddhjuoggi, cchi si rici?» ("Ehi, Giorgio - nome di fantasia - che si dice?") o «Ddhjuoggi, cchi mi cunti?» ("Giorgio, che mi racconti?").
Fortissimi dubbi sulla legittimità di bimminutu sulla sua costruzione (la formula di bevenuto è qui di fatto inesistente). Il verbo vèniri (viegnu, vinni), cioè venire, dà come participio passato, quando in posizione debole (cioè non preceduta da consonanti o da preposizioni vocaliche o terminazioni verbali vocaliche che in latino terminavano in consonante) vinùtu, in posizione forte (nei casi prima negati) bbinùtu.
Voglio giustificare la scelta del traduttore solo perché, nell'unico caso in cui la consonante finale della parola precedente sia n, cioè nella sola negazione nun (non), la n e la v si assimilano in doppia m (es.: nu·mminni (nun + vinni), cioè "non è venuto").
Dal momento però che non v'è memoria di parole tronche in siciliano, è improbabile l'esistenza di un *bin, che dovrebbe significare bene, da cui la fusione in doppia m. Da ciò deduco che anche questo vocabolo è in realtà un forzato adattamento direttamente dall'italiano. Non credo esiste un modo per poter traslare nel siciliano della mia provincia questa cortese formula di saluto e di benvenuto.
__________________

Venetu eni na reggioni situata ntra l'Austria e lu mari Adriáticu:
incomprensibile l'assenza dell'articolo, Venetu (tra l'altro semplice, e direi ridicolo adattamento) in luogo di u Vènitu/u Vènutu o ancora meglio di u Viènitu, u Viènutu (forme che seguono le regole di adattamento per i motivi che analizzerò in seguito).
Nel siciliano della provincia di Ragusa (che, ricordo, nulla può impedire che sia chiamato siciliano appunto) le e brevi latine in posizione non accentata diventano i, o addirittura u (in verità le vocali non accentate oscillano molto, e non è possibile additarne una forma migliore fra i e u). Inoltre, in un processo simile a quello subito dall'italiano, pur non essendo perfettamente universale, la e breve in posizione accentata evolve in una e preceduta da una vocale semiconsonantica (nel precedente caso i).
Il verbo èni (è) sarebbe di per sé corretto se posto alla fine della frase, o seguito da una qualunque pausa di punteggiatura; in tutti i restanti casi esso si preserva nella forma è.
Ad es.:
- Cu è cchiddu? (si noti il raddoppiamento di ch dopo posizione forte);
ma
- Chiddu cu èni?.
Entrambi significano "Chi è quello?".
Adattamento dall'italiano è reggioni, che, possedendo il testo un'inclinazione palesemente palermiatana, ha subito un processo differente di quanto piuttosto avverrebbe nella mia provincia. La doppia -gg- dolce, così come anche la catanese doppia -ggh- dura, sono pronunciate in siciliano ibleo, con un fenomeno molto vicino al còrso, -ddhj-, una sorta di occlusiva palato-dentale. Dunque l'adattamento più corretto sarebbe *riddhjuni, vocabolo tuttavia inesistente e perciò inaccettabile.
Situata è addirittura termine eccessivamente prezioso, estraneo al sistema fonetico siciliano.
'ntra l'Austria, forma corretta (almeno).
Chiaramente non siciliano di Ragusa è ...e lu mari Adriàticu, dove spicca stonando la l dell'articolo, qui scomparsa, e che dovrebbe essere reso ...e u mari Addriàticu (è qui del tutto arbitrario l'adattamento di Adriatico)... o forse, per la gioia dei Veneti, a sottolineare la pronuncia non sempre certa, potremmo scrivere l'articolo: łu. :wink:

Avi pressapocu 4.500.000 abitanti:
anche questa breve frase, come ogni italofono può comprendere, consta di due adattamenti mal foggiati dall'italiano (il 75 % della frase).
Dal momento che non v'è stata, nemmeno in passato, una contabilità di precisione in lingua siciliana, per indicare circa al giorno d'oggi si ricorre agli adattamenti cicca, quasi, o, riferendomi al testo che sto analizzando, priessappuoco che è forma iblea quanto palermitana (pertanto non riesco a giustificare la scelta del traduttore). D'uso certamente più siciliano, simile alla forma italiana, è viess'e quattru miliuna.... (verso i quattro milioni).
Abitanti... anche in Wikipedia è presente un divertente abbitanti, ma sono entrambe formecalcate dall'italiano, che io non ho mai udite.

Li citati principali di lu Venetu sunnu Venezia...:
grossi problemi sono ravvisabili anche in questa frase. Al di là dell'articolo in l, per il quale reinvio al commento precedente, è citati a destare profondi sospetti e dubbi e a far storcere la bocca all'intera comunità sicelofona: l'unico termine dialettale con cui ho sentito indicare una città è stato centru (centro abitato)... Molto usato è anche il termine italiano crudo, così come per molti altri, cioè città: sorvolo sul wikipediano *cità.
Entro finalmente in contatto con una preposizione articolata: di lu. In ibleo esso è semplicemene .
Il che è spiegabile dal fatto che: la d in posizione semplice è sempre r, la r in posizione forte è sempre d.
Ad es.:
- 'Stao 'ssa pettra è ttruoppu ranni., (cioè "Questa pietra è troppo grande");
dove però
- A bbirri tà fiddhju quant'è ddanni!, (cioè "Da vedere tuo figlio, quanto è maturo!").
Tornando alla preposizione articolata: in ibleo di è, come specificato prima, ri, che è fortemente soggetta a elisione quando seguita da vocale. Da ciò una probabile ricostruzione *ri (l)u > *ri u > *r'u > rô (l'accento circonflesso indica un allungamento vocalico).
Nonostante il traduttore sia da ammirare per non aver tentato disperatemente di adattare anche tutti i nomi delle città venete (per le quali però alcuni equivalenti siciliani esistono), non riesco a capacitarmi del verbo sunnu (sono terza persona plurale). La forma attestata e sicuramente la più popolare resta (dal latino sunt).

Li genti di lu Venetu sunnu chiamati "Veneti":
come spiegato in precedenza sul diverso esito della -g- dolce nelle varie zone dell'Isola, il termine da noi adoperato per gente è ddhjenti e non genti. Inoltre a ddhjenti è femminile e singolare nell'articolo, e spesso, ma non sempre, plurale nella coniugazione del verbo con esso collegato.
Evitando di soffermarmi in costrutti già commentati in precedenza, inciampo però in chiamati.
Il siciliano ibleo ha la particolare caratteristica di sostituire tutti i gruppi -ch-, cioè c dura, con -ci- cioè c dolce. Uniche eccezioni restano chiddu e chissu, che alcuni autori riportano nella forma grafica quiddu e quissu.
Perciò i "sicilianissimi" chiamari, acchiappari, chiòviri e chiummu nella provincia di Ragusa sono rispettivamente ciamari, acciappari, ciòviri e ciummu (influenze venete? :D ), cioè in italiano chiamare, acchiappare, piovere e piombo.



Perdonatemi... ma purtroppo l'orario non mi consente di continuare... in un futuro intervento sintetizzerò le perplessità del restante testo.
In breve, caro caixine, ho ben onde nel nutrire il timore che uno dei dialetti regionali, spacciandosi per siciliano universale, finisca col divorare i linguaggi subregionali, che invece si preservano nel momento in cui hanno come unico sistema superiore l'Italiano.
Avatara utente
u merlu rucà
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Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41

Intervento di u merlu rucà »

Evitando di soffermarmi in costrutti già commentati in precedenza, inciampo però in chiamati.
Il siciliano ibleo ha la particolare caratteristica di sostituire tutti i gruppi -ch-, cioè c dura, con -ci- cioè c dolce. Uniche eccezioni restano chiddu e chissu, che alcuni autori riportano nella forma grafica quiddu e quissu.
Perciò i "sicilianissimi" chiamari, acchiappari, chiòviri e chiummu nella provincia di Ragusa sono rispettivamente ciamari, acciappari, ciòviri e ciummu (influenze venete? :D ), cioè in italiano chiamare, acchiappare, piovere e piombo.

chiddu e chissu sono eccezioni apparenti, in quanto derivano da eccum illum e da eccum istum, mentre gli altri termini derivano da gruppi consonantici iniziali CL- PL-; l'esito 'ragusano' da CL (ciamari < CLAMARE) è anche genericamente settentrionale, mentre quello da PL (ciòviri < PLOVERE) è caratteristico (anche se non esclusivo, si ritrova in Valtellina!) della Liguria (ciöve). Difficile dire se si tratta di un sostrato comune o di un influsso dei coloni gallo-italici che, nel corso del XII/XIII secolo, si stabilirono in Sicilia, fondando o ripopolando numerose località, una parte delle quali ha mantenuto ancora oggi (sia pure con forti apporti dei dialetti siciliani con cui confinavano) la parlata originaria.
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