Plurale forestierismi

Spazio di discussione su prestiti e forestierismi

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Marco1971
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methao_donor ha scritto:Si tratta di lasciare alle proprie consuetudini ciò che italiano non è.
Potrebbe gentilmente esplicitare ciò che intende? Il parlar suo m’è duro... :oops:
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cuci
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Intervento di cuci »

methao_donor ha scritto:Mica si tratta di modificare l'italiano. Si tratta di lasciare alle proprie consuetudini ciò che italiano non è. A mio avviso, se mai, rischia d'apparire inferiore e in sudditanza nel caso contrario.
A parte che, come già sottolineato da Marco1971, vi sarebbe un certo errore concettuale nella sua frase; ma a parte questo le pare forse che nelle altre lingue soglino essere così gentili nei confronti dei prestiti stranieri da usare il plurale nei forestierismi? Un piccole esercizio: cerchi il plurale di "pizza" nelle altre lingue del mondo, dubito che incontrerà molte "pizze".
E non dimentichiamo che la potenza d'una lingua sta anche nella sua capacità di modificare i prestiti affinché assecondino le sue regole e forme fondamentali.
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methao_donor
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Intervento di methao_donor »

cuci ha scritto:
methao_donor ha scritto:Mica si tratta di modificare l'italiano. Si tratta di lasciare alle proprie consuetudini ciò che italiano non è. A mio avviso, se mai, rischia d'apparire inferiore e in sudditanza nel caso contrario.
A parte che, come già sottolineato da Marco1971, vi sarebbe un certo errore concettuale nella sua frase;
Quale? :oops:
ma a parte questo le pare forse che nelle altre lingue soglino essere così gentili nei confronti dei prestiti stranieri da usare il plurale nei forestierismi?
Sarà pure vero, ma non vedo cosa c'entri.
Semplicemente sto dicendo che, in linea di principio, la trovo una strategia nient'affatto esecranda.
Potrebbe gentilmente esplicitare ciò che intende? Il parlar suo m’è duro...
Cerco di spiegarmi meglio.
1) A livello di coerenza, mi pare indubbiamente una soluzione più "regolare" e "logica". Per quanto queste siano proprietà che alla lingua non necessariamente devono appartenere, neppure mi pare il caso di trascurare considerazioni del genere a pie' pari. In un certo senso sarebbe come citare un aforisma o un proverbio (in lingua originale) adattandolo all'italiano, il che mi parrebbe assurdo.
2) Lasciare le parole alla loro regola originaria (non italiana, quindi), facilita la percezione della loro natura estranea alla nostra lingua. Non mi sembra illecito considerarle, appunto, come una sorta di "citazione". Trattarle come parole italiane mi pare controproducente, oltre che erroneo concettualmente.

Per questo dicevo dianzi che, semmai, trovo come ammissione di inferiorità fingere che l'imprestito non sia mai avvenuto (cosa che, mediamente, sicuramente accadrebbe).
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cuci
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Intervento di cuci »

methao_donor ha scritto:
cuci ha scritto:[...]vi sarebbe un certo errore concettuale nella sua frase
Quale? :oops:
L'errore sta nella definizio di ciò che italiano è e ciò che italiano non è, il che non è esattamente la stessa cosa che dire "forestierismo".
methao_donor ha scritto: 1) A livello di coerenza, mi pare indubbiamente una soluzione più "regolare" e "logica". Per quanto queste siano proprietà che alla lingua non necessariamente devono appartenere, neppure mi pare il caso di trascurare considerazioni del genere a pie' pari. In un certo senso sarebbe come citare un aforisma o un proverbio (in lingua originale) adattandolo all'italiano, il che mi parrebbe assurdo.
Dunque le sembra più "logico" ch'io dica «Io ne ho provate tante di saunat, ma quelle di Helsinki son le migliori» o «Quale tra queste vodky preferisci?» o «È un piatto cucinato con tre diversi tipi di curries» o «Adoro cavalcare, ho anche partecipato ad alcuni rodeos» «Una degustazione di vini durante la quale apprezzerete i diversi bouquets» e siamo sicuri que si scriva così e non "buquets"? «Da quando s'è trasferita, Lucia ha avuto diversi chocs culturali»... o si scrive choques? o forse è meglio usare l'inglese "shok" e il plurale "shoks"... o si scrive shocks? e se poi dovessi parlare di "harem"? o di "iglù"? come farei col plurale? E il plurale di "silos"? "siloses"? o forse è già plurale? ma il plurale di quale lingua? E il plurale di yacht lo conoscono tutti? E come si scrive "decoltè"? forse "decollette"? o decollete? e dove va l'accento? e quanti sono gli accenti? e se si scrive il plurale l'accento resta o va tolto? E tanti boy-scout sono "boy-scouts" o "boys-scout"? E se dovessi scrivere un articolo sui migliori chef d'Italia quale sarebbe il plurale? "chefs"? e se fossero donne? "chefes" o "chefs"? Non tutti lo sanno eppur son parole comuni...
Io direi che sarebbe meglio se gli italiani scrivessero secondo le regole degli italiani, ossia quelle che i più sanno.
Ah, ho volontariamente taciuto delle pronunzie delle suddette parole, altrimenti vi sarebbero state proprio grasse risate...
methao_donor ha scritto: 2) Lasciare le parole alla loro regola originaria (non italiana, quindi), facilita la percezione della loro natura estranea alla nostra lingua. Non mi sembra illecito considerarle, appunto, come una sorta di "citazione". Trattarle come parole italiane mi pare controproducente, oltre che erroneo concettualmente.
e da dove sorge la necessità di percepire estranee certe parole?
methao_donor ha scritto: Per questo dicevo dianzi che, semmai, trovo come ammissione di inferiorità fingere che l'imprestito non sia mai avvenuto (cosa che, mediamente, sicuramente accadrebbe).
Dunque per lei i parlanti di inglese, spagnolo, russo, ucraino, arabo, cinese (mandarino, cantonese e wú), lingue indiane (hindi/urdu, punjabi, marathi, tamil e telogo), francese, tedesco, portoghese, lingue indonesiane (bengali, jawa), giapponese e coreano (diciamo cinque miliardi e qualche centinaio di milioni di parlanti) ostentano con orgoglio il fatto che le proprie lingue siano inferiori cercando di adattare i prestiti stranieri alle grafie e grammatiche locali... giusto noi italiani potremmo peccare d'albagia?
Ultima modifica di cuci in data mer, 11 ott 2006 1:17, modificato 1 volta in totale.
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Federico
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Intervento di Federico »

cuci ha scritto:e da dove sorge la necessità di percepire estranee certe parole?
Dal tentativo di confinarle in un ghetto per evitare che ne escano e facilitarne l'espulsione. Ovviamente non ci si riferisce ai forestierismi di uso comune, che dal ghetto sono irrimediabilmente fuggiti e dilagati.
Quanto alle obiezioni sugli errori, non sono pertinenti, perché se li si considera citazioni solo chi conosce la lingua d'origine può farne uso (ed ecco l'altra limitazione).

Tuttavia non so quanto possa essere efficace in questo senso l'uso del plurale originale, che piú probabilmente è solo una complicazione deleteria rispetto all'invariabilità.

Analoghe considerazioni valgono per l'adattamento, che però marca molto piú nettamente l'accoglimento del forestierismo, e quindi merita un discorso a parte.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Federico ha scritto:Quanto alle obiezioni sugli errori, non sono pertinenti, perché se li si considera citazioni solo chi conosce la lingua d'origine può farne uso (ed ecco l'altra limitazione).
Ma cosí non è: sui giornali sono ricorrenti gli errori d’ortografia, quindi i forestierismi, anche non troppo oscuri, vengono adoperati soprattutto da chi non conosce la lingua d’origine.

Molto pertinenti mi sembrano quindi le osservazioni di Cuci (del cui ritorno mi rallegro: caro Cuci, con ritardo: ben tornato! :D).
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Intervento di methao_donor »

Federico ha scritto:
cuci ha scritto:e da dove sorge la necessità di percepire estranee certe parole?
Dal tentativo di confinarle in un ghetto per evitare che ne escano e facilitarne l'espulsione. Ovviamente non ci si riferisce ai forestierismi di uso comune, che dal ghetto sono irrimediabilmente fuggiti e dilagati.
Quanto alle obiezioni sugli errori, non sono pertinenti, perché se li si considera citazioni solo chi conosce la lingua d'origine può farne uso (ed ecco l'altra limitazione).

Tuttavia non so quanto possa essere efficace in questo senso l'uso del plurale originale, che piú probabilmente è solo una complicazione deleteria rispetto all'invariabilità.

Analoghe considerazioni valgono per l'adattamento, che però marca molto piú nettamente l'accoglimento del forestierismo, e quindi merita un discorso a parte.
Esattamente quanto cercavo di sostenere io stesso. Trovo inoltre che abbia ribattuto puntualmente a ogni aspetto trattato da cuci, pertanto evito di commentare oltre.
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Federico
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Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:Ma cosí non è: sui giornali sono ricorrenti gli errori d’ortografia, quindi i forestierismi, anche non troppo oscuri, vengono adoperati soprattutto da chi non conosce la lingua d’origine.
Ma non sarò certo io a negarlo: stavo solo analizzando le conseguenze astratte dell'applicazione del modello indicato da methao_donor: questo elemento non ne tocca la coerenza e validità interna; tutt'altro discorso è la realizzabilità delle premesse.
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Intervento di Marco1971 »

Caro Federico, io spero soltanto, e con tutto il cuore, che lei non s’impalúdi in codesta lingua di plastica (e non è l’unico)...
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Federico
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Marco1971 ha scritto:Caro Federico, io spero soltanto, e con tutto il cuore, che lei non s’impalúdi in codesta lingua di plastica (e non è l’unico)...
La lingua di plastica sarebbe quella derivante dall'auspicata ghettizzazione dei forestierismi? Ma non credo nemmeno che ci sia un tale rischio, perché è una battaglia persa in partenza: scrivere come indicato da cuci saunat, vodky, curries, rodeos, bouquets non può a mio parere essere piú che una provocazione per invitare alla moderazione nell'uso dei forestierismi.
Non bisogna però sottovalutare l'utilità delle provocazioni, specie se logicamente coerenti.
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Federico ha scritto:
cuci ha scritto:e da dove sorge la necessità di percepire estranee certe parole?
Dal tentativo di confinarle in un ghetto per evitare che ne escano e facilitarne l'espulsione. Ovviamente non ci si riferisce ai forestierismi di uso comune, che dal ghetto sono irrimediabilmente fuggiti e dilagati.
Certo, talvolta alcuni forestierismi son inutili, dannosi e degni d'espulsione anche attraverso certe provocazioni, ma cert'altre parole, portatrici di novità, è bene accoglierle e far sì che circolino! Quindi alla sua metafora del ghetto oppongo la mia: che questi termini, seppur d'origine straniera, siano (in quanto portatrici di nuove idee o concetti) accolti come necessari immigrati nella nostra patria linguistica, ma per restarvici di diritto DEBBONO seguirne le regole, la legge grammaticale [es.: i blog esistono e son parte della mondo moderno: non sarebbe bene assimilarli e parlare di un bloggo e molti blogghi piuttosto che di blog e blogs?] [Se poi si trovassero altri traducenti che non siano adattamenti -ad esempio "elettrodiario"- allora benvengano, ma non è questo il luogo ove discuterne ora].
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

No, sarebbe quel che Italo Calvino chiamava l’antilingua e quel che Ornella Castellani Pollidori chiama la lingua di plastica, cioè una lingua «tendenzialmente tecnico-burocratica» (citazione molto parziale), di cui io vedrei un esempio in questa frase:
...stavo solo analizzando le conseguenze astratte dell'applicazione del modello indicato da methao_donor: questo elemento non ne tocca la coerenza e validità interna; tutt'altro discorso è la realizzabilità delle premesse.
Frase che mi lascia perplesso per lessico e sintassi (sia chiaro: non ci sono errori, ma è, appunto, lingua prossima al burocratese). E chiedo scusa per la critica aperta e non velata.
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cuci ha scritto:...ma per restarvici di diritto DEBBONO seguirne le regole, la legge grammaticale [es.: i blog esistono e son parte della mondo moderno: non sarebbe bene assimilarli e parlare di un bloggo e molti blogghi piuttosto che di blog e blogs?]
Sí, Cuci, e su bloggo c’è anche un filone, credo. Io lo uso tranquillamente. 8)
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Intervento di Federico »

cuci ha scritto:Quindi alla sua metafora del ghetto oppongo la mia: che questi termini, seppur d'origine straniera, siano (in quanto portatrici di nuove idee o concetti) accolti come necessari immigrati nella nostra patria linguistica, ma per restarvici di diritto DEBBONO seguirne le regole [...]
Ma questo modello si può facilmente criticare dicendo che per quanto integrati gli immigrati obbediscono spesso piú che altro a vili esigenze di ribasso dei costi, e che sarebbe forse meglio rieducare gli italiani a svolgere certe mansioni (anche rendendole umane): fuor di metafora, incentivare la creazione di un lessico (tecnico ma non solo) autoctono e la riscoperta del nostro ricco vocabolario semiabbandonato.
In realtà ci vuole di tutto un po'.
Marco1971 ha scritto:E chiedo scusa per la critica aperta e non velata.
La sincerità non offende mai (almeno me). Mi interessa anzi questa sua opinione: lei come avrebbe scritto quella frase? A meno che sia proprio il concetto veicolato ad apparire «tendenzialmente tecnico-burocratico»; ma in tal caso ci sarebbe un fraintendimento.
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Intervento di Marco1971 »

Il fatto è che la sua frase, per me, è incomprensibile, e richiama appunto quella lingua che s’inorpella di parole perlopiú areferenziali... Per me vale la frase di Boileau: Ce qui se conçoit bien s’énonce clairement. (Ciò che si concepisce bene s’enuncia chiaramente.)
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