«Morbus anglicus»

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Moderatore: Cruscanti

PersOnLine
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Intervento di PersOnLine »

Carnby ha scritto:. Ieri sera, servizio da denuncia al TG2 con battutina finale da parte di uno dei responsabili di questo ennesimo scempio nei confronti della lingua italiana: «... mi ricorda un po' quando in Francia era proibito dire computer e si doveva per forza dire ordinateur».
L'ho sentita anch'io questa immane balla - passatemi il termine - che non so se dovuta a ignoranza o tremenda malafede.
Avatara utente
Modna
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Intervento di Modna »

Carnby ha scritto:. Ieri sera, servizio da denuncia al TG2 con battutina finale da parte di uno dei responsabili di questo ennesimo scempio nei confronti della lingua italiana: «... mi ricorda un po' quando in Francia era proibito dire computer e si doveva per forza dire ordinateur».
Credo che in questa affermazione si mescolino sia una certa dose di ignoranza/superficialità nella conoscenza della situazione francese, sia a malafede, dato che si usa come "prova" per portare acqua al mulino del "responsabile".
Riporto l'articolo del Sole 24 Ore sull'argomento: Al Politecnico di Milano dal 2014 si parlerà solo inglese. De Mauro: non abbandonare l'italiano.
È interessante notare che la grande maggioranza dei commenti finora pubblicati (46) sono contrari alla proposta, e la criticano aspramente (per commentare bisogna iscriversi alla comunità del Sole 24, mentre si può cliccare mi piace sui commenti anche da anonimi).
Ultima modifica di Modna in data sab, 14 apr 2012 14:38, modificato 1 volta in totale.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Modna ha scritto:È interessante notare che tutti i commenti finora pubblicati sono contrari alla proposta, e la criticano aspramente (per commmentare bisogna iscriversi alla comunità del Sole 24).
Invece sul «Fatto Quotidiano» l'intervento di Diego Marani ha diviso la comunità degli utenti.
Avatara utente
Modna
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Intervento di Modna »

Ho corretto la mia ultima affermazione perché, controllando meglio, ho trovato una minoranza di spasimanti anglofili. La maggioranza rimane comunque contraria.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Come dicevo altrove, secondo me si potrebbe pensare anche alla violazione dell'articolo 3 della Costituzione:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


Non sapevo fosse fatto obbligo di conoscere solo l'inglese per i cittadini che si vogliono iscrivere al Politecnico (un'università pubblica italiana!). Per avere una padronanza tale da seguire lezioni interamente in inglese ci vogliono tempo e, soprattutto, soldi. Uno studente della provincia di Milano che non può permettersi corsi e viaggi studio in Inghilterra che fa, s'iscrive a Torino?

Peraltro, dall'articolo della Stampa si ricava l'idea che gli studenti debbano per forza lavorare all'estero e che, perciò, l'Italia non sia in grado di affrontare le questioni tecnologiche e scientifiche del mondo contemporaneo. Decisamente umiliante.

Cosí, quella che, all'apparenza, è una decisione di apertura e «sprovincializzazione» finisce, al contrario, per far piombare il paese il Paese in uno stato di ancor maggiore subalternità.

Come suggerisce un commentatore sul sito del Sole 24 Ore, perché non trasferire direttamente il Politecnico negli Stati Uniti?
Avatara utente
Modna
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Intervento di Modna »

Anche a Torino non se la passano bene, dato che il politecnico ha deciso di ridurre i corsi in italiano, e azzerare le tasse per chi segue i corsi in solo inglese. Questo era già accaduto, in sordina, prima dell'orrida decisione del politecnico di Milano. Che tra l'altro, come affermato da questo articolo del Corriere, ha pure la benedizione del ministro profumo (minuscole volute), che si è dichiarato testualmente «molto soddisfatto della decisione dell'ateneo milanese». Alle forti critiche di De Mauro si sono aggiunte quelle di Serianni, e dell'architetto Fuskas, che afferma «Troppo radicali, o non facciamo nulla o troppo. Prima c' è la nostra lingua, poi possiamo impararne anche altre due o tre. Magari il cinese».

E poi il fatto che le reazioni si limitino solo a queste, o quantomeno che i mèdia quasi le pongano in secondo piano... mi pare di sognare.
domna charola
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Re: Finalmente...

Intervento di domna charola »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Comunque, l'ineffabile Irene Tinagli ha ragione quando afferma:

Chiunque abbia esperienze di studio e specializzazione all’estero sa quanto tempo e fatica richieda «ritradurre» in italiano termini ed espressioni apprese per la prima volta in una lingua straniera. Questo significa che la strada del cambio linguistico per le nuove generazione di ingegneri italiani potrebbe essere senza ritorno. Non sarà banale per ragazzi formatisi in lingua inglese tornare a progettare in italiano.
Concordo. Le materie "tecniche" che ho studiato su testi in inglese (perché in italiano mancavano i testi) mi hanno fornito un vocabolario di termini che ho difficoltà a tradurre in itlaiano, e quando lo faccio mi sembra sempre una traduzione insufficiente e ridicola, come se il termine in inglese fosse di per sé più preciso e significativo.
Quando lavoro, però, comunico con colleghi, che capiscono perfettamente il termine in inglese, troverebbero strano se lo traducessi in italiano, e quindi il problema del significato non si pone. In pratica, parliamo un gergo tecnico tutto nostro.
Però poi dobbiamo comunicare anche con l'esterno. E voglio vederti a spiegare al contadino in alta valle che non ha il permesso per costruire la stalla perché c'è il rischio di un land-slide! ... secondo me, miglioreremmo la nostra conoscenza del dialetto locale, sezione "improperii e insulti assortiti".

Sorge a questo punto il dubbio che sia anche questo un metodo per tagliare fuori i "non addetti ai lavori", creandosi una posizione di potere attraverso l'ermeticità della lingua.
Avatara utente
marcocurreli
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Re: Finalmente...

Intervento di marcocurreli »

domna charola ha scritto: E voglio vederti a spiegare al contadino in alta valle che non ha il permesso per costruire la stalla perché c'è il rischio di un land-slide! ...
land-slide = frana di scivolamento
domna charola
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Intervento di domna charola »

Appunto... e allora spiegami perché - cavolo! - dobbiamo dire "land slide", che per chi non conosce la materia è incomprensibile, se non per aumentare la parcella facendo credere chissà cosa...
Quando si rientra nel mondo reale, secondo me, è fondamentale comunque cercare di tradurre i termini il più possibile, se si vuole comunicare, anche se magari all'interno del gruppo viene più comodo il gergo tecnico. E quindi è importante che all'università si impari anche il corrispondente termine in italiano corrente.
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u merlu rucà
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Re: Finalmente...

Intervento di u merlu rucà »

marcocurreli ha scritto:
domna charola ha scritto: E voglio vederti a spiegare al contadino in alta valle che non ha il permesso per costruire la stalla perché c'è il rischio di un land-slide! ...
land-slide = frana di scivolamento
Non è poi una battuta. Un mio vicino di campagna mi aveva chiesto proprio cosa significasse quel termine, che aveva sentito per caso da un ingegnere. Quando gli ho detto: ina lìscia (una frana di scivolamento nel mio dialetto), mi ha risposto: ma perché i nu parla cum'i caga? (non penso ci sia bisogno di traduzione :wink: ).
PersOnLine
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Intervento di PersOnLine »

domna charola ha scritto:…anche se magari all'interno del gruppo viene più comodo il gergo tecnico.
Ho, invece, paura che se non ci si sforza proprio all'interno del "gruppo" di utilizzare un gergo tradotto (perché mai un termine inglese dovrebbe essere "più tecnico" di uno italiano: il significato in fondo è solo questione di convenzione), non si sarà poi in grado di tradurlo nel mondo reale.
domna charola
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Intervento di domna charola »

Fra addetti ai lavori, non è secondo me una scelta di "vocabolo più tecnico", bensì di preferire il vocabolo "più comodo". E questo finisce per creare un "gergo tecnico" che si discosta dalla lingua corrente, e che dovrebbe rimanere uno strumento di lavoro e basta.
Concorrono a ciò vari fattori:

1) Alcuni termini, correnti in una lingua, vengono presi per indicare un nuovo oggetto/fenomeno da un autore, e da quel momento, mentre nel mondo reale continuano ad aver il significato originario, all'interno del discorso tecnico indicano esattamente il fenomeno studiato dall'autore Pincopallino.
Vengono mantenuti nella forma originaria, sottintendendo un "sensu Pincopallino, 19xx", con riferimento appunto ad un testo pubblicato che tutti conoscono. In pratica si ha un significato chiaro e condiviso, mentre - anche nello stesso discorso o testo - se si scrive/dice l'equivalente italiano si intende in contrapposizione il fenomeno in sé, indipendentemente dall'interpretazione che ne dà Pincopallino.
Non è una cosa codificata da nessuna parte, però nella pratica, il termine straniero finisce per radicarsi così.
Ad esempio, se dico "drop-stone" intendo precisamente una pietra caduta in un bacino a sedimentazione fine, a causa della fusione del blocco di ghiaccio che la trasportava, galleggiando alla superficie. E tutti i geologi "vedono" l'oggetto, anche se non ricordano l'autore che ha partorito la definizione.
Se dico invece "pietra caduta", può essere una qualsiasi pietra in movimento con una componente verticale dall'alto verso il basso a causa della gravità, in un qualsiasi luogo/ambiente.

2) Molte volte il termine straniero originario discende da somiglianze, analogie, giochi di parole... insomma cose strane che non hanno alcuna attinenza reale, e che nella traduzione perderebbero il significato.

3) La praticità d'uso. Ci sono termini che nella lingua in cui vengono proposti risultano "brevi", facili da usare, mentre lo stesso concetto, tradotto, diventa una serie di sintagmi, o addirittura una frase compiuta.
Ad esempio, il termine tecnico "till" è molto più comodo dell'equivalente "deposito glaciale" o anche dell'inglese "glacial deposit", semplicemente perché è corto.
Ciò non toglie che, quando faccio didattica nelle scuole, continui a parlare di "deposito glaciale", proprio perché sto parlando italiano e non geologichese.

Il bello del gioco, secondo me, è proprio riuscire ad adeguare il registro linguistico alll'ambito della comunicazione, ovvero saltabeccare dal gergo all'italiano standard ai localismi etc. a seconda dell'uditorio e del tipo di comunicazione (tecnica, poetica, informale etc.) che si sta facendo.

Il tragico invece è quando, appunto come propone il Politecnico di Milano, si finisce per usare termini stranieri anche nel parlato corrente, solo perché non c'è stato lo spazio per "scoprire" il termine equivalente nella nostra lingua...
PersOnLine
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Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30

Intervento di PersOnLine »

Il problema è che così in italiano continua a mancare un termine per definire "una pietra caduta in un bacino a sedimentazione fine, a causa della fusione del blocco di ghiaccio che la trasportava", e per nominarlo giocoforza si ricorrerà a dropstone. Se invece di "depositi glaciali" lei dovesse parlare a scuola di dropstone, che termine italiano userebbe, allora?

Come vede, da questo problema non se ne esce: sforzarsi di parlare con un gergo tecnico italiano, anche all'interno del gruppo dei colleghi, ha innanzitutto il vantaggio di crearlo, questo gergo tecnico.

Inoltre lei non può prendere solo sé stessa come metro, perché magari lei si sforza di parlare in italiano quando insegna – pur ammattendo comunque di aver "difficoltà a tradurre" –, ma i suoi colleghi? Temo che al 70-80% utilizzino i termini non tradotti senza tradurli, proprio perché appunto sentiti come "più comodi" e forse "più precis e significativ"; e dire che soprattutto nel gergo tecnico, proprio per la specializzazione del termine e per l'assenza di necessità "impressionistiche" legate alla lingua, dovrebbe essere molto facile tradurre "uno a uno".
domna charola
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Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Intervento di domna charola »

Do per scontato che sia un problema dei colleghi il rendersi comprensibili a tutti. "Fare didattica" non è una prescrizione medica.

Nel caso della "pietra caduta" spiegherei agli studenti con un disegnino che evidenzia il concetto, e poi introdurrei il termine tecnico, scritto in corsivo e indeclinabile come parola straniera... così imparano anche a riconoscerlo quando lo incontrano nei testi dei colleghi di cui sopra, e a capirlo.
Tanto nella vita reale non lo useranno mai, e se lo useranno saranno costreti a spiegarlo con una lunga frase, perché a parte i quattro gatti addetti ai lavori, il resto del mondo non lo capisce!
A parte gli scherzi, si tratta di termini "estremi", molto tecnici. In generale sono per il termine italiano. Resta il fatto che in alcuni casi occorra un termine sintetico...
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
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Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Personalmente, non m'infastidisce particolarmente l'uso (l'abuso perfino) di anglicismi, se questo rimane confinato alle comunicazioni interne di un particolare gruppo di lavoro.

Non capisco però il rifiuto degli accademici di tradurre termini che accolgono dalle opere di colleghi anglofoni. È da loro, infatti, che tutto ha inizio: se facessero uno sforzo onomaturgico per tradurre la terminologia di origine inglese, tecnicizzando una parola italiana esistente o inventandone una nuova, si tornerebbe a parlare italiano anche nella scienza. Parlo naturalmente da profano.
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